La regolamentazione del conflitto tra l’esito del procedimento penale e quello del procedimento disciplinare

L’art. 55-ter, commi 1, 2 e 4, d. lgs. n. 165/2001, nel regolare i possibili conflitti tra l’esito del procedimento penale concluso con sentenza irrevocabile di assoluzione e l’esito del procedimento disciplinare concluso con l’irrogazione di una sanzione, prevede un procedimento unitario, articolato in due fasi, in cui il previsto rinnovo della contestazione dell’addebito deve essere effettuato pur sempre in ragione dei medesimi fatti storici già oggetto della prima contestazione disciplinare .

Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 29376/18, depositata il 14 novembre. La vicenda. La Corte d’Appello, con sentenza emessa in ordine al reclamo proposto da una lavoratrice nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la pronuncia di primo grado, in parziale riforma di quest’ultima, ordinava all’Agenzia di reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro e condannava la lavoratrice a restituire le somme già corrisposte in esecuzione della sentenza reclamata. In particolare, la lavoratrice aveva impugnato dinanzi al Tribunale il provvedimento con cui le Entrate, in esito alla riapertura del procedimento disciplinare a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che la assolveva dai reati ascrittigli, aveva confermato la sanzione del licenziamento per giusta causa. Per la cassazione della sentenza propone ricorso per cassazione la stessa lavoratrice. Il conflitto tra i due procedimenti. Con riferimento alla questione giudiziaria posta sotto lo sguardo degli Ermellini, questi affermano che l’art. 55- ter , commi 1, 2 e 4, d. lgs. n. 165/2001, nel regolare i possibili conflitti tra l’esito del procedimento penale concluso con sentenza irrevocabile di assoluzione e l’esito del procedimento disciplinare concluso con l’irrogazione di una sanzione, prevede un procedimento unitario, articolato in due fasi, in cui il previsto rinnovo della contestazione dell’addebito deve essere effettuato pur sempre in ragione dei medesimi fatti storici già oggetto della prima contestazione disciplinare, in relazione ai quali, in tutto o in parte è intervenuta sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso . Prosegue poi la Suprema Corte dicendo che la determinazione di conferma o modifica della sanzione già irrogata, ha effetti ex tunc , e l’accertamento in sede giurisdizionale dell’illegittimità della stessa non può che operare ex tunc . Sulla base di quanto detto, il Collegio accoglie il motivo di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 luglio – 14 novembre 2018, n. 29376 Presidente Di Cerbo – Relatore Tricomi Fatti di causa 1. La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 989 del 2016, emessa in ordine al reclamo proposto da F.G. nei confronti dell’Agenzia delle entrate Direzione regionale della Lombardia, ai sensi dell’art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Pavia, in parziale riforma di quest’ultima, ordinava all’Agenzia delle entrate di reintegrare la lavoratrice nel precedente posto di lavoro o in altro equivalente, con condanna a corrispondergli le retribuzioni maturate dal 20 gennaio 2015 sino alla effettiva reintegra, oltre accessori di legge, e condannava la lavoratrice a restituire le somme già corrisposte in esecuzione della sentenza reclamata oltre interessi dal pagamento al saldo. 2. La lavoratrice, con ricorso ex art. 1, comma 48, della legge n. 92 del 2012, aveva impugnato dinanzi al Tribunale di Pavia il provvedimento del 20 gennaio 2015 con cui l’Agenzia delle entrate, in esito alla riapertura del procedimento disciplinare ex art. 55-ter, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che assolveva la stessa dai reati ascrittigli, aveva confermato la sanzione del licenziamento per giusta causa intimato il 6 agosto 2010, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970. 3. Il Tribunale aveva accolto parzialmente il ricorso e ritenuta la non proporzionalità del licenziamento dichiarava illegittimo il recesso e facendo applicazione dell’art. 18, comma 5, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, dichiarava risolto il rapporto di lavoro a far data dal 20 gennaio 2015 e condannava la Agenzia delle entrate a versare l’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità e a rifondere le spese processuali. 