La Suprema Corte ritorna sulla distinzione tra lavoro autonomo e subordinato

La Suprema Corte ritorna sulla distinzione tra lavoro autonomo e subordinato L'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione, idonei anche a prevalere sull'eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, ove incompatibili con l'assetto previsto dalle stesse.

Lo afferma la Corte di Cassazione, sezione lavoro con la sentenza n. 15631/18, pubblicata il 14 giugno. La vicenda domanda di lavoratore volta ad ottenere il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso, condanna al pagamento delle differenze retributive, declaratoria di illegittimità del licenziamento e conseguente risarcimento del danno. Un lavoratore agiva in giudizio al fine di veder riconosciuta la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso, dichiarato illegittimo il licenziamento intimato e condannato il datore di lavoro al ripristino del rapporto, al risarcimento del danno ed al pagamento delle differenze retributive spettanti. Il Tribunale del lavoro rigettava la domanda. Proposto appello la Corte territoriale lo rigettava, affermando l’assenza dei requisiti della subordinazione nel rapporto esaminato. Ricorreva così in Cassazione il lavoratore. Lavoro autonomo e subordinato. La fattispecie esaminata dalla Corte riprende l’annosa questione sulla distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. Premesso che attualmente raramente ci trova di fronte a forme primordiali di rapporti di lavoro, ove netta è la distinzione tra locatio operis e locatio operarum , gli Ermellini ribadiscono, quanto ripetutamente affermato nel passato, che l’elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Vincolo da ricercare nel concreto in base ad un accertamento effettuato sulle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Occorre dunque accertare, afferma la Suprema Corte, se ricorra o no il requisito tipico della subordinazione, intesa come prestazione dell'attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore e perciò con l'inserimento nell'organizzazione di questo, mentre gli altri caratteri dell'attività lavorativa, come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quello autonomo parasubordinato. Gli elementi sussidiari. Possono assumere rilievo in via subordinata altri elementi sussidiari, anche se compatibili con entrambe le tipologie di rapporto. Ricordiamo l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione. Elementi che, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione, idonei anche a prevalere sull'eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, ove incompatibili con l'assetto previsto dalle stesse. Il numen iuris dato dalle parti. Va anche ribadito come il nomen iuris eventualmente assegnato dalle parti al contratto non sia vincolante per il giudice ai fini dell’accertamento della natura del rapporto di lavoro. La volontà espressa nel contratto ed il nomen juris utilizzato non costituiscono fattori assorbenti, diventando, viceversa, il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione ai sensi dell'art. 1362, comma 2, c.c. , ma anche ai fini dell'accertamento di una nuova e diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell'attuazione del rapporto e diretta a modificare singole sue clausole e talora la stessa natura del rapporto lavorativo inizialmente prevista da autonoma a subordinata , con la conseguenza che, in caso di contrasto fra i dati formali iniziali di individuazione della natura del rapporto e quelli fattuali emergenti dal suo concreto svolgimento, a questi ultimi deve darsi necessariamente rilievo prevalente. Ne consegue che la volontà espressa dalle parti può risultare determinante solo nel caso in cui le modalità di svolgimento siano compatibili sia con il lavoro subordinato che con quello autonomo. L’onere della prova a carico del lavoratore. Va infine osservato come l’onere di provare la sussistenza al caso concreto di tutti gli elementi di fatto corrispondenti alla fattispecie astratta invocata gravi sul lavoratore ricorrente. E’ questi che deve infatti dimostrare la presenza degli elementi qualificanti la subordinazione nel caso concreto sottoposto al vaglio del giudice. Secondo il Supremo Collegio, nella fattispecie in esame non è stata fornita in giudizio la prova relativa al requisito della eterodirezione. La Corte territoriale ha esaminato gli elementi caratterizzanti la subordinazione, giungendo ad escluderli, operando un percorso motivazione logico ed immune da vizi. E conseguentemente il ricorso proposto è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 giugno 2017 15 giugno 2018, n. 15631 Presidente Napoletano Relatore Leo Fatti di causa La Corte territoriale di L’Aquila, con sentenza depositata il 18/4/2011, respingeva il gravame interposto da L.F. , nei confronti della Carlsberg Horega S.r.l., già T& amp C Orsini S.r.l., avverso la sentenza del Tribunale di Vasto emessa il 17/4/2009, con la quale era stata rigettata la domanda del L. diretta al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, al pagamento delle relative differenze retributive, nonché alla declaratoria di illegittimità del licenziamento, con conseguente ripristino del rapporto e risarcimento del danno. Per la cassazione della pronunzia ricorre il L. articolando due motivi. La Carlsberg Horega S.r.l. resiste con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 24, secondo comma, Cost., 101, 210, 416 e 437 c.p.c., 2934, 2935 e 2943 c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. nonché, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la insufficienza ed illogicità della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. In particolare, si lamenta che i giudici di entrambi i gradi di merito non avrebbero rilevato la decadenza della società dalla effettuata produzione documentale a sé favorevole, data la tardiva costituzione in giudizio e che, conseguentemente, attraverso il richiamo all’art. 421 c.p.c., la società, nonostante la sua irrituale condotta processuale , sia stata messa in condizione di produrre in giudizio alcuni documenti a proprio vantaggio. 2. Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo del giudizio e si deduce che la Corte di merito non avrebbe vagliato e valutato con esattezza le risultanze dibattimentali, commettendo, in tal modo, un errore di qualificazione del rapporto di cui si tratta, al quale, a parere del ricorrente, si sarebbe dovuto riconoscere, contrariamente alle conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale, il connotato della subordinazione. 3. Il primo motivo non è meritevole di accoglimento. Invero, alla stregua dei consolidati arresti giurisprudenziali della Corte di legittimità - ai quali la Corte di merito si è uniformata -, è carattere tipico del rito del lavoro il contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della verità , per la qual cosa, laddove le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine ed il giudice reputi insufficienti le prove già acquisite non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o di decadenze in danno delle parti cfr., ex plurimis, Cass. nn. 22305/2007, 2379/2007 inoltre, nel rito del lavoro, l’acquisizione di nuovi documenti o l’ammissione di nuove prove da parte del giudice di appello rientra tra i poteri discrezionali allo stesso riconosciuti dagli artt. 421 e 437 c.p.c., e tale esercizio è insindacabile in sede di legittimità anche quando manchi un’espressa motivazione in ordine alla indispensabilità o necessità del mezzo istruttorio ammesso, dovendosi la motivazione ritenere implicita nel provvedimento adottato v., tra le altre, Cass. nn. 10592/2008, 209/2007 . Facendo corretta applicazione dell’insegnamento giurisprudenziale di questa Corte, i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che il primo giudice ha motivato in modo specifico l’attivazione dei suoi poteri officiosi ai sensi dell’art. 421 c.p.c. al fine di pervenire all’accertamento della verità materiale dei fatti di causa. Ciò posto, per quanto più in particolare attiene al dedotto vizio di motivazione, va ribadito che i difetti di omissione e di insufficienza della motivazione sono configurabili solo quando, dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza oggetto del giudizio, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando si evinca l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito finalizzata ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013 Cass. n. 14541/2014 . Nel caso di specie, le doglianze articolate dalla parte ricorrente come vizio di motivazione appaiono inidonee, per i motivi anzidetti, a scalfire la coerenza della sentenza sotto il profilo dell’iter logico-giuridico. 4. Neppure il secondo motivo può essere accolto, poiché i giudici di merito hanno preso in considerazione gli elementi che connotano la subordinazione e, dopo avere vagliato le risultanze istruttorie, sono pervenuti, attraverso un percorso motivazionale del tutto coerente, ad escluderne la sussistenza con riferimento alla fattispecie. Al riguardo, è da premettere che il caso all’esame ripropone la vexata quaestio della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato in una fattispecie che, per alcuni versi, presenta dei connotati peculiari. Deve, del resto, prendersi atto che oggi i due cennati tipi di rapporto non compaiono che raramente nelle loro forme e prospettazioni primordiali e più semplici, in quanto gli aspetti molteplici di una vita quotidiana e di una realtà sociale in continuo sviluppo e le diuturne sollecitazioni che ne promanano hanno insinuato in ognuno di essi elementi per così dire perturbatori che appannano, turbano, appunto, la primigenia simplicitas del tipo legale e fanno dei medesimi, non di rado, qualcosa di ibrido e, comunque, di difficilmente definibile. Per cui la qualificazione sub specie di locatio operis o locatio operarum e la sua sussunzione sotto l’uno o l’altro nomen iuris diventa più delicata e richiede una più approfondita opera di accertamento della realtà fattuale e di affinamento di quei momenti che la teoria ermeneutica caratterizza come subtilitas explicandi e, soprattutto, come subtilitas applicandi. Soccorre, peraltro, in questa actio finium regundorum tra lavoro autonomo e subordinato l’insegnamento della giurisprudenza che, intervenendo con molta consapevolezza sul tema, ha dato alla dibattuta questione una soluzione che può, nei principi, ormai dirsi consolidata. È noto, difatti, che, secondo il richiamato e consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’elemento essenziale di differenziazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato consiste nel vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, da ricercare in base ad un accertamento esclusivamente compiuto sulle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. In particolare, mentre la subordinazione implica l’inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale del datore di lavoro mediante la messa a disposizione, in suo favore, delle proprie energie lavorative operae ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo di costui, nel lavoro autonomo l’oggetto della prestazione è costituito dal risultato dell’attività opus ex multis, Cass. nn. 12926/1999 5464/1997 2690/1994 e, più di recente, Cass. n. 4770/2003 5645/2009, secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato oppure autonomo, il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere accertato o escluso mediante il ricorso agli elementi che il giudice deve concretamente individuare dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dalle modalità di svolgimento del rapporto cfr. pure, tra le molte, Cass. nn. 1717/2009, 1153/2013 . In subordine, l’elemento tipico che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato è costituito dalla subordinazione, intesa, come innanzi detto, quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento alle direttive dallo stesso impartite circa le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa mentre, è stato pure precisato, altri elementi - come l’assenza del rischio economico, il luogo della prestazione, la forma della retribuzione e la stessa collaborazione - possono avere solo valore indicativo e non determinante v. Cass. n. 7171/2003 , costituendo quegli elementi, ex se, solo fattori che, seppur rilevanti nella ricostruzione del rapporto, possono in astratto conciliarsi sia con l’una che con l’altra qualificazione del rapporto stesso fra le altre - e già da epoca risalente - Cass. nn. 7796/1993 4131/1984 . Ciò precisato, è da aggiungere che, anche in ordine alla questione relativa alla qualificazione del rapporto contrattualmente operata, sovviene l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità. Alla cui stregua, onde pervenire alla identificazione della natura del rapporto come autonomo o subordinato, non si può prescindere dalla ricerca della volontà delle parti, dovendosi tra l’altro tener conto del relativo reciproco affidamento e di quanto dalle stesse voluto nell’esercizio della loro autonomia contrattuale. Pertanto, quando i contraenti abbiano dichiarato di volere escludere l’elemento della subordinazione, specie nei casi caratterizzati dalla presenza di elementi compatibili sia con l’uno che con l’altro tipo di prestazione d’opera, è possibile addivenire ad una diversa qualificazione solo ove si dimostri che, in concreto, l’elemento della subordinazione si sia di fatto realizzato nello svolgimento del rapporto medesimo v., fra le molte, e già da epoca meno recente, Cass. nnumero /1991 12926/1999 . Il nomen iuris eventualmente assegnato dalle parti al contratto non è quindi vincolante per il giudice ed è comunque sempre superabile in presenza di effettive, univoche, diverse modalità di adempimento della prestazione Cass. n. 812/1993 . Al proposito, la Corte di legittimità ha avuto, altresì, modo di ribadire che, ai fini della individuazione della c.d. natura giuridica del rapporto, il primario parametro distintivo della subordinazione deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari che il giudice deve individuare in concreto, dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dall’effettivo svolgimento del rapporto, essendo il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione ai sensi dell’art. 1362, secondo comma, c.c. , ma anche ai fini dell’accertamento di una nuova e diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell’attuazione del rapporto e diretta a modificare singole sue clausole e talora la stessa natura del rapporto lavorativo inizialmente prevista, da autonoma a subordinata con la conseguenza che, in caso di contrasto fra i dati formali iniziali di individuazione della natura del rapporto e quelli di fatto emergenti dal suo concreto svolgimento, a questi ultimi deve darsi necessariamente rilievo prevalente nell’ambito di una richiesta di tutela formulata tra le parti del contratto Cass. nn. 4770/2003 5960/1999 . Del resto, come è stato osservato, il ricorso al dato della concretezza e della effettività appare condivisibile anche sotto altro angolo visuale, ossia in considerazione della posizione debole di uno dei contraenti, che potrebbe essere indotto ad accettare una qualifica del rapporto diversa da quella reale pur di garantirsi un posto di lavoro. Più di recente, con la sentenza n. 7024/2015, questa Corte ha ribadito che gli indici di subordinazione sono dati dalla retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa l’orario di lavoro fisso e continuativo la continuità della prestazione in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze aziendali il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia l’inserimento nell’organizzazione aziendale. E sul lavoratore che intenda rivendicare in giudizio l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato grava l’onere di fornire gli elementi di fatto corrispondenti alla fattispecie astratta invocata cfr., tra le molte, Cass. n. 11937/2009 . Tutto ciò premesso, deve osservarsi che, nella fattispecie, la Corte di merito ha tenuto conto che il lavoratore non ha fornito la prova relativa al requisito della eterodirezione ha esaminato gli elementi qualificanti la subordinazione, quali enunciati dalla Corte di legittimità, pervenendo come innanzi già sottolineato attraverso la delibazione dei punti di emersione probatoria ed alla luce dei richiamati, costanti insegnamenti giurisprudenziali con un iter motivazionale del tutto coerente, ad escluderne la sussistenza con riferimento alla fattispecie. 5. Per tutto quanto esposto, il ricorso va rigettato. 6. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.