Il diritto del dipendente al ripristino del rapporto di lavoro in caso di assoluzione nel procedimento penale

Il dipendente pubblico che voglia far valere il ripristino del rapporto di lavoro, ex art. 3, comma 57, l. n. 350/2003, deve dimostrare il vincolo di consequenzialità tra la richiesta di anticipato collocamento in quiescenza e l’instaurazione del procedimento penale a suo carico.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 20735/18 depositata il 14 agosto. La vicenda. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, condannava l’Assessorato regionale delle autonomie locali e della funzione pubblica della regione Sicilia a ripristinare il rapporto di lavoro con il ricorrente anche oltre i limiti di età previsti dalla legge per un periodo pari a quello della durata complessiva del periodo di servizio non espletato per l’anticipato collocamento in quiescenza. Il ricorrente dichiarava di essere stato dipendente della Regione e di essere stato sottoposto in un momento successivo a procedimento penale per fatti verificatasi nel periodo in cui svolgeva il proprio lavoro presso la p.a. dichiarava poi di aver presentato domanda di collocamento a riposo anticipato a motivo delle ingiuste accuse per le quali era caduto in uno stato di depressione, dopo essere stato assolto perché il fatto non sussiste e perché non era stato commesso. Avverso tale sentenza l’Assessorato regionale propone ricorso per cassazione. La locuzione a seguito del procedimento penale”. La sospensione dal servizio o le dimissioni date per motivi diversi dall’instaurazione del procedimento penale non fanno sorgere in capo al dipendente pubblico assolto in quel procedimento alcun diritto al ripristino del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. Proseguono gli Ermellini che Resta tuttavia indispensabile ai fini del ripristino del rapporto, nei casi in cui il rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni del dipendente, il nesso di conseguenzialità, tra queste ultime e l’apertura del procedimento penale, conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento . Nel caso di specie la Corte territoriale ha ritenuto sussistente la prova del nesso causale tra la domanda e l’instaurazione del processo penale alla stregua dell’esito della prova testimoniale. Pertanto il ricorso è rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 marzo – 14 agosto 2018, numero 20735 Presidente Di Cerbo –Relatore Blasutto Fatti di causa 1. La Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza del locale Tribunale, ha condannato l’Assessorato regionale delle autonomie locali e della funzione pubblica della Regione siciliana, già Presidenza della Regione siciliana - Assessorato regionale alla Presidenza, a ripristinare il rapporto di impiego con il dott. C.N. , anche oltre i limiti di età previsti dalla legge, comprese eventuali proroghe, per un periodo pari a quello della durata complessiva del periodo di servizio non espletato per l’anticipato collocamento in quiescenza, anche in deroga all’eventuale divieto di riassunzione previsto dal proprio ordinamento ha altresì condannato l’Assessorato regionale ad erogare al C. il medesimo trattamento giuridico ed economico cui avrebbe avuto diritto in assenza dell’anticipato collocamento in quiescenza. 2. Il ricorrente aveva dedotto, a fondamento la propria domanda, di essere stato dipendente della Regione siciliana con la qualifica di Dirigente superiore del ruolo del personale amministrativo e di essere stato sottoposto nell’agosto 1995 a procedimento penale per fatti verificatisi nel periodo in cui svolgeva il ruolo di Capo di gabinetto dell’Assessore al turismo, comunicazione e trasporti della Regione siciliana di avere presentato domanda di collocamento a riposo anticipato a far data dal 31 dicembre 1997, a motivo delle ingiuste accuse per le quali era caduto in uno stato di seria depressione che, con sentenza del 30 gennaio 2002, divenuta definitiva il 7.12.2006, era stato assolto, in parte, perché i fatti non sussistono e, in parte, perché il fatto non è stato commesso di avere chiesto in data 15 gennaio 2007 di essere ricollocato in servizio ai sensi dell’art. 3, comma 57, legge numero 350 del 2003 disposto normativo recepito dall’art. 57, comma 3, CCRL periodo economico 2002-2005 per un periodo pari a quello non espletato per l’anticipato collocamento in quiescenza di avere reiterato l’istanza in data 27 luglio 2007, ottenendo però un provvedimento di rigetto motivato dalla inapplicabilità in via retroattiva delle disposizioni contenute nel contratto collettivo. 3. Il Tribunale aveva rigettato la domanda per difetto di prova del nesso causale tra dimissioni e processo penale. La Corte di appello, ammessa ed espletata la prova orale richiesta dall’appellante, ha invece ritenuto sussistente tale nesso ed ha accolto la domanda. 