Il dipendente assenteista citato in giudizio per truffa non può chiedere al datore di lavoro il rimborso delle spese legali

Anche laddove il procedimento penale per truffa a carico di un dipendente pubblico assenteista si sia concluso con l’archiviazione, la domanda di rimborso delle spese legali sostenute per la difesa deve essere rigettata non essendovi il presupposto della possibilità di scelta di un legale di comune gradimento.

Sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17874/18, depositata il 6 luglio. Il caso. Il Tribunale di Matera rigettava la domanda della dipendente di un ospedale che aveva agito in giudizio per il rimborso delle spese legali sostenute per la difesa in un processo per truffa conclusosi con l’archiviazione. Avverso la sentenza d’appello che confermava la decisione, la soccombente ricorre in Cassazione. La ricorrente si duole per aver il giudice negato il rimborso delle spese legali sulla base dell’assenza di un conflitto di interessi con l’amministrazione di appartenenza posto che il procedimento penale per truffa era stato aperto a seguito delle segnalazioni da parte dello stesso ospedale circa le numerose ed arbitrarie assenze della dipendente. Presupposti del rimborso. La doglianza non trova condivisione da parte degli Ermellini che sottolineano come il giudice di merito abbia correttamente escluso la sussistenza del presupposto della scelta di un legale di comune gradimento, rilevante ai sensi dell’art. 67, comma 1, d.P.R. n. 270/1987 ai fini del rimborso delle spese legali, essendo stato il processo penale avviato a seguito della denuncia per truffa della stessa struttura ospedaliera. Circostanza rispetto alla quale è ininfluente l’esito del procedimento. La giurisprudenza è infatti ferma nel ritenere che presupposto del diritto al rimborso è che la condotta non sia stata il frutto di iniziative autonome, contrarie ai doveri funzionali o in contrasto con la volontà del datore di lavoro . In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 21 marzo – 6 luglio 2018, numero 17874 Presidente Napoletano – Relatore De Felice Fatto e diritto Rilevato che la Corte d’Appello di Potenza, a conferma della pronuncia del Tribunale di Matera, ha rigettato la domanda di A.L.S. , dipendente dell’ospedale di , rivolta a sentir dichiarare il suo diritto di rimborso delle spese legali sostenute per la difesa nel processo per truffa definito con archiviazione nel 2005 la Corte territoriale ha ritenuto che ai sensi dell’art. 67, comma 1, del d.P.R. numero 268/1987, mancasse il presupposto stesso del diritto al rimborso, costituito dall’assenza di un conflitto d’interessi con l’amministrazione di appartenenza, dal momento che il procedimento a carico dell’appellante era stato avviato su denuncia dello stesso Ospedale e a nulla rilevando l’esito favorevole del giudizio avverso tale pronuncia ricorre A.S.L. con una censura, mentre la Gestione liquidatoria Azienda Sanitaria U.S.L. numero di Montalbano Jonico resiste con tempestivo controricorso entrambe le parti hanno depositato memoria la Procura Generale si è pronunciata per il rigetto del ricorso. Considerato che con l’unica censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co.1, numero 3 e numero 5 del cod. proc. civ., la ricorrente deduce Violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 1 del d.P.R. numero 268/1987 con il quale è stato recepito l’accordo per il triennio 1985/1987 relativo al comparto del personale degli enti locali. Contraddittoria motivazione . La ricorrente innanzitutto censura l’affermazione della Corte territoriale secondo cui il procedimento penale per truffa si sarebbe aperto su denuncia della stessa Direzione dell’Ospedale, risultando dal provvedimento di archiviazione disposto dal GIP, in contrario, che i Carabinieri di Policoro avevano appreso delle assenze arbitrarie di numerosi dipendenti dell’Ospedale civico da fonte confidenziale. Con riferimento all’interpretazione della norma in epigrafe offerta dalla Corte d’Appello, parte ricorrente ritiene che la norma in epigrafe avrebbe lasciato lo spazio ad una verifica ex post del tipo di reato per il quale si era aperto il procedimento, al fine di appurare l’assenza di un conflitto di interessi, alla cui stregua sarebbe stato possibile nominare un legale di comune gradimento. Conclude quindi che, nel caso de quo, l’assoluzione con formula piena avrebbe fatto venir meno qualsiasi conflitto di interessi tale da escludere l’applicazione dell’art. 67, e che a ciò non avrebbe fatto ostacolo neppure l’assenza dell’attivazione della procedura di comunicazione prevista dalla stessa norma la censura è infondata la Corte d’Appello ha accertato, con motivazione esente da vizi, anche attraverso il richiamo alla decisione di prime cure, come nel caso in esame non sussistesse il presupposto per la scelta di un legale di comune gradimento, a norma dell’art. 67, co.1 del d.P.R. numero 270/1987, essendo stato il processo penale avviato in seguito alla denuncia per truffa da parte della struttura ospedaliera di appartenenza dell’appellante. Ha, quindi, richiamato la giurisprudenza di questa Corte, la quale ritiene che presupposto del diritto al rimborso è che la condotta non sia stata il frutto di iniziative autonome, contrarie ai doveri funzionali o in contrasto con la volontà del datore di lavoro Cass. numero 25379/2011 la richiesta di una nuova verifica in ordine alla sussistenza o meno di un siffatto presupposto costituisce, da parte della ricorrente, il tentativo di introdurre una questione che attiene al merito della causa, inibito in sede di legittimità per quanto riguarda, poi, la pretesa di operare una verifica ex post della sussistenza del predetto conflitto d’interesse, in dipendenza dall’esito del processo penale, tale possibilità appare esclusa dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale si è assestata sull’assunto secondo cui, nel valutare il diritto alle spese legali sostenute dal dipendente, il conflitto d’interessi rileva indipendentemente dall’esito del giudizio penale e dalla relativa formula di assoluzione Cass. numero 2297/2014 Cass. numero 5718/2011. Da ultimo cfr. anche Cass. numero 16396/2017 la Corte d’Appello di Potenza, ha, dunque, fatto corretta applicazione al caso in esame dei principi espressi in materia dalla giurisprudenza di legittimità. In definitiva, essendo la censura infondata, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, nei confronti della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 4.000 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.