In carcere per droga, assente in azienda: niente licenziamento

Scoperto il bluff del dipendente. Ciò nonostante, egli riesce a salvare il proprio posto di lavoro. Fatale la lentezza della società nell’ufficializzazione del provvedimento.

È finito in carcere per possesso di droga, ma ha volutamente occultato questo episodio all’azienda per cui lavora, giustificando in vario modo – legge 104, malattia, congedi parentali – le proprie assenze forzate. Il suo bluff è stato però scoperto. Nonostante ciò, l’uomo, dipendente di Fca Italy, è riuscito a salvare il posto di lavoro. Decisiva la lentezza mostrata dall’azienda nell’irrogazione del licenziamento Cassazione, ordinanza numero 20162, sezione sesta civile lavoro, depositata oggi . Giustificazioni. A mettere in allerta l’azienda è una lettera anonima. Da lì scattano accertamenti ulteriori, che permettono di appurare che un dipendente è stato arrestato perché trovato in possesso di 250 grammi di hashish e tradotto nella casa circondariale . Inevitabili le riflessioni da parte della società, secondo cui, innanzitutto, le giustificazioni delle assenze dal lavoro erano state effetto di frode in danno dell’ente previdenziale e del datore di lavoro . Ulteriore elemento negativo, poi, il fatto che lo spaccio poteva avvenire anche all’interno del luogo di lavoro . Per l’azienda è evidente la gravità dei fatti e legittima, quindi, la cessazione del rapporto di lavoro . A questo proposito, a fronte delle giustificazioni offerte il 9 settembre, in risposta alle contestazioni mossegli tre giorni prima, la società il 13 settembre comunica la sospensione del procedimento disciplinare per la necessità di disporre ulteriori verifiche e il 29 settembre commina il licenziamento con effetto immediato, assumendo essere emersa la responsabilità del lavoratore in ordine a quanto contestatogli . Proprio le date inchiodano l’azienda. Per i giudici del Tribunale e della Corte d’appello, difatti, l’irrogazione della sanzione espulsiva, a distanza di diciannove giorni dalla presentazione delle giustificazioni da parte del lavoratore viola i paletti fissati dal contratto, che prevede che, qualora il provvedimento disciplinare non venga comminato entro i sei giorni successivi a tali giustificazioni, esse debbano ritenersi accolte . A corredo di questa visione, poi, viene anche evidenziato che non è ravvisabile nella condotta datoriale alcun serio elemento giustificativo tale da determinare il ritardo nell’adozione della sanzione espulsiva . Ritardo. Salvo, quindi, il posto di lavoro del dipendente di Fca. E su questo punto concordano anche i Giudici della Cassazione, che respingono le obiezioni proposte dai legali dell’azienda. Nessun dubbio, in sostanza, sulla mancanza di tempestività nella intimazione del licenziamento . E questo dettaglio è ritenuto decisivo, poiché, ricordano i giudici, il difetto di tale requisito è considerato significativo della volontà del datore di lavoro di accettare le eventuali giustificazioni del lavoratore, al quale l’addebito sia stato contestato, o comunque di valutare la condotta del lavoratore stesso come non di gravità tale da legittimare il licenziamento . In questa vicenda, peraltro, le giustificazioni del lavoratore erano state una mera negazione degli addebiti, senza allegazioni di ulteriori o diverse circostanze fattuali , e quindi, osservano i magistrati, era agevole per la società riscontrare l’avvenuto arresto e la concomitante assenza del dipendente . Tutto ciò spinge ad escludere giustificazioni per il ritardo nell’emissione della sanzione espulsiva . Confermata, di conseguenza, la valutazione compiuta in Tribunale e in Appello, valutazione che conduce alla conferma della illegittimità del licenziamento , con l’azienda obbligata a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e a versargli il risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni maturate .