4. Avverso tale sentenza l’Assessorato regionale delle autonomie locali e della funzione pubblica della Regione siciliana ha proposto ricorso affidato a tre motivi. Resiste con controricorso il C. , che ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi. 5. Il ricorrente incidentale ha altresì depositato memoria ex art. 378 cod. procomma civ Ragioni della decisione 1. Il primo motivo denuncia violazione dell’articolo 3, comma 57, legge, 350 del 2003, in quanto la locuzione a seguito di procedimento penale richiede non solo la contiguità temporale, ma anche il nesso causale tra la sospensione dal servizio o la richiesta di collocamento anticipato in quiescenza e il procedimento penale in corso, risultando evidente che la sospensione o le dimissioni date per motivi diversi dal procedimento penale non avrebbero ragione di far sorgere in capo al dipendente assolto in quel procedimento alcun diritto al ripristino del rapporto di lavoro. 2. Con il secondo motivo si denuncia insufficiente motivazione per avere la Corte di appello omesso di motivare la sussistenza del requisito ritenuto decisivo, rispetto al quale è mancato qualsiasi approfondimento motivazionale. 3. Il terzo motivo denuncia error in procedendo per violazione degli artt. 414 e 420 cod. procomma civ. in ordine all’ammissione delle prove. Si assume che era tardiva la richiesta di prova introdotta in primo grado dopo la memoria di parte convenuta. 4. Il primo motivo del ricorso incidentale condizionato denuncia violazione degli artt. 3 e 10-bis I. 241/90 e dell’art. 5 d.lgs. numero 165/01 per avere l’Avvocatura erariale svolto una difesa sulla base di una motivazione diversa da quella in precedenza adottata dall’Amministrazione regionale nel provvedimento di rigetto dell’istanza si era fatto cenno alla normativa contrattuale di cui all’art. 57, comma 9, CCRL, mentre in giudizio la difesa dell’Amministrazione aveva affermato la necessità della prova del nesso di causalità fra dimissioni e procedimento penale in relazione all’art. 3, comma 57, Legge numero 350/2003. 5. Il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato denuncia il mancato esame di questione rimasta assorbita in primo grado circa l’esistenza di ulteriori circostanze, oltre a quelle indicate in motivazione, idonee a fornire la prova della dipendenza tra processo penale e richiesta di collocamento anticipato a riposo. 6. Preliminarmente è infondata l’eccezione di tardività del ricorso principale proposta nel controricorso la sentenza impugnata venne depositata e dunque pubblicata il 26 gennaio 2013 il termine per proporre il ricorso sarebbe scaduto il 26 gennaio 2013, coincidente con la giornata di sabato, ma lo stesso è da ritenere prorogato ex lege al lunedì successivo 28 gennaio 2013 , ex art. 155, quinto comma, cod. procomma civ., come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. f , della legge 28 dicembre 2005, numero 263, quando il ricorso venne avviato alla notifica. È erroneo quanto sostenuto nel controricorso secondo cui il termine annuale sarebbe scaduto il 25 gennaio 2013. Il computo del termine di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 cod. procomma civ. è operato, ai sensi degli artt. 155, comma 2, cod. procomma civ. e 2963, comma 4, cod. civ. non ex numero , bensì ex nominatione dierum , sicché, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel periodo, il termine scade allo spirare della mezzanotte del giorno del mese corrispondente a quello in cui il termine ha cominciato a decorrere Cass. numero 17313 del 2017, numero 22699 del 2013 . 7. Tanto premesso, il ricorso principale è tuttavia infondato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato. 8. Va premesso che recentemente questa Corte è intervenuta in argomento, enunciando il principio secondo cui il pubblico dipendente che intenda fare valere il ripristino del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 3, comma 57, della l. numero 350 del 2003, ha l’onere di provare, quale elemento costitutivo dell’invocato diritto, il vincolo di consequenzialità tra la richiesta di anticipato collocamento in quiescenza e l’instaurazione del procedimento penale a suo carico. Nei casi in cui la domanda di collocamento in pensione sia stata presentata in epoca precedente all’entrata in vigore della citata legge, in un regime ordinamentale in cui non era consentito il ripristino e, dunque, non era richiesto al lavoratore di esplicitare la ragione della scelta, detto elemento costitutivo può essere dimostrato con ogni mezzo, anche con presunzioni, mediante l’allegazione di elementi e circostanze di fatto idonei a provare, in concreto, che il coinvolgimento nel processo penale determinò la richiesta di collocamento anticipato in quiescenza Cass. numero 10572 del 2017 . 