La recidiva non vale come autonomo motivo di licenziamento

Una volta accertata l’insussistenza degli addebiti disciplinari contestati, deve essere esclusa la possibilità di configurare, quale autonoma ragione del licenziamento intimato, la recidiva, posto che essa, per sua stessa natura, presuppone non solo che un fatto illecito sia posto in essere una seconda volta, ma che lo sia stato dopo che la precedente infrazione sia stata quanto meno contestata formalmente al medesimo lavoratore addirittura a pena di nullità del licenziamento stesso, qualora anche la recidiva o comunque i precedenti disciplinari che la integrano rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata.

Così la Cassazione con ordinanza n. 12095/18 depositata il 17 maggio. Il caso. La Corte d’Appello di L’Aquila ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a un lavoratore per recidiva a causa di plurime assenze ingiustificate ed ha condannato l’azienda alla reintegrazione dello stesso ed al pagamento del risarcimento del danno commisurato a tutte le retribuzioni dovute dalla data del deposito del ricorso di primo grado all’effettiva reintegrazione. Con il ricorso per cassazione il datore di lavoro ha lamentato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 10 titolo IV CCNL Metalmeccanici Industria e dell’art. 2118 c.c., ritenendo il licenziamento legittimo e proporzionato in quanto conforme alla previsione contrattuale collettiva che annovera tra le cause di recesso senza preavviso l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro quando siano stati comminati due provvedimenti disciplinari di sospensione . Non è necessario giustificare il permesso breve. Per prima cosa la Suprema Corte ha affermato che vi è differenza tra assenza e permesso breve rilevando che nel primo caso sussiste l’indubbia necessità che il lavoratore giustifichi in generale le assenze entro il giorno successivo a quello di inizio delle stesse, proprio perché esse altrimenti sarebbero prive di alcuna ragione verificabile dal datore di lavoro. Di contro, tale ragione non esiste nella diversa ipotesi del permesso breve, posto che l’assenza per tale ragione è stata già previamente giustificata dal datore di lavoro, in virtù del consenso accordato al lavoratore che ne ha fatto richiesta, sulla verificata ricorrenza di giustificati motivi e compatibilmente con le esigenze del servizio. La recidiva non ha valenza autonoma. Atteso quanto sopra, la Corte di Cassazione ha poi escluso che il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del datore di lavoro in relazione a determinati fatti dotati di rilevanza disciplinare, lo possa esercitare una seconda volta per quegli stessi fatti, in quanto ormai tale potere si è consumato e a pena di violare il noto principio del ne bis in idem. Al datore di lavoro è consentito soltanto di tenere conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva, nonché dei fatti non tempestivamente contestati o contestati ma non sanzionati ove siano stati unificati con quelli ritualmente contestati per la globale valutazione, anche sotto il profilo psicologico, del comportamento del lavoratore e della gravità degli specifici episodi addebitati. Per tali ragioni, la recidiva non può costituire autonomo motivo di licenziamento in quanto tale istituto, per sua stessa natura, richiede non solo che una stessa condotta illecita sia stata reiterata, ma che tale reiterazione si sia verificata in un momento successivo quantomeno alla contestazione formale della precedente infrazione. Si segnala peraltro che di recente proprio la Corte di Cassazione ha espresso un orientamento difforme, ritenendo, invece, che la recidiva possa costituire elemento autonomo su cui fondare il recesso e specificando che in tale ultimo caso è necessario contestare la recidiva, mentre non lo è quando la recidiva quando viene presa in considerazione solo quale precedente negativo dell’addebito contestato e, quindi, quale mero criterio di determinazione della proporzionalità della sanzione da applicare per il fatto contestato Cass. n. 1909/18 .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 30 gennaio – 17 maggio 2018, numero 12095 Presidente Bronzini – Relatore Patti Rilevato in fatto che con sentenza 3 dicembre 2015 ai sensi dell’art. 281sexies c.p.c., la Corte d’appello di L’Aquila dichiarava illegittimo il licenziamento intimato il 19 ottobre 2009 da Sevel s.p.a. a M.L. , ordinandone alla prima la reintegrazione nel posto di lavoro e condannandola al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal 16 marzo 2012, data di deposito del ricorso introduttivo, fino all’effettiva reintegrazione, oltre accessori e regolarizzazione della sua posizione previdenziale così riformando la sentenza di primo grado, che ne aveva invece rigettato le domande che avverso tale sentenza la società ricorreva per cassazione con sei motivi, cui resisteva il lavoratore con controricorso che il pubblico ministero comunicava le sue conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c. ed entrambe le parti memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c. Considerato in diritto che