4. In sede di opposizione il Tribunale confermava la decisione di cui alla fase sommaria, rigettando l’opposizione della lavoratrice e dichiarando inammissibile l’opposizione incidentale dell’Agenzia delle entrate con cui si era chiesto dichiararsi la legittimità del licenziamento. 5. La Corte d’Appello, cui proponevano reclamo sia la lavoratrice in via principale, sia l’Agenzia delle entrate in via incidentale, dichiarava inammissibile l’opposizione incidentale, volta all’accertamento della legittimità del licenziamento, in ragione della inammissibilità dell’opposizione incidentale, per cui la domanda di accertamento della legittimità del risarcimento si poneva come nuova e inammissibile, e, ferma la statuizione sulla illegittimità del licenziamento, faceva applicazione, ai sensi all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, nel testo anteriore alle modifiche di cui alla legge n. 92 del 2012, della reintegrazione e della conseguente condanna al pagamento delle retribuzioni dal 20 gennaio 2015. Ha affermato la Corte d’Appello che la riapertura del procedimento disciplinare fa sorgere un nuovo e distinto procedimento, che ha ad oggetto il riesame del pregresso licenziamento in relazione all’esito del giudizio penale. Il datore di lavoro pubblico, quindi, è chiamato a verificare se, nonostante l’avvenuta assoluzione in sede penale del dipendente licenziato, residuino o meno ulteriori profili disciplinarmente rilevanti. Prosegue la Corte d’Appello, che in ogni caso, l’originario licenziamento, avendo esplicato ogni suo effetto interruttivo del rapporto di lavoro - in assenza di una espressa norma che lo stabilisca - non viene meno ex tunc, atteso che, per l’operatività dei principi generali dell’ordinamento, gli effetti di un atto annullabile restano efficaci sino alla dichiarazione giudiziale di annullamento. Ne consegue che l’eventuale modifica del precedente licenziamento, avendo efficacia ex nunc, non può travolgere gli effetti ormai intangibili dell’originario recesso da ritenersi legittimo ed efficace sino alla sua modifica . La Corte d’Appello, infine, ha escluso che, nella fattispecie, il premio di produttività potesse essere incluso nella retribuzione globale di fatto da prendere in considerazione per l’indennità risarcitoria. 6. Per la cassazione parziale della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando tre motivi di ricorso. 7. L’Amministrazione, a cui la notifica del ricorso è stata rinnovata presso l’Avvocatura generale dello Stato, si è costituita con controricorso resistendo all’impugnazione. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 55-ter, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001. Si contesta la statuizione della Corte d’Appello secondo cui l’originario licenziamento non viene meno ex tunc, qualora a seguito di impugnazione della conferma disposta in sede di riapertura se ne dichiari l’illegittimità. La ricorrente ricorda di essere stata assolta per non aver commesso il fatto, con sentenza passata in giudicato, per i reati addebitatigli in ragione dei medesimi fatti posti a fondamento del procedimento disciplinare concluso con l’irrogazione della sanzione espulsiva in data 8 agosto 2010. Dopo l’assoluzione aveva chiesto la riapertura del procedimento disciplinare. A seguito dell’impugnazione del provvedimento di conferma del licenziamento, lo stesso era stato dichiarato illegittimo. Espone, quindi, che, diversamente da quanto affermato dal giudice del reclamo, poiché si era in presenza di un procedimento disciplinare unitario iniziato nel 2010 e conclusosi nel 2015, dopo la riapertura, l’illegittimità della conferma doveva spiegare effetti dal 2010 e non dal 2015. 1.1. Il motivo è fondato. 1.2. Va premesso che come affermato dalla Corte d’Appello le modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012 all’art. 18 della legge n. 300 del 1970 non si applicano ai rapporti di pubblico impiego privatizzato, sicché la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata legge n. 92, resta quella prevista dall’art. 18 st.lav. nel testo antecedente la riforma Cass., n. 11868 del 2016 . Va, altresì premesso che nel pubblico impiego privatizzato, l’art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2009, ha introdotto la regola generale dell’autonomia del procedimento disciplinare da quello penale, contemplandone la possibilità di sospensione, dunque facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando la P.A. libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente Cass., n. 8410 del 2018 . 