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 23 maggio – 30 luglio 2018, n. 20162 Presidente Doronzo – Relatore Ghinoy Rilevato che 1. Fiat Chrysler Italy s.p.a. FCA Italy con lettera del 6.9.2010 contestava ad An. Bi. che, a seguito di lettera anonima e di conseguenti accertamenti presso il sito Internet della Provincia, dei Carabinieri e di un quotidiano online, era emerso l'arresto di un soggetto con iniziali B.A., trovato in possesso di 250 g. di hashish, che veniva tradotto nella Casa circondariale di Cassino. Si aggiungeva che, se effettivamente il Bi. era la persona arrestata dai Carabinieri, le giustificazioni delle assenze dal lavoro successive al 9 giugno formalmente dovute a fruizione dei permessi ex L. 104 del 1992, malattia, congedi parentali ed altro erano state effetto di frode in danno dell'ente previdenziale e del datore di lavoro inoltre, ove l'arresto fosse effettivamente avvenuto per il motivo riportato, la quantità dello stupefacente, il cui spaccio poteva avvenire anche all'interno del luogo di lavoro, nonché la gravità dei fatti, erano idonee a determinare la cessazione del rapporto di lavoro. 2. All'esito delle giustificazioni del Bi., che con lettera del 9 settembre 2010 affermava che né lo spaccio di droga, né la falsificazione di documenti, né la truffa appartenevano ed erano mai appartenute al suo modo di essere, la società con lettera del 29.9.2010 - che faceva seguito ad altra del 13.9.2010 con la quale la società comunicava la sospensione del procedimento disciplinare per la necessità di disporre ulteriori verifiche - comminava il licenziamento con effetto immediato, assumendo essere emersa la responsabilità del lavoratore in ordine a quanto contestatogli. 3. Nel giudizio proposto da An. Bi., la Corte d'appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Cassino che aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento e disposto la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni maturate. 4. La Corte territoriale confermava la valutazione del primo giudice, nella parte in cui aveva ritenuto che l'irrogazione della sanzione espulsiva a distanza di 19 giorni dalla presentazione delle giustificazioni da parte del lavoratore violasse l'art. 8 titolo VII del C.C.N.L. metalmeccanici, che prevede che qualora il provvedimento disciplinare non venga comminato entro i sei giorni successivi a tali giustificazioni, le stesse debbano ritenersi accolte, non essendo ravvisabile nella condotta datoriale alcun serio elemento giustificativo tale da determinare il ritardo nell'adozione della sanzione espulsiva. 5. Fiat Chrysler Italy s.p.a. FCA Italy ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, a fondamento del quale formula due motivi, cui resiste con controricorso An. Bi 6. La società ha depositato anche memoria ex art. 380 bis comma 2 c.p.c. Considerato che 1. con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 1362 e seguenti c.c., dell'art. 152 c.p.c, dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970 e dell'art. 8 del C.C.N.L. metalmeccanici, per avere la Corte territoriale ritenuto che il termine finale del procedimento disciplinare di cui all'art. 8 del C.C.N.L. sia perentorio. 2. Come secondo motivo, deduce la nullità della sentenza per manifesta e/o irriducibile contraddittorietà e/o mera apparenza della motivazione laddove, pur ritenendo la contestazione disciplinare sufficientemente specifica, ha poi dichiarato che essa è affetto da illegittimità insanabile per la violazione dei criteri di tempestività e immediatezza. 3. Il ricorso non è fondato. In ordine al secondo motivo, logicamente preliminare, basta osservare che la Corte territoriale ha proceduto al giudizio in ordine alla tempestività della contestazione dopo avere superato positivamente il vaglio di specificità della stessa, il cui esito negativo sarebbe stato preclusivo di ulteriore esame. Nessuna contraddizione pertanto può in tal senso ravvisarsi. 