la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 13 CCNL Metalmeccanici, per erronea interpretazione della seconda disposizione regolante le assenze del dipendente, per motivi anche diversi dalla malattia, in esse comprese quelle per breve permesso , pure comparativamente con la prima trattamento in caso di malattia ed infortunio non sul lavoro , nel senso della mancanza di obbligo di giustificazione dell’assenza in caso di breve permesso, invece necessaria secondo la previsione generale del primo comma, secondo cui Le assenze debbono essere giustificate al più tardi entro il giorno successivo primo motivo omesso esame del fatto decisivo per il giudizio della contestata recidiva sull’erroneo presupposto dell’insussistenza delle infrazioni addebitate, unitamente ad essa, con lettera del 16 settembre 2009 secondo motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 10, Titolo VI CCNL Metalmeccanici, per erronea esclusione della recidiva quale autonoma causa di recesso con preavviso in qualunque delle mancanze contemplate nell’art. 9, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione di cui all’art. 9 , nel quale prevista sub b l’ipotesi di chi senza giustificato motivo ritardi l’inizio del lavoro o lo sospenda o ne anticipi la cessazione terzo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 10, Titolo VI CCNL Metalmeccanici e 2118 c.c., per legittimità e proporzionalità del licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo, in quanto conforme alla previsione contrattuale collettiva denunciata di licenziamento con preavviso in qualunque delle mancanze contemplate nell’art. 9, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione di cui all’art. 9 , nel quale prevista in particolare l’ipotesi di chi abbandoni il proprio posto di lavoro senza giustificato motivo come appunto nel caso del dipendente M. , destinatario di due provvedimenti di sospensione il 22 luglio 2008, di un giorno il 18 maggio 2008, di due giorni per tale ragione quarto motivo omesso esame di fatto decisivo per il giudizio della ritenuta sproporzione tra infrazione contestata e sanzione espulsiva applicata, in assenza di lamentele del lavoratore sulla propria inidoneità alla mansione assegnata, né di giustificazione con essa delle proprie condotte sanzionate, in epoca anteriore all’impugnazione giudiziale del licenziamento argomentazioni pure escluse dalla Corte territoriale ai fini della configurabilità di un’eccezione di inadempimento del lavoratore medesimo, a norma dell’art. 1460 c.c. quinto motivo omesso esame del fatto decisivo per il giudizio dell’eccezione datoriale di detrazione dell’aliunde perceptum, previa acquisizione di idonea documentazione volta all’accertamento dei redditi o tramite certificazioni sullo stato occupazionale dai competenti uffici presso le Direzioni Provinciali del Lavoro, per la cui esibizione, in ordine all’interrogatorio formale del lavoratore, reiterate le istanze sesto motivo che ritiene il collegio che il primo motivo sia infondato che spetta, come noto, a questa Corte la diretta interpretazione delle clausole dei contratti o accordi collettivi di lavoro, denunciate di violazione o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, numero 3 c.p.c. come modificato dall’art. 2 d.lg. 40/2006 numero 40 , per la loro parificazione sul piano processuale a quella delle norme di diritto, in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale artt. 1362 ss. c.c. come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti Cass. 19 marzo 2014, numero 6335 Cass. 9 settembre 2014, numero 18946 previa la verificata integrale produzione in giudizio, ai fini di procedibilità ai sensi dell’art. 369, secondo comma, numero 4 c.p.c., del CCNL in esame Cass. 4 marzo 2015, numero 4350 Cass. 11. gennaio 2016, numero 195 Cass. 23 novembre 2017, numero 27493 , per il pieno adempimento della funzione nomofilattica di questa Corte e la necessità di applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c., anche mediante l’esame di altre clausole collettive diverse da quelle denunciate Cass. 16 settembre 2014, numero 19507 che, tanto premesso, appare esatta l’interpretazione dell’art. 13 CCNL per l’Industria Meccanica Privata del 20 gennaio 2008, nel senso inteso dalla Corte territoriale per le ragioni in particolare esposte al primo e terzo capoverso di pg. 7 della sentenza , sulla base dell’inequivoco tenore letterale, chiaramente espressivo della volontà delle parti a norma del criterio principale stabilito dall’art. 1362 c.c. Cass. 15 luglio 2016, numero 14432 Cass. 21 agosto 2013, numero 19357 Cass. 28 agosto 2007, numero 18180 ed in ogni caso pure coerente con quello sussidiario dell’art. 1363 c.c., di interpretazione delle clausole le une per mezzo delle altre, in riferimento all’art. 2 dello stesso CCNL, in merito al trattamento in caso di malattia e infortunio sul lavoro - che dal testo dell’art. 13 del CCNL denunciato si trae, infatti, l’indubbia e comprensibile necessità di giustificazione al più tardi il giorno successivo a quello dell’inizio dell’assenza, salvo il caso di impedimento giustificato delle assenze del lavoratore in generale primo