Licenziamento per lesione del vincolo fiduciario: rileva anche la mansione del dipendente

Per giustificare un licenziamento disciplinare, i fatti addebitati devono essere tali da ledere irrimediabilmente l’elemento fiduciario, rilevando nella valutazione della gravità dei fatti contestati anche la mansione ricoperta dal dipendente.

Lo ha affermato la Sezione Lavoro della Cassazione con sentenza numero 13434 , depositata il 29 maggio. Il caso. Un lavoratore veniva licenziato per giusta causa per aver pronunciato parole offensive e ingiuriose nei confronti del presidente della società presso la quale prestava servizio. Confermando quanto stabilito dal Tribunale di Ferrara, la Corte d’Appello di Bologna respingeva l’impugnativa del licenziamento proposta dall’uomo sulla base del fatto che la gravità della condotta fosse idonea ad integrare l’ipotesi di recesso per giusta causa ex art. 2119 c.c., anche in relazione al ruolo direttoriale ricoperto dal lavoratore. Avverso tale decisione, l’uomo ha proposto ricorso in Cassazione. Fatti addebitati e lesione del vincolo fiduciario. La Corte, nel rigettare il ricorso, ha fatto proprio il consolidato principio secondo cui per giustificare un licenziamento disciplinare i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo”.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 marzo – 29 maggio 2018, n. 13434 Presidente Doronzo – Relatore Ghinoy Fatto e diritto Rilevato che 1. la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale di Ferrara che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento per giusta causa intimato in data 11/12/2010 a M.M. dal Consorzio provinciale fitosanitario di difesa delle produzioni agricole dalle avversità atmosferiche, di cui il primo era direttore, a seguito della contestazione con la quale si addebitava al dipendente di aver pronunciato in data 5/11/2010 parole offensive e ingiuriose nei confronti del presidente. 2. La Corte territoriale condivideva la valutazione del Tribunale, secondo la quale la gravità della condotta era idonea ad integrare le caratteristiche previste dall’articolo 2119 c.c., tanto più in relazione al rilievo dell’incarico rivestito dal direttore ed alla sua attinenza ai rapporti con l’organo presidenziale, rappresentativo ed esecutivo del consorzio, nonché qualificata nell’intenzionalità dal ricostruito contesto fattuale pg. 6 motivazione . 3. Per la cassazione della sentenza il M. ha proposto ricorso, al quale ha resistito con controricorso la Condifesa Bologna e Ferrara, che ha depositato anche memoria ex art. 380 bis comma 2 c.p.c. 4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata. Considerato che 1. il M. deduce come unico motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 e dell’articolo 2119 c.c La censurata valutazione in diritto riguarda la gravità del fatto costituente il motivo di recesso, nonché la ritenuta rilevanza di addebiti non oggetto di precedenti contestazioni disciplinari. Il ricorrente contesta la circostanza che la sussistenza della giusta causa e della proporzionalità del licenziamento sia stata ritenuta anche alla luce di fatti anteriori ancorché mai contestati dal datore di lavoro il generale contesto di grande tensione e di grande astio causato dalle condotte inappropriate del ricorrente ed in relazione ai quali non vi era stata alcuna apertura di procedimento disciplinare e contro i quali egli non si era mai potuto difendere, né tenerne conto al fine di mutare atteggiamento. 2. Il ricorso non è fondato. La Corte territoriale ha compiuto una valutazione complessiva della condotta contestata - ripetuti epiteti volgari ed offensivi rivolti, unilateralmente e senza precedente provocazione, dal Direttore al Presidente del Consorzio, inquadrandola nel suo contesto complessivo e tenendo conto di tutti gli elementi, materiali e psicologici. La valutazione che ha compiuto è stata quindi coerente con i principi che costituiscono stabile approdo di questa Corte, secondo i quali per giustificare un licenziamento disciplinare i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo cfr., per tutte, Cass. n. 1595/2016, 25608/2014 e 7394/2000 . Nell’ambito di valutazione, la condotta anteatta può apportare significativi elementi di valutazione, sia a favore che a danno del dipendente, né risulta in tal senso violato il principio di immutabilità della contestazione, che, secondo quanto già chiarito da questa Corte, preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività degli addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio del datore di lavoro così Cass. n. 1145 del 19/01/2011 . 8. Per tali motivi il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., in coerenza con la proposta del relatore, notificata alle parti, all’esito della quale il M. non ha depositato memoria. 9. Segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo. 10. Sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.