Recesso ad nutum consentito solo se maturato il diritto alla pensione di vecchiaia

L'art. 4, comma 2, l. n. 108/1990, che esclude la tutela reale per i licenziamenti illegittimi nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici, fa riferimento ai presupposti per l'accesso alla pensione di vecchiaia, solo al verificarsi dei quali il prestatore di lavoro ha l'onere di impedire la cessazione del regime di stabilità, entro un certo termine di decadenza, esercitando l'opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro. Per quanto concerne le lavoratrici dipendenti, compete loro il diritto di proseguire il rapporto di lavoro anche dopo il compimento dell'età pensionabile e fino al giorno del raggiungimento dell'età massima lavorativa, senza necessità di alcun onere di comunicazione, da parte loro, al datore di lavoro, e con l'ulteriore conseguenza che a quest'ultimo è fatto divieto di esercitare il recesso ad nutum nell'arco di tempo indicato.

Principio affermato dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 435/19, pubblicata il 10 gennaio. Il caso impugnazione di licenziamento ad nutum intimato a lavoratrice con pensione di anzianità. Una lavoratrice impugnava il licenziamento intimatogli in conseguenza della maturazione del diritto a pensione anticipata di anzianità, in epoca in cui non aveva compiuto i 65 anni di età anagrafica. Il licenziamento veniva ritenuto illegittimo dal giudice di primo grado, che disponeva la reintegrazione nel posto di lavoro e le conseguenze economiche ulteriori. Analogamente la Corte d’Appello, chiamata a decidere sul reclamo proposto avverso la sentenza di primo grado rito Fornero respingeva l’impugnazione proposta. Ricorre così in Cassazione l’azienda datrice di lavoro. L’esclusione delle norme ex art. 18 l. n. 300/1970 ai lavoratori ultrasessantenni. L’azienda ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1218 del codice civile e dell’art. 4 l. n. 108/1990, in quanto deve ritenersi legittimo il licenziamento ad nutum intimato dall’azienda a lavoratrice ultrasessantenne, titolare di pensione di anzianità, da considerare equiparabile a quella di vecchiaia, al momento del compimento dei 60 anni di età. La Corte di legittimità ritiene il motivo di censura proposto infondato. L'art. 4, comma 2, l. n. 108/1990, prevede che le disposizioni di cui all’art. 18 l. n. 300/1970, che esclude la tutela reale per i licenziamenti illegittimi nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici, purché non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 6 d.l. n. 791/1981. Con l’ulteriore precisazione che soltanto la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia incide sul rapporto di lavoro, consentendo il recesso ad nutum da parte del datore di lavoro. Il concetto di età pensionabile ed età massima lavorativa. Per quanto concerne le lavoratrici dipendenti, premesso che, in base al combinato disposto delle disposizioni di legge che si sono succedute nel tempo art. 4, comma 1, l. n. 903/1977, come risultante a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 498 del 27 aprile 1988, art. 1, comma 1, d.l. n. 503/1992, art. 11 l. n. 724/1994 deve distinguersi tra età pensionabile ed età massima lavorativa, entità non coincidenti in quanto nell'attuale ordinamento l'età massima lavorativa, più elevata, corrisponde all'età pensionabile stabilita per i lavoratori dell'altro sesso, la tutela obbligatoria, unitamente a quella reale ricorrendo di questa le condizioni di legge deve ritenersi estesa a tutte le lavoratrici che, pur avendo raggiunto l'età pensionabile, non hanno ancora conseguito l'età massima lavorativa, con la conseguenza che alle stesse compete il diritto di proseguire il rapporto di lavoro anche dopo il compimento dell'età pensionabile e fino al giorno del raggiungimento dell'età massima lavorativa, senza necessità di alcun onere di comunicazione, da parte loro, al datore di lavoro, e con l'ulteriore conseguenza che a quest'ultimo è fatto divieto di esercitare il recesso ad nutum nell'arco di tempo indicato. Peraltro, se i precetti costituzionali di cui agli art. 3 e 37, comma 1, Cost. non consentono di regolare l'età lavorativa della donna in modo difforme da quello previsto per gli uomini, non soltanto per quanto concerne il limite massimo di età, ma anche per quanto riguarda le condizioni per raggiungerlo, può affermarsi che non contrasta con alcun precetto costituzionale la previsione, per le donne, di un limite inferiore di età per il conseguimento della pensione di vecchiaia età pensionabile . Il combinato disposto degli art. 6, comma 1, l. n. 407/1990, e 1, commi 2 e 7, d.lgs. n. 503/1992 - dal quale si desume la norma secondo cui sia i lavoratori che le lavoratrici, ferme