È sufficiente l’avviso di giacenza per far pervenire la lettera di licenziamento nella sfera di conoscibilità del lavoratore

In tema di licenziamento, qualora la lettera del datore di lavoro sia spedita a mezzo raccomandata, non si tratta della notifica di un atto giudiziario ma esclusivamente della comunicazione dell’atto di licenziamento adottato dal datore di lavoro.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 20864/18 depositata il 21 agosto. Il caso. La Corte d’Appello respingeva il reclamo di un dipendente di Poste Italiane SpA, ritenendo legittimo il licenziamento disciplinare intimatogli con apposita lettera a seguito di una contestazione in cui si addebitava al lavoratore di aver effettuato sul proprio conto corrente presso l’ufficio postale il versamento di una serie di assegni intestati a persone diverse da lui, in violazione della clausola di non trasferibilità e delle norme sull’antiriciclaggio. In particolare, la Corte territoriale riteneva infondata la tesi del lavoratore che deduceva la nullità del licenziamento per averne avuto conoscenza solo al rientro da un periodo di malattia e quindi fuori termine rispetto ai 30 giorni dalla presentazione delle giustificazioni, per l’invio da parte del datore di lavoro della comunicazione del provvedimento. Propone così il dipendente ricorso in Cassazione. La notifica del licenziamento. Sostiene il ricorrente che il primo atto di cui egli è venuto a conoscenza sarebbe la lettera di licenziamento intimatogli dal datore di lavoro al suo rientro in ufficio, in quanto in precedenza nessuna lettera gli sarebbe stata ritualmente recapitata. Tuttavia, nella fattispecie in esame, non trattandosi della notificazione di un atto giudiziario ma esclusivamente della comunicazione dell’atto di licenziamento adottato dal datore di lavoro, la questione giuridica è costituita solo dall’accertamento dell’avvenuta conoscenza o mano da parte del dipendente della decisione datoriale, attraverso la ricezione della lettera raccomandata. E poiché tale notificazione costituisce solo un mezzo da parte del datore di lavoro per comunicare al lavoratore la lettera di licenziamento, risulta inammissibile la censura della violazione del procedimento notificatorio, qualora non sia collegata ad una violazione dell’art. 1335 c.c., il quale impone al dichiarante l’obbligo di provare con qualsiasi mezzo l’avvenuta conoscenza dell’atto da parte del destinatario. Nonostante ciò, ribadiscono gli Ermellini che il mezzo utilizzato ha comunque consentito al lavoratore di giungere a conoscenza della raccomandata attraverso l’avviso apposto sulla porta dell’abitazione del deposito presso la casa comunale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 febbraio – 21 agosto 2018, numero 20864 Presidente Napoletano – Relatore Curcio Fatti di causa La Corte d’appello di Salerno con sentenza del 10.12.2015 ha respinto il reclamo di A.G., dipendente delle Poste Italiane spa, avverso la sentenza del tribunale di Salerno che aveva a sua volta respinto il ricorso in opposizione di A. all’ordinanza resa in sede sommaria, ritenendo la legittimità del licenziamento disciplinare intimato con lettera del 21.7.2014, a seguito di contestazione del 20.6.2014 in cui si addebitava al lavoratore di aver effettuato sul proprio conto corrente presso l’ufficio postale dove lavorava una serie di negoziazioni di assegni intestati a persone diverse da lui e tuttavia versati sul suo conto, ammontanti nel solo periodo dal 3.2.2014 al 17.4.2014 a settanta operazioni, in violazione della clausola di non trasferibilità e delle norme sull’antireciclaggio. La Corte di merito, confermando sul punto la sentenza appellata, ha ritenuto infondata la tesi dell’A. che aveva dedotto la nullità del licenziamento per averne avuto conoscenza soltanto in data 14.8.2014, al rientro da un periodo di malattia iniziata in data 14.7.2014 e quindi, secondo il lavoratore, del tutto fuori temine rispetto ai trenta giorni dalla presentazione delle giustificazioni, per l’invio da parte del datore di lavoro della comunicazione del provvedimento, termine indicato a pena di decadenza dall’articolo 55 comma IV del CCNL che regolamenta il procedimento