comma , proprio perché altrimenti prive di alcuna ragione verificabile dal datore di lavoro, a differenza che per la diversa ipotesi del breve permesso posto che l’assenza per tale ragione è stata già previamente giustificata dal datore di lavoro in virtù del consenso accordato al lavoratore che ne faccia richiesta , sulla verificata ricorrenza di giustificati motivi e compatibilmente con le esigenze del servizio terzo comma che il secondo motivo è inammissibile che il vizio denunciato è inconfigurabile, non sussistendo omesso esame di alcuna circostanza in fatto decisiva ai fini del giudizio, coerente con la previsione del novellato art. 360, primo comma, numero 5 c.p.c., posto che la censura si riduce al ravvisato erroneo presupposto dell’insussistenza, invece ritenuta dalla Corte territoriale, delle infrazioni contestate con la lettera del 16 settembre 2009 così al primo capoverso di pg. 47 del ricorso che il terzo e il quarto motivo, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati che, una volta accertata l’insussistenza degli addebiti disciplinari contestati, deve essere esclusa la possibilità di configurare quale autonoma ragione del licenziamento intimato la recidiva, posto che essa, per sua stessa natura, presuppone non solo che un fatto illecito sia posto in essere una seconda volta, ma che lo sia stato dopo che la precedente infrazione sia stata quanto meno contestata formalmente al medesimo lavoratore Cass. 20 ottobre 2009, numero 22162 addirittura a pena di nullità del licenziamento stesso, qualora anche la recidiva o comunque i precedenti disciplinari che la integrano rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata Cass. 23 dicembre 2002 numero 18294 Cass. 25 novembre 2010, numero 23924 che si deve poi escludere che il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, lo possa esercitare una seconda volta per quegli stessi fatti, in quanto ormai consumato essendogli consentito soltanto di tener conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro il biennio, ai fini della recidiva, nonché dei fatti non tempestivamente contestati o contestati ma non sanzionati ove siano stati unificati con quelli ritualmente contestati per la globale valutazione, anche sotto il profilo psicologico, del comportamento del lavoratore e della gravità degli specifici episodi addebitati Cass. 27 marzo 2009, numero 7523 che è infine inconfigurabile la denunciata violazione dell’art. 2118 c.c., in difetto dei requisiti suoi propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruirne la portata precettiva, né di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, né tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina Cass. 31 maggio 2006, numero 12984 Cass. 28 novembre 2007, numero 24756 Cass. 28 febbraio 2012, numero 3010 Cass. 26 giugno 2013, numero 16038 Cass. 24 novembre 2016, numero 24028 Cass. 27 giugno 2017, numero 15973 che il quinto motivo è inammissibile che non ricorre omissione di esame alcun fatto, tanto meno decisivo, vertendo il mezzo su una sostanziale confutazione della ravvisata sproporzione tra addebito contestato pure accertato insussistente e sanzione espulsiva comminata, oggetto di un accertamento di fatto di spettanza esclusiva del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità Cass. 7 aprile 2011, numero 7948 25 maggio 2012, numero 8293 , alla luce del più rigoroso ambito devolutivo introdotto dal novellato art. 360, primo comma, numero 5 c.p.c., applicabile ratione temporis non comprensivo dell’omesso esame di elementi istruttori, siccome non integranti di per sé il vizio denunciato qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass. s.u. 7 aprile 2014, numero 8053 Cass. 10 febbraio 2015, numero 2498 con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori Cass. 21 ottobre 2015, numero 21439 , né essendo tanto meno configurabile l’adombrato vizio di contraddittoria motivazione a pg. 57 del ricorso , in base a circostanze di cui, in esito a previo esame, è stata giustamente esclusa la pertinenza al provvedimento disciplinare assunto, così come contestato che il sesto motivo è pure inammissibile che appare evidente l’erroneità della denuncia del vizio come omissione di un fatto, anziché di una pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., essendone oggetto la doglianza di mancato esame di un’eccezione, quale è appunto quella di detrazione dell’aliunde perceptum posto che la differenza si coglie nel senso che, nella seconda ipotesi, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della domanda di appello , mentre nella prima l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia Cass. 5 dicembre 2014, numero 25761 Cass. 16 marzo 2017, numero 6835 che pertanto il ricorso deve essere rigettato, con regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione ai difensori antistatari del controricorrente secondo la loro richiesta. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna Sevel s.p.a. alla rifusione, in favore de controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge, con distrazione ai difensori antistatari. Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.