4. In ordine alla questione posta con il primo motivo, la sentenza ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto più volte affermati da questa Corte, secondo i quali l'intimazione del licenziamento disciplinare - al pari, più in generale, dell'irrogazione delle sanzioni disciplinari - deve essere connotata dal carattere di tempestività , non diversamente dalla contestazione dell'addebito tra le tante Cass. n. 17058 del 2003 . Il difetto di tale requisito è infatti significativo della volontà del datore di lavoro di accettare le eventuali giustificazioni del lavoratore, al quale l'addebito sia stato contestato, o comunque di valutare la condotta del lavoratore stesso come non di gravità tale da legittimare il licenziamento. 4. Si è poi aggiunto che il carattere della tempestività può tradursi, più puntualmente, in una specifica garanzia procedimentale prevista dalla contrattazione collettiva che è abilitata anche ad introdurre un termine perentorio per l'esercizio del potere disciplinare Cass. n. 9767 del 2011 , ossia uno spatium deliberandi massimo fissato in una misura ben precisa - che va a schermare il canone meno preciso della tempestività dell'adozione del provvedimento disciplinare - perché il datore di lavoro possa valutare le eventuali giustificazioni addotte dal lavoratore incolpato Cass. n. 5116 del 2012 . In tal senso si è espressa questa Corte, anche con riferimento all'art. 23, co. 4, CCNL 18 gennaio 1987 per i lavoratori dell'industria metalmeccanica privata, che prevedeva una clausola di identico tenore rispetto a quella qui in oggetto cfr. Cass. n. 2663 del 1994 Cass. n. 10547 del 1994 Cass. n. 15102 del 2012 f e, da ultimo, Cass. n. 17113 del 16/08/2016 ha ribadito che la violazione del termine per l'adozione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, stabilito dalla contrattazione collettiva nella specie, dall'art. 8, comma 4, del c.c.n.l. Metalmeccanici , è idonea a integrare una violazione della procedura di cui all'art. 7 st.lav., tale da rendere operativa la tutela prevista dall'art. 18, comma 6, dello stesso Statuto, come modificato dalla I. n. 92 del 2012 in termini, sull'applicazione del VI comma dell'art. 18 novellato in caso di violazione dei termini del procedimento disciplinare previsti dal contratto collettivo v. da ultimo Cass. S.U. n. 30985 del 27/12/2017 pgg. 15 e 18 . 4. La Corte territoriale ha peraltro ulteriormente argomentato la ritenuta tardività dell'irrogazione della sanzione espulsiva, là ove ha affermato, all'esito dell'esame delle risultanze fattuali, che nel caso non era ravvisabile nella condotta datoriale alcun serio elemento giustificativo che legittimasse la procrastinazione dell'emissione della sanzione espulsiva a distanza di 19 giorni dalla presentazione delle giustificazioni da parte del lavoratore e dunque il superamento del termine previsto dal contratto collettivo. Ha infatti rilevato che le giustificazioni del lavoratore erano state una mera negazione degli addebiti, senza allegazioni di ulteriori o diverse circostanze fattuali che era agevole per la società riscontrare l’avvenuto arresto e la concomitante assenza dal lavoro del Bi. che non era stata comunicata alcuna ripresa del procedimento disciplinare, né risultava quali indagini fossero state compiute nel frattempo e quali ulteriori elementi di riscontro avessero fornito. 5. Tale valutazione non è stata contestata mediante un pertinente motivo di ricorso, ed ancora nella memoria FCA si limita a ribadire la peculiarità della situazione fattuale che nel caso si è verificata, riproponendo però l'esame delle circostanze che sono state puntualmente esaminate dal giudice di merito e chiedendo in sostanza una diversa valutazione in merito alla sussistenza o meno delle ragioni giustificative del ritardo, valutazione che compete al giudice di merito così Cass. n. 281 del 12/01/2016, Cass. n. 13955 del 19/06/2014 . 6. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 375, comma 1, n. 5, cod. proc. civ 7. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza. 8. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del D.Lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.