8.1. Con questa sentenza si è affermato che il comma 57 si esprime testualmente affermando il diritto di ottenere il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego. In tal senso si era già espressa la giurisprudenza amministrativa Consiglio di Stato 26 gennaio 2009 numero 409 6 maggio 2008 numero 2063 . Resta tuttavia indispensabile ai fini del ripristino del rapporto, nei casi in cui il rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni del dipendente, il nesso di conseguenzialità, tra queste ultime e l’apertura del procedimento penale, conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento. La correlazione tra la domanda di anticipato collocamento in quiescenza e la instaurazione del processo penale costituisce elemento costitutivo della fattispecie disciplinata dall’art. 3 comma 57 della L. n 350 del 2003 e l’onere di provare il vincolo di conseguenzialità grava sul lavoratore, posto che gli artt. 2697 cod. civ. e 99 cod. procomma civ. impongono a colui che agisce l’onere di provare gli elementi costitutivi del diritto. 8.2. Si è anche precisato, con tale sentenza di questa Corte, che nei casi - come quello dedotto in giudizio - in cui la domanda di collocamento in pensione sia stata presentata in epoca precedente l’entrata in vigore della legge numero 309 del 2003 nel caso in esame, il 31.12.97 e in un regime ordinamentale che non prevedeva il ripristino del rapporto cessato a seguito di dimissioni, non era richiesto al lavoratore di esplicitare la ragione della scelta. Consegue che il nesso di conseguenzialità tra richiesta di collocamento anticipato in quiescenza e procedimento penale non doveva essere provato attraverso il dato documentale racchiuso in detta richiesta. Pertanto, il nesso di conseguenzialità tra i due eventi può raggiungersi con il ricorso alle presunzioni. Nulla esclude, pertanto, che il giudice tragga gli elementi del proprio convincimento dalle risultanze probatorie comunque acquisite agli atti anche attraverso il ricorso al ragionamento presuntivo Cass. SS.UU. numero 65672 del 2006 Cass. numero 9245 del 2007, numero 13665 del 2004 . Una diversa interpretazione si risolverebbe, infatti, in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 Cost 9. Nel caso in esame, con accertamento di fatto, la Corte di appello ha ritenuto sussistente la prova del nesso causale tra la domanda e l’instaurazione del processo penale alla stregua dell’esito della prova testimoniale. Ha difatti evidenziato che, in base alle deposizioni rese dai testi escussi dalla stessa Corte, era stato dimostrato che il ricorrente .in relazione all’instaurazione del processo penale .ebbe a manifestare una sua grande amarezza che lo aveva indotto a maturare il proposito di dimettersi . Il ragionamento inferenziale seguito dalla Corte di appello è logicamente corretto secondo la giurisprudenza di questa Corte, gli elementi assunti a fonte di prova presuntiva non debbono essere necessariamente più d’uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento purché grave e preciso, dovendosi il requisito della concordanza ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale ma non necessario concorso di più elementi presuntivi Cass. numero 19088 del 2007, numero 17574 del 2009, numero 656 del 2014 . Inoltre, rientra nei compiti del giudice di merito il giudizio circa l’opportunità di fondare la decisione sulla prova per presunzioni e circa l’idoneità degli stessi elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il principio dell’id quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata, immune da vizi logici o giuridici cfr. Cass. 16728 del 2006, numero 1216 del 2006, 3874 del 2002, 12422 del 2000 v. pure tra le più recenti, 4241 del 2016 . 10. Neppure è fondato il terzo motivo, con cui si censura la sentenza nella parte in cui ha ammesso la prova testimoniale in grado di appello, non ritenendo tardiva la relativa istanza istruttoria formulata in primo grado da parte ricorrente a seguito della memoria di costituzione di parte convenuta. È conforme a diritto quanto ritenuto dalla Corte territoriale, ossia che solo a seguito della specifica contestazione del fatto posto a fondamento della domanda, in relazione agli oneri gravanti sul convenuto ex art. 416 cod. procomma civ., era sorto l’onere del ricorrente di offrire la prova del fatto contestato ex plurimis, Cass. numero 13079 del 2008, numero 5356 del 2009 . 11. Il ricorso principale va dunque rigettato, con assorbimento di quello incidentale condizionato. La ricorrente principale va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, numero 55. 12. L’obbligo di versamento di un’ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata integralmente rigettata, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228, si applica ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, dovendosi aver riguardo, secondo i principi generali in tema di litispendenza, al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario, e non a quello in cui la notifica è stata richiesta all’ufficiale giudiziario o l’atto è stato spedito a mezzo del servizio postale secondo la procedura di cui alla legge 21 gennaio1994, numero 53 S.U. numero 3774 del 2014 . Poiché nel caso in esame il ricorso principale è stato notificato il 28 gennaio 2013, la disposizione anzidetta non trova applicazione nella specie. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.