La «non scarsa importanza» dell’infrazione e la tutela del lavoratore per la legittimità del licenziamento

In tema di licenziamento disciplinare per valutare la correttezza della sanzione espulsiva il giudice è tenuto a considerare le circostanze del caso concreto per affermare la proporzionalità tra l’inadempimento del lavoratore e la sanzione.

Sul tema la Cassazione con ordinanza n. 17887/18, depositata il 6 luglio. La vicenda. Il Giudice di secondo grado, riformando la decisione di prime cure, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato alla lavoratrice. In particolare la Corte d’Appello aveva ritenuto che la sanzione espulsiva fosse eccessivamente sproporzionata rispetto alla condotta omissiva del lavoratore al quale era contestato di non aver trasmesso all’ufficio contabilità dei consuntivi delle lavorazioni svolte da una ditta subappaltatrice a favore di un cliente della società datrice di lavoro. Quest’ultima, non accettando la decisione di merito, ha proposto ricorso per cassazione. Proporzionalità tra infrazione e sanzione. Il ricorrente lamenta l’errata valutazione dei Giudici di merito circa il giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione contestata. Per risolvere la controversia la Cassazione ha ribadito il principio di diritto secondo cui per accertare la proporzionalità o adeguatezza della sanzione rispetto all’illecito commesso è necessario valutare la gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso . Per detta valutazione è necessario considerare che l’inadempimento, se provato dal datore di lavoro su cui incombe l’onere della prova , deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c. . Da quanto premesso consegue che il licenziamento, quale massima sanzione disciplinare, è giustificato solo in presenza di un notevole inadempimento degli oneri contrattuali tale da non consentire la prosecuzione del rapporto. Nella fattispecie in esame, osservano gli Ermellini, correttamente la Corte territoriale ha valutazione le circostanze del caso concreto, in particolare l’assenza di recidiva, il tipo di condotta omissiva nonché la permanenza dei rapporti di appalto, per ritenere la non proporzionalità tra la sanzione espulsiva e l’infrazione commessa dal lavoratore. Per questi motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 15 maggio – 6 luglio 2018, n. 17887 Presidente Bronzini – Relatore Boghetich Rilevato che con sentenza depositata il 15.7.2016 la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Lecco, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato il 21.5.2015 dalla società Eletecno St s.p.a. ad B.A. ritenendo sussistente la condotta omissiva, contestata al lavoratore, di trasmissione all’ufficio contabilità dei consuntivi delle lavorazioni svolte da una ditta subappaltatrice a favore del cliente Autogrill per il periodo luglio 2014-febbraio 2015 e per complessivi Euro 9.000,00 ma eccessivamente sproporzionata la sanzione espulsiva, non potendosi considerare per tardività della contestazione disciplinare del 28.4.2015 la recidiva, con conseguente declaratoria di risoluzione del rapporto di lavoro ex articolo 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970 come novellato dalla legge n. 92 del 2012 e condanna del datore di lavoro al pagamento di 18 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto che avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso affidato a quattro motivi che B.A. ha resistito con controricorso. Considerato che la società ricorrente deduce, con i primi due motivi, violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18 della legge n. 300 del 1970 nonché degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. ex articolo 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. , assumendo che il giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione si è erroneamente basato esclusivamente sulla mancanza di danno per la società, nonostante le risultanze istruttorie di segno contrario e, in particolare, la nota allegata alla lettera di contestazione disciplinare che dimostrava come solamente all’inizio del 2015 la società ha accertato le responsabilità del lavoratore che con il terzo motivo la società denunzia violazione dell’articolo 112 cod.proc.civ., anche in relazione all’articolo 18 della legge n. 300 del 1970 ex articolo 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. , non avendo, la Corte territoriale, esaminato la domanda subordinata della conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo che con il quarto motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 18 della legge n. 300 del 1970 ex articolo 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. , avendo, la Corte territoriale, provveduto ad una quantificazione eccessiva del risarcimento del danno a favore del lavoratore, in particolare trascurando la risibile anzianità di servizio circa un anno e mezzo che i primi tre motivi sono, in parte, inammissibili in quanto la pretesa violazione di legge ex articolo 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ., pure invocata impropriamente in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. per tutte v. Cass. n. 13960 del 2014 , nella sostanza si traduce in una contestazione della ricostruzione della vicenda storica quale operata dalla Corte territoriale, con particolare riguardo all’accertamento concernente il momento in cui il datore di lavoro ha acquisito conoscenza del comportamento inadempiente del B. per il periodo giugno-dicembre 2014, valutazione preclusa dall’articolo 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., applicabile alla fattispecie nel testo riformulato dall’articolo 54 del d.l. 22.6.2012 n. 83 v. Cass. S.U. n. 8053 del 2014 che, per la parte residua, i motivi sono infondati avendo la Corte considerato, ai fini della valutazione del giudizio di proporzionalità tra infrazione di carattere espulsivo licenziamento , v.pag. 8 della sentenza impugnata e sanzione disciplinare, tutte le circostanze del caso concreto e, nella specie, l’assenza di una recidiva per tardività della contestazione disciplinare del 28.5.2015 e il tipo di inadempimento omissivo contestato il 9.5.2015 omessa trasmissione, all’ufficio contabilità, dei consuntivi delle lavorazioni svolte dalla ditta subappaltatrice M.D.N. a favore del cliente Autogrill per il periodo luglio 2014-febbraio 2015 e per complessivi Euro 9.000,00 nonché la successiva proficua ossia con i medesimi volumi di fatturato permanenza dei rapporti di appalto sia con il cliente Autogrill sia con la società appaltatrice M.D.N. che la motivazione della Corte territoriale risulta conforme ai principi affermati da questa Corte in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, in quanto il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso - istituzionalmente rimesso al giudice del merito - si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che l’inadempimento, ove provato dal datore di lavoro in assolvimento dell’onere su di lui incombente L. n. 604 del 1966, ex articolo 5 deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della non scarsa importanza di cui all’articolo 1455 cod. civ., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria - durante il periodo di preavviso - del rapporto v. Cass. n. 444 del 2003, n. 21130/2016 R.G. Cass. n. 3994 del 2005, Cass. n. 11430 del 2006, Cass. n. 16864 del 2006, Cass. n. 25743 del 2007, Cass. n. 6848 del 2010, Cass. n. 13574 del 2011 che il quarto motivo è inammissibile, spettando al giudice di merito la determinazione, tra il minimo e il massimo, della misura dell’indennità risarcitoria v. con riguardo all’articolo 8 della legge n. 604 del 1966, Cass. n. 13380 del 2006, Cass. n. 458 del 2011, Cass. n. 1320 del 2014 con riguardo all’articolo 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, Cass. n. 2442 del 2018 , censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria da valutarsi nei limiti previsti dall’articolo 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ., applicabile alla fattispecie nel testo riformulato dall’articolo 54 del d.l. 22.6.2012 n. 83 censura che, per vero, non risulta sollevata che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto di effettuare la determinazione dell’indennità risarcitoria avuto riguardo al comportamento della società palesemente sproporzionato nonché alle dimensioni dell’attività economica attestate dall’operare su tutto il territorio nazionale pag. 9 della sentenza impugnata che in conclusione il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’articolo 91 cod.proc.civ. che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 legge di stabilità 2013 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.