Concorso INPS, assegno ad personam non concesso all’avvocato vincitore proveniente da altro Istituto

L’assegno ad personam, in materia di pubblico impiego privatizzato, si riferisce solamente ai casi di passaggio di carriera da parte dei dipendenti statali, compresa l’ipotesi dell’accesso mediante concorso, mentre non è applicabile alle altre categorie di dipendenti pubblici.

Così si è espressa la Corte di cassazione con sentenza n. 19437/18 depositata il 20 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Bologna accoglieva l’appello proposto dall’INPS e respingeva la domanda proposta da un avvocato, volto al riconoscimento dell’assegno ad personam , ex art. 3, commi 57 e 58, l. n. 537/1993. L’avvocato, dirigente presso l’INPDAP e successivamente vincitore di un concorso per avvocato presso l’INPS, durante il periodo di prova presso tale istituto aveva rassegnato le sue dimissioni poiché non era stata accolta la sua domanda diretta ad ottenere il suddetto assegno pertanto, propone, tramite difensore di fiducia, ricorso in Cassazione. Le condizioni per la concessione dell’assegno. L’assegno ad personam , ribadisce il Supremo Collegio, è riconosciuto per i passaggi di carriera presso la stessa o diversa amministrazione dello Stato, non è invece applicabile ad altre categorie di dipendenti pubblici, anche se non assume rilievo il fatto che all’entrata in vigore della citata l. n. 537/1993 fosse già intervenuta la privatizzazione del pubblico impiego d. lgs. N. 29/1993 , dato che il mutamento della natura giuridica del rapporto di lavoro non ne ha determinato l’unificazione della disciplina in materia. Nel caso di specie non si tratta di un passaggio di carriera ma della costituzione ex novo di un rapporto di lavoro presso l’INPS, ente pubblico non economico. Il ricorso va dunque rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 21 marzo – 20 luglio 2018, numero 19437 Presidente Napoletano – Relatore Blasutto Fatto e diritto Rilevato che 1. La Corte di appello di Bologna, accogliendo l’appello proposto dall’INPS, ha riformato la sentenza di primo grado e respinto la domanda proposta dall’avv. F.G. , volto al riconoscimento dell’assegno ad personam ex articolo 3, commi 57 e 58 legge numero 537 del 1993. Il F. , dirigente presso l’INPDAP, vincitore di un concorso per avvocato presso l’INPS aveva sottoscritto il relativo contratto, ma durante il periodo di prova aveva rassegnato le sue dimissioni, non essendo stata accolta la sua domanda diretta ad ottenere il suddetto assegno. In data 18 giugno 2004 aveva presentato domanda di riammissione in servizio presso l’INPS, unitamente alla richiesta intesa al riconoscimento dell’assegno. A seguito del rigetto opposto dall’Istituto, aveva adito il Giudice del lavoro del Tribunale di Ravenna, che accoglieva entrambe le domande. 2. L’appello dell’INPS veniva accolto in parte la Corte territoriale confermava il capo della sentenza di primo grado relativa al diritto del ricorrente ad essere riammesso in servizio nello stato in cui si trovava al momento delle dimissioni e quindi nel periodo di prova. Riteneva invece fondato il secondo motivo, secondo cui la norma di cui all’articolo 3, commi 57 e 58 legge numero 537 del 1993 riguarda solo le Amministrazioni dello Stato e non il passaggio tra enti pubblici. 3. Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’avv. F. con unico motivo, al quale resiste l’INPS con controricorso. Il ricorrente ha altresì depositato memoria. Considerato che 1. Con unico motivo si denuncia violazione di legge in relazione all’articolo 3, commi 57 e 58 legge n 537 del 1993. Si deduce che, all’atto dell’assunzione, al ricorrente venne attribuito il trattamento economico iniziale contrattualmente previsto per il personale dell’Istituto in relazione alla qualifica conseguita e secondo quanto previsto dall’articolo 9 del bando di concorso. Si assume che il rigetto, motivato dalla non estendibilità dell’assegno contemplato per i passaggi di carriera presso la stessa o diversa amministrazione dello Stato ai sensi dell’articolo 202 t.u. 3/57 all’INPS, in quanto estraneo all’Amministrazione statale, sarebbe errato alla luce dell’intero sistema contemplato dal d.lgs. 165/01, dove gli istituti che riguardano il passaggio di personale tra diverse amministrazioni v. artt. 30 e 31 pacificamente trova applicazione anche agli enti pubblici non economici. Si precisa poi che, nel caso in esame, la controversia non involge la natura riassorbibile o meno dell’assegno, ma in radice la sua spettanza. 2. L’INPS ha opposto, in controricorso, che la recente giurisprudenza amministrativa ha escluso che l’istituto in esame possa trovare applicazione in via estensiva, essendo norma di stretta interpretazione, valevole solo per l’organizzazione burocratica dello Stato-apparato o Stato-amministrazione e ha altresì rilevato che nel caso di specie non si tratta neppure di un passaggio di carriera, ma della costituzione ex novo di un rapporto di lavoro presso l’INPS, ente pubblico non economico, a seguito di superamento di un concorso per il reperimento di specifiche professionalità. 3. Il ricorso è infondato. 4. In materia di pubblico impiego privatizzato, l’assegno ad personam, previsto dall’articolo 202 del d.P.R. numero 3 del 1957, innovato dall’articolo 3, comma 57, della legge numero 537 del 1993, si riferisce esclusivamente ai casi di passaggio di carriera da parte dei dipendenti statali, compreso il caso dell’accesso per concorso, e non è applicabile alle altre categorie di dipendenti pubblici, non assumendo, a tal fine, rilievo il fatto che all’entrata in vigore della legge numero 537 del 1993 fosse già intervenuta la privatizzazione del pubblico impiego ad opera del d.lgs. numero 29 del 1993, posto che il mutamento della natura giuridica del rapporto di lavoro non ne ha certamente determinato l’unificazione della disciplina Cass. numero 17645 del 2009 conf. Cass. 11985 del 2010 . 5. Detti principi devono essere ribaditi, per le ragioni tutte indicate nella motivazione delle sentenze sopra richiamate, da intendersi qui trascritte ex articolo 118 disp. att. cod. proc. civ 6. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’articolo 2 del D.M. 10 marzo 2014, numero 55. 7. Sussistono i presupposti processuali nella specie, rigetto del ricorso per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 legge di stabilità 2013 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma1-bis, dello stesso articolo 13.