restando la identica età lavorativa originariamente prevista in sessantadue anni e poi elevata a sessantacinque anni e la diversa età pensionabile, sono licenziabili ad nutum ove abbiano conseguito o abbiano richiesto la liquidazione della pensione di vecchiaia, a carico dell'assicurazione generale obbligatoria oppure di gestioni sostitutive, esonerative o esclusive della medesima, per la quale risulta coerentemente prescritto il requisito della cessazione del rapporto di lavoro - non contrasta con i suindicati precetti costituzionali, giacché risultano esclusi dal beneficio della prosecuzione del rapporto di lavoro, e conseguentemente dal mantenimento della garanzia di stabilità del rapporto di lavoro, sia i lavoratori che le lavoratrici che già godano di pensione di vecchiaia senza alcuna distinzione in ordine alla diversa età lavorativa. In conclusione, sulla base dei predetti principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte, la sentenza impugnata appare corretta ed immune da vizi logici. E conseguentemente il ricorso proposto è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 ottobre 2018 – 10 gennaio 2019, n. 435 Presidente Di Cerbo – Relatore Amendola Fatti di causa 1. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza del 14 gennaio 2015, rigettò l’opposizione ex L. n. 92 del 2012 avverso l’ordinanza resa nella fase sommaria con cui venne accolta l’impugnativa di licenziamento promossa da S.M.A. ed ordinato all’Istituto Tecnico Aeronautico Villaggio dei Ragazzi omissis la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre alle conseguenze economiche previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 vigente all’epoca del recesso comunicato in data 11.6.2012. Il decisum si fondava sull’assunto che, ai sensi della L. n. 108 del 1990, art. 4, comma 2, la facoltà di recesso ad nutum del datore di lavoro opera nei confronti del lavoratore che gode o possa godere della pensione di vecchiaia, mentre nella specie la S. fruiva di pensione di anzianità anticipata L. n. 335 del 1995, ex art. 1, comma 27, lett. b, ed alla data del licenziamento non aveva ancora compiuto i 65 anni corrispondenti all’età pensionabile dell’uomo in base alla normativa vigente all’epoca dei fatti. 2. La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza pubblicata in data 15 giugno 2015, in sede di reclamo ha confermato la pronuncia di primo grado, respingendo sia l’impugnazione principale dell’Istituto Tecnico Aeronautico Villaggio dei Ragazzi omissis e della Fondazione Villaggio dei Ragazzi omissis , sia l’impugnazione incidentale della S. . 3. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso principale il 4.11.2015 l’Istituto Tecnico Aeronautico Villaggio dei Ragazzi omissis e la Fondazione Villaggio dei Ragazzi omissis , con 2 motivi, cui ha resistito la lavoratrice con controricorso, contenente ricorso incidentale. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione art. 1218 c.c. L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 22, comma 6 D.Lgs. 30.112.1992 n. 503, art. 1, comma 1, tabella A come sostituita dall’art. 11 e dalla tabella A allegata alla L. 23 dicembre 1994, n. 724 D.L. n. 201 del 2011 Riforma Monti , il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 . Si sostiene che deve considerarsi legittimo il licenziamento ad nutum, ex art. 1218 c.c., di una lavoratrice ultrasessantenne, titolare da anni di pensione di anzianità, reimpiegata presso terzi, e in godimento sia della pensione di vecchiaia in virtù di equiparazione a questa della pensione di anzianità una volta raggiunta l’età di 60 anni sia della normale retribuzione cumulo di un doppio reddito . Con il secondo mezzo di ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 4, comma 2 D.Lgs. n. 198 del 2006 unitamente a vizi di motivazione il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 . Si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto che allorché la S. venne licenziata ad nutum godesse ancora di pensione di anzianità e non di quella di vecchiaia, non avendo ancora raggiunto l’età pensionabile, riconoscendole così il diritto a rimanere in servizio fino all’età di 65 anni in quanto i requisiti del pensionamento di vecchiaia non erano maturati. 