I mezzi idonei per la prova dell’avviso di destinazione della lettera di recesso

Nel caso di recesso dal rapporto di lavoro avvenuto mediante utilizzo del servizio postale, la prova dell’avviso di destinazione del relativo documento deve essere particolarmente rigorosa.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 18823/128 depositata il 16 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Lecce accoglieva il reclamo proposto dalla lavoratrice e, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento intimatole dalla società datrice di lavoro, denunciando che alla contestazione degli addebiti mossi alla lavoratrice, consistenti nell’assenza ingiustificata dal lavoro, inviata con lettera raccomandata, ella aveva risposto via fax, tramite il proprio difensore di fiducia la notifica a mezzo servizio postale non si era esaurita con la spedizione dell’atto ma si era perfezionata con la consegna del plico al destinatario l’avviso di ricevimento era il solo documento idoneo a provare l’intervenuta consegna, la data e l’identità della persona, ex art. 149 c.p.c La datrice di lavoro ricorre così in Cassazione. La comunicazione del recesso dal rapporto di lavoro. Ribadisce il Supremo Collegio che, in contrasto con quanto indicato dai Giudici di seconde cure, i quali sostengono che, sulla base dell’art. 149 c.p.c., l’unico modo per dimostrare la data di consegna della lettera di recesso è l’avviso di ricevimento, in ipotesi di comunicazione del recesso dal rapporto di lavoro mediante impiego del servizio postale, la prova dell’avviso di destinazione del relativo documento deve essere rigorosa, e se non viene data mediante l’avviso di ricevimento della raccomandata o con l’attestazione del periodo di giacenza di questo presso l’ufficio postale, deve essere fornito con mezzi idonei, anche mediante presunzioni, purché caratterizzate dai requisiti legali della gravità, della precisazione e della concordanza . Per questo motivo, la Suprema Corte accoglie il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 aprile – 16 luglio 2018, n. 18823 Presidente Nobile – Relatore Cinque Fatti di causa 1. Il Tribunale di Taranto, con la pronuncia n. 3407/2015, ha rigettato l’opposizione proposta da D.P. nei confronti di Poste Italiane spa, avverso l’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria del rito Fornero, con la quale il licenziamento disciplinare impugnato dalla lavoratrice era stato ritenuto legittimo. 2. La Corte di appello di Lecce Sezione Distaccata di Taranto con la sentenza n. 64/2016 ha accolto il reclamo proposto dalla D. e, in riforma della pronuncia impugnata, ha invece dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato dalla società con lettera del 25.3.2014 ha ordinato, poi, la immediata reintegrazione nel posto di lavoro e con le mansioni di cui al contratto sottoscritto il 26.5.2001, qualificato come a tempo indeterminato a seguito di sentenza del 10.4.2013 ha condannato, infine, la società al pagamento delle retribuzioni omesse dal 13.3.2014, oltre alla regolarizzazione contributiva. 3. A fondamento del decisum, in sintesi, la Corte territoriale ha rilevato che 1 la contestazione degli addebiti mossi alla D. , consistenti nell’assenza ingiustificata dal lavoro, era datata 10.2.2014 e recava, manoscritta, l’indicazione minuta ed il numero della raccomandata AR del 13.2.2014 a mezzo della quale sarebbe stata spedita 2 a tale contestazione la D. aveva risposto via fax, tramite il proprio difensore, con lettera del 17.3.2014 3 il provvedimento di licenziamento, datato 25.3.2014, era stato notificato per compiuta giacenza il 12.5.2014 e, quindi, oltre i 30 giorni di cui all’art. 55 comma IV del CCNL Poste Italiane spa 4 la notifica a mezzo del servizio postale non si era esaurita con la spedizione dell’atto ma si era perfezionata con la consegna del relativo plico al destinatario 5 l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 cpc era il solo documento idoneo a provare l’intervenuta consegna, la data e l’identità della persona a mani della quale era stata eseguita, non essendo a tal uopo sufficiente lo storico di Poste Italiane spa che permetteva la sola tracciabilità della corrispondenza 6 in ogni caso il licenziamento, oltre ad esser tardivo, era anche non proporzionato agli addebiti perché dal primo giudice non era stata tenuta in conto la specificità del caso concreto che avrebbe dovuto indurre riflessioni diverse in tema di arbitrarietà dell’assenza. 4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane spa affidato a quattro motivi. 5. Ha resistito con controricorso D.P. . Ragioni della decisione 1. I motivi possono essere così sintetizzati. 2. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, dell’art. 55 comma IV del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti del gruppo Poste Italiane spa, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che il termine decadenziale, previsto dalla suddetta disposizione, imponeva che il provvedimento non solo venisse inviato entro i 30 giorni del termine, ma che lo stesso dovesse essere altresì ricevuto dal lavoratore entro il medesimo termine, contrastando la interpretazione dei giudici di seconde cure con il tenore letterale della norma che recita testualmente che la comunicazione del provvedimento deve essere inviata per iscritto al lavoratore entro e non oltre 30 giorni inoltre la società deduce che, in ogni caso, per il rispetto del termine occorreva avere riguardo al tentativo di consegna della raccomandata e non a quello in cui si perfezionava la compiuta giacenza. 