disciplinare. Secondo la Corte salernitana infatti la clausola citata andava interpretata in base ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss c.comma indagando la reale volontà delle parti collettive, che era quella di garantire al contraente più debole una celere conclusione della procedura disciplinare e che, pertanto, l’uso del termine inviare stava a significare che i contraenti collettivi hanno inteso riequilibrare la complessiva economia del rapporto disciplinare, consentendo al datore di lavoro la possibilità di assumere la decisione sfruttando per intero il tempo concesso per assumere rapidamente le proprie decisioni, essendo sufficiente la consegna della lettera al servizio postale - o come nel caso in esame all’ufficiale giudiziario - prima dello spirare del citato termine di trenta giorni. Secondo la sentenza impugnata, aldilà del problema del perfezionamento o meno della notifica avvenuta ai sensi dell’articolo 140 c.p.c., che sembrava non ultimata, in mancanza dell’avviso della raccomandata di avvenuto deposito della lettera di licenziamento presso la casa comunale, doveva ritenersi, ai sensi dell’articolo 1335 c.c., che la comunicazione del licenziamento fosse venuta comunque a conoscenza dell’A. . Ciò in quanto egli era venuto a conoscenza, attraverso l’affissione dell’avviso, in busta chiusa e sigillata, alla porta della sua abitazione, del deposito della copia presso la casa comunale della lettera raccomandata, avviso certamente reperito, avendo egli ritirato l’analogo avviso della giacenza della raccomandata presso l’ufficio postale, dove si era recata la persona da lui incaricata di ritirare la raccomandata che non sarebbe stata rinvenuta. La corte ha quindi ritenuto che non si fosse realizzata alcuna decadenza della datrice di lavoro dal potere di intimare il recesso, confermando quanto già deciso in primo grado, circa la tempestività dell’esercizio del potere disciplinare. Nel merito è stata confermata la decisione del primo giudice anche con riguardo alla legittimità del licenziamento. È stata esclusa comunque la tutela reintegratoria perché non si era in presenza di una manifesta insussistenza del fatto, inteso come negoziazione degli assegni di terze persone sul proprio conto. La corte territoriale ha poi ritenuto che la condotta dell’A. aveva leso il vincolo fiduciario, in ragione dell’intensità con la quale era stata posta in essere, con ripetuta violazione delle norme antireciclaggio le quali, data la sua posizione, non potevano essere da lui ignorate. Propone ricorso per Cassazione A. con un solo articolato motivo, a cui ha resistito Poste spa con controricorso. Motivi della decisione Con l’unico motivo di ricorso A. deduce la violazione e falsa applicazione della norma di legge di cui all’articolo 140 c.p.comma in relazione all’articolo 360 comma 1, numero 3 c.p.c., lamentando che la sentenza sia illogica, contraddittoria, carente di motivazione e comunque emessa in violazione di legge. Secondo il ricorrente il primo atto di cui egli è venuto a conoscenza sarebbe il licenziamento intimatogli in data 18.8.2014 al rientro in ufficio. In precedenza nessuna lettera di licenziamento gli sarebbe stata ritualmente recapitata. Non si sarebbe infatti perfezionata la notifica del licenziamento avvenuta ai sensi dell’articolo 140 c.p.c., in quanto egli non era stato posto nelle condizioni di ritirare l’atto depositato presso la casa comunale, non avendo reperito presso l’ufficio postale la raccomandata che attestava tale deposito. La nullità della notifica, determinando la mancata conoscenza della lettera di licenziamento, avrebbe comportato la decadenza della società Poste ai sensi dell’articolo 55 de CCNL. Nel caso in esame peraltro Poste spa è sia il soggetto notificante sia quello che avrebbe dovuto eseguire correttamente la procedura di cui all’articolo 140 c.p.c Avrebbe poi errato la corte nel richiamare l’articolo 1335 c.c., come anche sarebbero stati richiamati impropriamente i canoni di correttezza e buona fede, con riferimento alla possibilità di A. di recarsi presso la casa comunale per prendere la lettera ivi depositata dall’ufficiale giudiziario, essendo stato lasciato l’avviso di affissione alla casa comunale unitamente a quello relativo alla raccomandata. Per il ricorrente, quindi, il momento perfezionativo della notificazione ai sensi dell’articolo 140 c.p.comma si raggiunge soltanto quando si siano realizzate le tre formalità, che nel caso in esame non si sarebbero tutte verificate. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Il ricorrente ha dedotto esclusivamente la violazione dell’articolo 140 c.p.comma che regola il procedimento notificatorio utilizzato da Poste italiane per comunicare la lettera di licenziamento quindi dalla nullità della notifica ha dedotto la nullità del licenziamento intimatogli dalla società, mai a lui recapitato, avendo egli ricevuto tale provvedimento solo il 18.8.2014, al rientro in ufficio dopo la malattia. Tuttavia nel caso in esame non trattandosi della notifica di un atto giudiziario, ma esclusivamente della comunicazione dell’atto di licenziamento adottato dal datore di lavoro, la quaestio decidendi è costituita esclusivamente dall’accertamento dell’avvenuta conoscenza o meno da parte dell’A., attraverso la ricezione della raccomandata, della decisione datoriale. Costituendo la notificazione fatta ai sensi dell’articolo 140 c.p.comma solo un mezzo con cui la società ha ritenuto di comunicare al lavoratore la lettera di licenziamento, risulta inammissibile perché priva di specificità e di decisività la censura della violazione del procedimento notificatorio, ove non collegata ad una violazione dell’articolo 1335 c.c., che impone al dichiarante l’onere di provare con qualsiasi mezzo, anche con mezzi presuntivi, l’avvenuta conoscenza della dichiarazione da parte del destinatario. Ed infatti essendo l’intimazione del licenziamento un atto unilaterale recettizio, vanno applicati gli artt. 1334 e 1335 c.c., con la conseguenza che opera la presunzione di conoscenza per il solo fatto dell’arrivo della dichiarazione nella sfera di conoscenza del dipendente, a prescindere dalle modalità di notifica della stessa Cfr. Cass.12499/2012 . Ma comunque il motivo è infondato. Ed infatti la corte territoriale ha ricostruito in punto di fatto gli elementi della comunicazione del recesso, precisando le operazioni svolte dall’ufficiale giudiziario che ha eseguito la notifica, tra cui quella dell’affissione sulla porta dell’abitazione di A. dell’avviso dell’avvenuto deposito dell’atto presso la casa comunale, oltre l’inoltro al domicilio dell’avviso di giacenza della raccomandata presso l’ufficio postale. La corte ha rilevato che tali fatti non erano stati contestati dal ricorrente, il quale si era limitato a dedurre di non aver rinvenuto presso l’ufficio postale la raccomandata di cui all’avviso di giacenza e che in questo caso il mezzo utilizzato - la notifica attraverso l’ufficiale giudiziario - aveva comunque consentito di portare a conoscenza del destinatario l’esistenza della lettera raccomandata attraverso l’avviso, apposto sulla porta dell’abitazione, del suo deposito presso la casa comunale e che il lavoratore, in ossequio ai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., ben avrebbe potuto inviare un suo delegato per il ritiro del plico ivi lasciato dall’ufficiale giudiziario addetto alla notifica. Il ricorrente, limitandosi a censurare il momento perfezionativo della notificazione ai sensi dell’articolo 140 c.p.c., non ha censurato il ragionamento presuntivo che ha portato la corte territoriale a ritenere che la comunicazione del licenziamento fosse comunque pervenuta nella sua sfera di conoscibilità e che, conseguentemente, non fosse stato superato il termine previsto dall’articolo 55 del CCNL entro il quale il licenziamento deve essere adottato dal datore di lavoro dopo l’avvenuta contestazione disciplinare. Il ricorso deve pertanto essere respinto con condanna del ricorrente, soccombente, alla rifusione delle spese del grado liquidate come da dispositivo, sussistendo altresì le condizioni di cui all’articolo 13 comma 1 quater del DPR numero 115/2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento di lite del Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater DPR numero 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13.