2. I motivi del ricorso principale, esaminabili congiuntamente per connessione, sono infondati e tanto esime questa Corte dallo scrutinare l’eccezione sollevata dalla controricorrente, pur avente natura preliminare, secondo cui il ricorso per cassazione sarebbe stato proposto oltre i 60 giorni decorrenti dalla comunicazione della sentenza d’appello, in ossequio al principio processuale della ragione più liquida . Infatti le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che, in applicazione di detto principio desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., deve ritenersi consentito al giudice di esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale Cass. SS.UU. n. 9936 del 2014 successiva conf. Cass. SS.UU. n. 23542 del 2015 . Invero il principio della ragione più liquida , imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione - anche se logicamente subordinata - senza che sia necessario esaminare previamente le altre in termini Cass. n. 12002 del 2014 conf. Cass. n. 11458 del 2018 , tanto più in una ipotesi, ricorrente nella specie, in cui si renderebbe necessario un allungamento dei tempi processuali per accertare la data di effettiva comunicazione della sentenza d’appello tramite cancelleria. 2.1. Ciò premesso, si osserva quanto segue. A mente della L. n. 108 del 1990, art. 4, comma 2, Le disposizioni di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, come modificato dall’art. 1 della presente legge, e dell’art. 2 non si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi del D.L. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1982, n. 54. Sono fatte salve le disposizioni dell’articolo 3 della presente legge e della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 9 . Pur in mancanza dell’esplicito riferimento alla pensione di vecchiaia, contenuto invece nella precedente disposizione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 11, argomenti testuali e sistematici inducono a ritenere che nessun mutamento ha subito il principio per cui è soltanto la maturazione del diritto al pensionamento di vecchiaia che incide sul regime del rapporto di lavoro, consentendo al datore di lavoro il recesso ad nutum v. Cass. n. 6537 del 2014, avallata anche da Cass. SS.UU. n. 17589 del 2015, a proposito della formulazione dell’ultimo periodo dell’art. 24, comma 4 . Si è affermato cfr. Cass. n. 3907 del 1999, Cass. n. 7853 del 2002, Cass. n. 3237 del 2003 con riguardo agli argomenti testuali che la salvezza dell’ipotesi dell’esercizio dell’opzione per la prosecuzione del rapporto lascia agevolmente comprendere che il riferimento non può che essere ai requisiti del pensionamento per vecchiaia, poiché solo in presenza di detti requisiti il lavoratore ha l’onere di impedire la cessazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro, entro un termine di decadenza che decorre appunto con riferimento alla data del conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia, comunicando la sua decisione di continuare a prestare la sua opera fino al raggiungimento dell’anzianità contributiva massima utile ovvero per incrementare tale anzianità fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età D.L. n. 791 del 1981, art. 6, conv., con L. n. 54 del 1982 L. 29 dicembre 1990, n. 407, art. 6 D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 421, art. 1, comma 2 . Argomenti sistematici a conforto di tale interpretazione sono poi stati individuati nella considerazione che soltanto il diritto alla pensione di vecchiaia si consegue automaticamente al verificarsi dell’evento protetto, cosicché la pensione decorre eccettuati i casi di esercizio dell’opzione ai sensi delle disposizioni sopra considerate dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale l’assicurato ha compiuto l’età pensionabile, ovvero, nel caso in cui a tale data non risultino soddisfatti i requisiti di anzianità assicurativa e contributiva, dal primo giorno del mese successivo a quello in cui i requisiti suddetti vengono raggiunti salva una diversa decorrenza richiesta espressamente dall’interessato L. 23 aprile 1981, n. 155, art. 6 . Il diritto alla pensione di anzianità, invece, si consegue con il necessario concorso della volontà dell’interessato, per cui non si può dubitare che la domanda di pensione assurga ad elemento costitutivo della fattispecie attributiva del diritto. Ne discende che, mancando la domanda, non può dirsi in senso tecnico che sussistano i requisiti per il pensionamento . 2.2. Parte ricorrente sostiene che, in ragione dell’art. 22 della I. n. 153 del 1969, alla data del disposto licenziamento sarebbe intervenuta l’equiparazione tra pensione di anzianità e pensione di vecchiaia, avendo la S. compiuto l’età stabilita per il pensionamento di vecchiaia e cioè 60 anni alla data del 10 luglio 2011. La tesi non può essere condivisa. La forma di pensionamento anticipato di cui ha fruito la S. è inidonea a derogare alla regola generale non essendo equivalente a quella di vecchiaia in quanto la sua acquisizione non è dipesa da elementi analoghi a quelli previsti per la pensione di vecchiaia e questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’esclusione della tutela limitativa dei licenziamenti non è suscettibile di applicazione in via analogica ai titolari di pensioni che, per diversità dei relativi presupposti durata del rapporto assicurativo, versamenti di un minimo di contributi, raggiungimento di un limite di età non possono ritenersi equivalenti a quella di vecchiaia cfr. Cass. n. 11104 del 1997 conf. Cass. n. 6537 del 2014 . 