3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 149 cpc, per avere erroneamente la Corte territoriale affermato che, ai sensi della richiamata norma procedurale, l’unico modo per dimostrare la data di consegna della lettera di recesso era l’avviso di ricevimento sostiene la società che il richiamo alla suddetta disposizione era errato e che lo storico , avendo riguardo all’unica attività da provare, costituiva un mezzo di prova adeguato a dimostrare la circostanza. 4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, della violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cc e del’art. 54 del CCNL Poste, per avere erroneamente ritenuto la Corte di appello che, nel caso in esame, il licenziamento era sproporzionato in quanto la pendenza di un giudizio avente ad oggetto l’accertamento della legittimità di un trasferimento avrebbe reso meno grave il rifiuto del dipendente di svolgere la propria prestazione lavorativa presso la sede di destinazione e ciò a prescindere dalla fondatezza o meno del giudizio azionato dal lavoratore rileva la società che, invece, nel caso in esame l’assenza della lavoratrice era da considerarsi arbitraria in quanto, a seguito di convocazione per l’espletamento delle formalità necessarie al concreto ripristino del rapporto di lavoro in virtù di altra sentenza della Corte di appello, la dipendente dopo un periodo di malattia per un periodo superiore a 60 gg non aveva ritenuto presentarsi presso la filiale di . 5. Con il quarto motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 300/1970 perché, anche in ipotesi di licenziamento tempestivo e grave, la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare la disciplina di cui al V comma dell’art. 18 citato, nuova formulazione, dichiarando comunque risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data di licenziamento. 6. Il primo motivo è fondato. 7. Giova precisare che la denunzia di violazione o falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro nazionali, ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 3 cpc, come modificato dall’art. 2 del D.Lgs 2 febbraio 2006 n. 40, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché anche essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale art. 1362 cc come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dei canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche o insufficienti cfr. Cass. 19.3.2014 n. 6335 . 8. Orbene, nel caso di specie, la disposizione di cui al quarto comma dell’art. 55 del CCNL di settore, testualmente recita la comunicazione del provvedimento deve essere inviata per iscritto al lavoratore entro e non oltre 30 giorni dal termine di scadenza della presentazione delle giustificazioni . 9. Osserva il Collegio che il dato letterale, ove si fa riferimento all’invio e non anche alla ricezione del provvedimento, è chiara e preclude già di per sé la ricerca di una volontà diversa cfr. Cass n. 12360/2014 Cass. n. 6366/2008 non essendovi alcuna perplessità sull’effettiva portata del significato della clausola. 10. Ma anche sotto un profilo logico-sistematico l’uso del verbo inviare non può che essere riferito al solo inoltro e non anche ad altre attività successive. 11. Invero, vertendosi in tema di decadenza prevista dalla disposizione contrattuale collettiva in esame , secondo i principi enunciati in sede di legittimità cfr. in termini Cass. Sez. Un. 14.4.2010 n. 8830 Cass. 24.3.2011 n. 6757 l’effetto impeditivo di essa va collegato al compimento, da parte del soggetto onerato, unicamente dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio -idoneo a garantire un adeguato affidamento sottratto alla sua ingerenza, in ragione di un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti. 12. Inoltre, non è condivisibile neanche l’argomentazione della gravata pronuncia secondo cui, ai fini del rispetto del termine, andrebbe considerato quello in cui si perfeziona la eventuale compiuta giacenza perché questa Corte, in altre fattispecie che tuttavia presentano la medesima problematica di quella oggetto del presente ricorso, ha precisato che qualora la comunicazione di un atto avvenga con lettera raccomandata, questa si presume conosciuta al momento in cui giunge al domicilio del destinatario ovvero, nel caso in cui la lettera non sia stata consegnata per assenza di questi o di altra persona abilitata a riceverla, dal momento del rilascio del relativo avviso di giacenza presso l’ufficio postale cfr. Cass. 24.3.2003 n. 6527 Cass. 31.3.2016 n. 6256 Cass. 10.12.2013 n. 27526 restando, pertanto, irrilevante ai fini della tempestività il periodo legale del compimento della giacenza e quello intercorso tra l’avviso della giacenza e l’eventuale ritiro dell’atto. 13. La Corte territoriale non si è attenuta a tali principi di talché le censure sono fondate. 