1.3. Tale disposizione si applica alla fattispecie in esame. L’art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, che reca Rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale , in vigore dal 15 novembre 2009 al 21 giugno 2017, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75, prevede, per quanto d’interesse nella specie 1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. . 2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l’autorità competente, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale n.d.r. il testo vigente prevede l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale . . 4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3 il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o riaperto entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione di appartenenza del lavoratore ovvero dalla presentazione dell’istanza di riapertura ed è concluso entro centottanta giorni dalla ripresa o dalla riapertura. La ripresa o la riapertura avvengono mediante il rinnovo della contestazione dell’addebito da parte dell’autorità disciplinare competente ed il procedimento prosegue secondo quanto previsto nell’articolo 55-bis. Ai fini delle determinazioni conclusive, l’autorità procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell’articolo 653, commi 1 ed 1-bis, del codice di procedura penale . 1.4. L’efficacia delle sentenze penali nel giudizio disciplinare è regolata dall’art. 653 cod. proc. pen., che attribuisce efficacia di giudicato alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione e a quella di condanna, rispettivamente quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso e quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso. Va rilevato, inoltre, che l’equiparazione della sentenza applicativa della pena patteggiata alla sentenza di condanna, espressamente prevista a determinati fini già dalla legge 19 marzo 1990, n. 55, opera ora anche ai fini del procedimento disciplinare. 1.5. La lettera dell’art. 55-ter, comma 2 riapertura per modificare o confermare l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale , e comma 4 rinnovo della contestazione dell’addebito , del d.lgs. n. 165 del 2001, e il più complesso quadro normativo di disciplina dei rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, in cui lo stesso si colloca, fanno ravvisare la ratio del citato art. 55-ter nella volontà del legislatore di prevedere un meccanismo di raccordo per regolare possibili conflitti tra l’esito dei due procedimenti, pur nella rispettiva autonomia. Dunque, con riguardo al procedimento disciplinare nel pubblico impiego contrattualizzato, il venir meno della cd. pregiudiziale penale ha reso necessario regolare per legge il possibile conflitto tra gli esiti dei due procedimenti, pur rimanendo l’Amministrazione libera di valutare autonomamente la rilevanza disciplinare dei fatti accertati. 1.6. L’art. 55-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001, commi 1, 2 e 4, che qui vengono in rilievo, delinea un procedimento unitario, che si articola in due fasi, in cui il previsto rinnovo della contestazione dell’addebito deve essere effettuato pur sempre in ragione dei medesimi fatti storici già alla base della prima contestazione disciplinare, in relazione ai quali, in tutto in parte è intervenuta sentenza penale irrevocabile di assoluzione nei termini sopra ricordati. 1.7. Pertanto, la determinazione conclusiva - assunta a seguito della riapertura del procedimento disciplinare a fronte di sentenza irrevocabile di assoluzione - di conferma o modifica, in quest’ultimo caso ragionevolmente in senso favorevole al lavoratore, della sanzione già irrogata, ha effetti ex tunc, e l’accertamento dell’illegittimità della stessa non può che operare anch’essa ex tunc, risultando erronea l’interpretazione delle suddette disposizioni effettuata dalla Corte d’Appello, anche considerato il tendenziale effetto in bonam partem della riapertura del procedimento disciplinare a seguito di sentenza penale irrevocabile di assoluzione, propria della fattispecie in esame. 