2.3. Quanto all’età i giudici del merito hanno fatto corretta applicazione dei principi stabiliti da Cass. n. 6535 del 2003 conf. Cass. n. 13045 del 2006 secondo cui, per quanto concerne le lavoratrici dipendenti, premesso che, in base al combinato disposto delle disposizioni di legge che si sono succedute nel tempo L. 9 dicembre 1977, n. 903, art. 4, comma 1, come risultante a seguito della sentenza della Corte cost. n. 498 del 27 aprile 1988, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 1, comma 1, L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 11 deve distinguersi tra età pensionabile ed età massima lavorativa, entità non coincidenti in quanto nell’ordinamento l’età massima lavorativa, più elevata, corrisponde all’età pensionabile stabilita per i lavoratori dell’altro sesso, la tutela obbligatoria, unitamente a quella reale ricorrendo di questa le condizioni di legge deve ritenersi estesa a tutte le lavoratrici che, pur avendo raggiunto l’età pensionabile, non hanno ancora conseguito l’età massima lavorativa, con la conseguenza che alle stesse compete il diritto di proseguire il rapporto di lavoro anche dopo il compimento dell’età pensionabile e fino al giorno del raggiungimento dell’età massima lavorativa, senza necessità di alcun onere di comunicazione, da parte loro, al datore di lavoro, e con l’ulteriore conseguenza che a quest’ultimo è fatto divieto di esercitare il recesso ad nutum nell’arco di tempo indicato. Nello stesso senso si è espressa Cass. n. 12640 del 2004 secondo la quale premesso che i precetti costituzionali non consentono di regolare l’età lavorativa della donna in modo difforme da quello previsto per gli uomini, non soltanto per quanto riguarda il limite massimo di età, ma anche per quanto riguarda le condizioni per raggiungerlo, mentre non contrasta con alcun precetto costituzionale la previsione, per le donne, di un limite di età inferiore per il conseguimento della pensione di vecchiaia età pensionabile , il combinato disposto della L. n. 407 del 1990, art. 6, comma 1, e del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1 - dal quale si desume la norma secondo cui sia i lavoratori che le lavoratrici, ferme restando l’identica età lavorativa originariamente prevista in 62 anni e poi elevata a 65 anni e la diversa età pensionabile, sono licenziabili ad nutum ove abbiano consentito o abbiano richiesto la liquidazione della pensione di vecchiaia - non contrasta con i suindicati precetti costituzionali giacché risultano esclusi dal beneficio della prosecuzione del rapporto di lavoro, e conseguentemente dal mantenimento della garanzia di stabilità del rapporto di lavoro, sia i lavoratori che le lavoratici che già godono di pensione di vecchiaia senza alcuna distinzione in ordine alla diversa età lavorativa . Pertanto i motivi del ricorso principale non meritano accoglimento. 3. Con ricorso incidentale la S. ha chiesto a questa Corte che, a parziale modifica della sentenza n. 5160/2015 della Corte di Appello di Napoli, dichiari che legittimato passivo è anche la Fondazione Villaggio dei Ragazzi omissis ed estenda gli effetti della sentenza richiamati nei confronti della predetta Fondazione . Detta impugnazione è evidentemente inammissibile in quanto non deduce né specifica adeguatamente quale sia il vizio della sentenza impugnata con riferimento ad una delle ipotesi di critica vincolata contenute nell’art. 360 c.p.c., comma 1, che peraltro dovrebbe condurre alla cassazione della sentenza impugnata e non ad una riforma di essa. 4. Conclusivamente il ricorso principale deve essere respinto e quello incidentale dichiarato inammissibile considerata la prevalente soccombenza dei ricorrenti in via principale, gli stessi vanno condannati al pagamento dei 2/3 delle spese del giudizio di legittimità, compensate le residue, liquidate come da dispositivo in favore della S. . Occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sia per i ricorrenti in via principale sia per la ricorrente incidentale. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale condanna parte ricorrente principale al pagamento di 2/3 delle spese di lite liquidate per l’intero in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese forfettario al 15% ed accessori secondo legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti in via principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.