14. Anche il secondo motivo è meritevole di accoglimento. 15. L’assunto dei giudici di seconde cure, secondo i quali, argomentando sulla base dell’art. 149 cpc, l’unico modo per dimostrare la data della consegna della lettera di recesso sarebbe l’avviso di ricevimento, contrasta con il principio stabilito da questa Corte cfr. Cass 4.3.2003 n. 3195 , cui si intende dare seguito, in virtù del quale è stato precisato che in ipotesi di comunicazione del recesso dal rapporto di lavoro mediante impiego del servizio postale, la prova dell’avviso di destinazione del relativo documento deve essere particolarmente rigorosa e, se non viene data mediante l’avviso di ricevimento della raccomandata o con l’attestazione del periodo di giacenza di questo presso l’ufficio postale, deve essere fornito con mezzi idonei, anche mediante presunzioni, purché caratterizzate dai requisiti legali della gravità, della precisazione e della concordanza cfr. Cass. 5.5.1999 n. 4525 . Non è quindi esatto affermare che il solo modo per provare la consegna della lettera sia quello previsto dall’art. 149 cpc che riguarda, peraltro, specificamente la materia delle notifiche a mezzo servizio postale. 16. Il terzo motivo non è, invece, fondato. 17. La Corte territoriale ha escluso, in sostanza, la sussistenza di una giusta causa di licenziamento avuto riguardo al fatto che, dalle circostanze del caso concreto, non era emerso che il rifiuto della lavoratrice fosse contrario a buona fede. 18. Invero, il licenziamento nel caso de quo era stato adottato per assenza ingiustificata dal lavoro presso la sede di , ove la dipendente era stata trasferita successivamente all’ordine di reintegrazione di cui alla sentenza della Corte di appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, n. 1326/2013 in un giudizio avente ad oggetto la nullità del temine di durata apposto al contratto stipulato il 26.5.2001, nella pendenza di un contenzioso tra le parti avente ad oggetto proprio la legittimità dell’assegnazione della lavoratrice ad una sede diversa da quella originaria. 19.1 giudici di seconde cure, pertanto, hanno correttamente proceduto ad una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti avuto riguardo alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economica sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse cfr. Cass. 29.2.2016 n. 3959 Cass. 16.5.2006 n. 11430 , rilevando appunto che il rifiuto della D. fosse giustificato, anche alla luce di un primo provvedimento cautelare ad essa favorevole, e non integrasse violazione degli obblighi di diligenza e correttezza. 20. Con motivazione immune da vizi logici e giuridici, quindi, incensurabile in cassazione Cass. 24.7.2017 n. 18178 Cass. 23.3.2012 n. 4709 la Corte di merito non ha giustificato, quindi, in via automatica il rifiuto all’osservanza del provvedimento con la conseguente sospensione dell’attività lavorativa, ma ha ritenuto il comportamento della lavoratrice, proprio per il preesistente stato dei rapporti tra le parti, non grave in quanto non arbitrario e contrario a buona fede. 21. Il quarto motivo, infine, è fondato. 22. Infatti, la Corte territoriale, una volta operato il giudizio di gravità della condotta in termini negativi e non essendo stato prospettato, nell’interesse della lavoratrice, uno scollamento tra il comportamento addebitato e le eventuali previsioni della contrattazione collettiva, avrebbe dovuto, in ordine alla valutazione di non proporzionalità rispetto al fatto intimato e come accertato, applicare il disposto di cui all’art. 18 comma V St. lav., rientrando la fattispecie nelle altre ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali la suddetta disposizione prevede la tutela indennitaria cd. forte. 23. La novella del 2012, applicabile ratione temporis, ha introdotto una graduazione delle ipotesi di illegittimità della sanzione espulsiva dettata da motivi disciplinari, facendo corrispondere a quelle di maggiore evidenza la sanzione della reintegrazione e limitando la tutela risarcitoria alla ipotesi del difetto di proporzionalità che non risulti dalle previsioni del contratto collettivo, con la conseguenza che il giudice deve procedere ad un giudizio più completo ed articolato rispetto al passato, dovendo accertare non solo se sussistano o meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, ma, nel caso in cui lo escluda, anche il grado di divergenza della condotta datoriale dal modello legale e contrattuale cfr. Cass. 25.5.2017 n. 13178 . 24. Alla stregua di quanto esposto, vanno accolti il primo, secondo e quarto motivo del ricorso, mentre deve essere rigettato il terzo la sentenza deve essere pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata ad altro giudice, che si individua nella Corte di appello di Lecce, per uno nuovo esame attenendosi ai principi sopra esposti e provvedendo altresì alle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo, secondo e quarto motivo del ricorso rigetta il terzo cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Lecce cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.