E’ onere del pensionato dimostrare di non dover restituire somme indebitamente percepite

In tema di indebito previdenziale, nel giudizio instaurato per ottenere l’accertamento negativo dell’obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale ritenga indebitamente percepito, è a carico esclusivo dell’accipiens l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto.

Il principio è stato affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 26231/18, depositata il 18 ottobre. Il caso. Il Tribunale di Roma ha la domanda di una pensionata volta all’accertamento negativo del debito a fronte della ripetizione di una somma richiesta dall’INPS. In particolare, l’ente previdenziale aveva accertato di aver versato alla pensionata importi maggiori dell’assegno mensile di assistenza della quale era titolare, a causa del riscontrato superamento da parte della stessa dei limiti di reddito previsti per tale beneficio, per un periodo di 7 anni. Di diverso avviso è stata la Corte d’Appello di Roma, che ha riformato la sentenza di primo grado ed ha dichiarato illegittimo il recupero operato dall’INPS, condannando l’ente alla restituzione delle somme trattenute. La Corte territoriale ha ritenuto infatti che la nota dell’INPS non conteneva la specifica, anno per anno, dell’eccedenza della prestazione erogata rispetto a quella dovuta, né l’indicazione delle ragioni della stessa, ragione per cui l’assistita non era stata posta nelle condizioni di poter verificare e, se del caso, contestare il presunto debito. Spetta al pensionato dimostrare la non debenza della restituzione. La Suprema Corte ha aderito all’eccezione dell’INPS, la quale ha lamentato che la contrarietà della sentenza di secondo grado al principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18046/2010. Con tale pronuncia la Corte di Cassazione ha affermato che il pensionato che miri ad ottenere l’accertamento negativo del suo obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale abbia ritenuto indebitamente percepito ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata. Ed in particolare, proseguono gli Ermellini, in tema di indebito previdenziale, nel giudizio instaurato, in qualità di attore, dal pensionato, il suddetto onere ha ad oggetto non solo i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ma anche l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto dall’ente previdenziale. L’INPS non ha l’onere di verificare annualmente le situazioni reddituali. Tale principio è stato poi ripreso anche dalla sezione lavoro della Corte di Cassazione con le sentenze n. 1228/2011 e n. 2739/2016 che, nel ribadire che l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto alla prestazione già ricevuta grava esclusivamente sul pensionato, ha chiarito altresì che in tal caso non assume rilievo l’inosservanza, da parte dell’istituto previdenziale, dell’obbligo ex art. 13, comma 2, l. n. 412/1991, di verificare annualmente l’esistenza di situazioni reddituali del pensionato incidenti sul diritto o sulla misura della pensione, la cui operatività è condizionata alla preventiva segnalazione, ai sensi del comma 1 della predetta norma, dei fatti relativi da parte dell’interessato. La conclusione. Nel caso di specie, conclude la Suprema Corte, dalla sentenza impugnata emerge che la ragione dell’indebito era riconducibile al godimento dell’assegno pur in presenza del superamento dei previsti limiti reddituali, per cui spettava alla pensionata, che ne aveva la possibilità e l’onere, dimostrare che i redditi percepiti nel periodo relativo alla richiesta di rimborso erano rimasti al di sotto della soglia di legge ai fini del mantenimento della suddetta provvidenza.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 giugno – 18 ottobre 2018, n. 26231 Presidente Manna – Relatore Berrino Fatti di causa Il Tribunale di Roma rigettò la domanda di C.A. volta all’accertamento negativo del debito a fronte della ripetizione della somma di Euro 11426,37 richiesta dall’Inps con note del 31.3.2011 e del 17.5.2011. In pratica, l’Inps aveva accertato di aver versato alla C. importi maggiori dell’assegno mensile di assistenza, del quale la medesima era titolare, eccedenza, questa, verificatasi per effetto del riscontrato superamento, da parte di quest’ultima, dei limiti di reddito previsti per tale beneficio nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2011. A seguito di impugnazione da parte della C. , la Corte d’appello di Roma sentenza del 22.5.2015 ha riformato la gravata decisione ed ha dichiarato illegittimo il recupero operato dall’Inps, condannandolo alla restituzione delle somme trattenute con le suddette note. Ha spiegato la Corte di merito che la prima nota dell’Inps non conteneva una specifica, anno per anno, dell’eccedenza della prestazione erogata rispetto a quella dovuta, né l’indicazione delle ragioni dell’eccedenza stessa, mentre la seconda nota conteneva la specificazione della prestazione erogata nel solo periodo 2008 - 2010, per cui l’assistita non era stata posta nelle condizioni di poter verificare il debito contestatole e di contraddire all’avversa pretesa. Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Inps con un solo motivo, cui resiste C.A. con controricorso illustrato da memoria. Ragioni della decisione Con un solo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 e dell’art. 2033 cod. civ., entrambi in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., l’Inps lamenta che la Corte d’appello di Roma ha disatteso il principio affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18046/2010, in base al quale il pensionato che miri ad ottenere l’accertamento negativo del suo obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale abbia ritenuto indebitamente percepito ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata. Ne consegue, secondo il ricorrente, che nella fattispecie la C. aveva l’onere di dimostrare di non aver superato i limiti reddituali di legge per il periodo di tempo rispetto al quale le era stato comunicato l’indebito per superamento degli stessi limiti, per cui finiva per essere irrilevante la circostanza della ritenuta genericità della comunicazione volta alla richiesta di rimborso di cui trattasi. Il ricorso è fondato. Invero, le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di statuire con la citata sentenza n. 18046 del 4.8.2010 che In tema d’indebito previdenziale, nel giudizio instaurato, in qualità d’attore, dal pensionato che miri ad ottenere l’accertamento negativo del suo obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale abbia ritenuto indebitamente percepito, l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto, è a suo esclusivo carico. Nella fattispecie le S.U. hanno ritenuto che spettasse al pensionato-attore l’onere di provare il mancato superamento della soglia del reddito per l’attribuzione della quota d’integrazione al minimo, contestata dall’Ente previdenziale in sede di richiesta stragiudiziale di ripetizione della maggior somma erogata . Tale principio è stato successivamente ripreso dalla Sezione lavoro di questa Corte Cass. sez. lav. n. 2739 dell’11.2.2016 che ha confermato che in tema d’indebito previdenziale, nel giudizio instaurato per ottenere l’accertamento negativo dell’obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale ritenga indebitamente percepito, è a carico esclusivo dell’ accipiens l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto. Tra l’altro, è interessante notare che questa Corte Cass. sez. lav. n. 1228 del 20.1.2011 , nel ribadire che in tema di indebito previdenziale, il pensionato che agisce per l’accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto alla prestazione già ricevuta, ha chiarito, altresì, che in tal caso non assume rilievo l’inosservanza, da parte dell’Istituto, dell’obbligo ex art. 13, comma 2, legge n. 412 del 1991, di verificare annualmente l’esistenza di situazioni reddituali del pensionato incidenti sul diritto o sulla misura della pensione, la cui operatività è condizionata alla preventiva segnalazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1, legge n. 412 del 1991, dei relativi fatti da parte dell’interessato. Nella specie, la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato l’irripetibilità delle somme indebitamente corrisposte, anche in ragione della mancata attivazione dell’INPS in ordine alle verifiche dei redditi del pensionato nei tempi previsti dalla legge . D’altra parte, dalla sentenza impugnata emerge che nella fattispecie la ragione dell’indebito era riconducibile al godimento dell’assegno pur in presenza del superamento dei previsti limiti reddituali, per cui spettava alla C. , che ne aveva la possibilità e l’onere, dimostrare che i redditi percepiti nel periodo relativo alla richiesta di rimborso erano rimasti al di sotto della soglia di legge ai fini del mantenimento della suddetta provvidenza. Pertanto, il ricorso può essere accolto con cassazione dell’impugnata sentenza e con rinvio del procedimento alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, provvederà a verificare l’assolvimento, da parte di C.A. , del predetto onere probatorio, nonché a liquidare anche le spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.