1.8. Va affermato il seguente principio di diritto l’art. 55-ter, commi 1, 2 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, nel regolare i possibili conflitti tra l’esito del procedimento penale concluso con sentenza irrevocabile di assoluzione e l’esito del procedimento disciplinare concluso con l’irrogazione di una sanzione, prevede un procedimento unitario, articolato in due fasi, in cui il previsto rinnovo della contestazione dell’addebito deve essere effettuato pur sempre in ragione dei medesimi fatti storici già oggetto della prima contestazione disciplinare, in relazione ai quali, in tutto o in parte è intervenuta sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso. La determinazione di conferma o modifica della sanzione già irrogata, ha effetti ex tunc, e l’accertamento in sede giurisdizionale dell’illegittimità della stessa non può che operare ex tunc. 2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970, e dell’art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione alla statuizione che ha escluso il premio di produttività nella base di calcolo per determinare l’indennità, assumendosi la debenza dello stesso. 2.1. Il motivo non è fondato. 2.2. Come questa Corte ha avuto modo di affermare Cass., n. 15066 del 2015 , in tema di conseguenze patrimoniali da licenziamento illegittimo ex art. 18 della legge n. 300 del 1970, la retribuzione globale di fatto deve essere commisurata a quella che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato, ad eccezione dei compensi eventuali e di cui non sia certa la percezione, nonché di quelli legati a particolari modalità di svolgimento della prestazione ed aventi normalmente carattere occasionale o eccezionale. La giurisprudenza precedente ha già chiarito Cass., n. 19956 del 2009 che l’indennità risarcitoria di cui all’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, deve essere liquidata in riferimento alla retribuzione globale di fatto spettante al lavoratore al tempo del licenziamento, comprendendo nel relativo parametro di computo non soltanto la retribuzione base, ma anche ogni compenso di carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento con esclusione, quindi, dei soli emolumenti eventuali, occasionali od eccezionali , in quanto altrimenti verrebbero ad essere addossate al lavoratore le conseguenze negative di un illecito altrui. Nella fattispecie oggetto della sentenza da ultimo richiamata, questa Corte, nell’enunciare l’anzidetto principio, ha cassato la sentenza impugnata, che aveva escluso dalla base di calcolo dell’indennità risarcitoria l’indennità di mensa avente carattere convenzionale, l’indennità di rischio, il concorso nelle spese tranviarie, il premio di rendimento ed il premio di produttività, senza considerare che l’assenza del dipendente cui si ricollegava la mancata fruizione dei detti emolumenti era derivata dall’illegittima estromissione dello stesso dall’azienda. 2.3. Occorre precisare che la Corte d’Appello non ha errato nell’applicazione dei suddetti principi, poiché ha escluso il premio di produttività non in quanto non rientrante nella retribuzione globale di fatto da prendere come riferimento, ma perché la F. , al momento della conferma del licenziamento, che per il periodo pregresso nella decisione del giudice di secondo grado rimaneva fermo nonostante la ritenuta illegittimità, non godeva di alcun trattamento e quindi neppure del premio di produttività. 2.4. Dunque la statuizione della Corte d’Appello non è erronea quanto alla regola di diritto conforme alla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, ma nella premessa efficacia ex nunc della illegittimità della conferma del precedente licenziamento che ha già costituito oggetto di esame nella trattazione del primo motivo di ricorso esaminato ai punti nn. 1-1.8. ed accolto, ove si è già chiarito che la determinazione di conferma o modifica della sanzione già irrogata, ha effetti ex tunc, e l’accertamento in sede giurisdizionale dell’illegittimità della stessa non può che operare ex tunc. Dunque, è con riguardo al tempo del primo licenziamento poi confermato, che occorre determinare la retribuzione globale di fatto, secondo i principi sopra esposti, richiamati correttamente dalla Corte d’Appello sia pure su un erroneo presupposto, come sancisce l’accoglimento del primo motivo di ricorso. 3. Con gli altri motivi di ricorso, e cioè con il terzo motivo, si deduce la lesione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza di appello ha confermato la compensazione delle spese di giudizio del grado precedente e quelle del reclamo. Il motivo è assorbito in ragione dell’accoglimento del primo motivo di ricorso. 4. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo di ricorso accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto di cui la punto 1.8. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in ordine al motivo di ricorso accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.