Precisazioni della Suprema Corte sui limiti al diritto al comporto prolungato per il lavoratore

La Suprema Corte si è espressa in merito ai dubbi interpretativi, sorti nel caso di specie, in relazione ad una clausola contrattuale sull’applicazione del comporto prolungato per il lavoratore, il quale sostiene di essere stato ingiustamente licenziato.

Sulla questione la Cassazione con ordinanza n. 12000/18, depositata il 16 maggio. Il fatto. La Corte d’Appello di Roma, confermando la decisione di primo grado, respingeva il ricorso dell’interessato volto ad ottenere l’annullamento del licenziamento del medesimo per superamento del periodo di comporto e la conseguente condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno. Il lavoratore ricorre per cassazione contro quest’ultima decisione con un unico motivo. Le due interpretazioni sul comporto prolungato. Secondo parte ricorrente la Corte territoriale ha erroneamente interpretato l’art. 42 CCNL di settore nella parte in cui ha ritenuto che per poter applicare il comporto prolungato di altri 180 giorni per un unico evento morboso, continuativo, debitamente certificato è indispensabile che nel triennio ricadano almeno due periodi di assenza dal lavoro per malattia di almeno 90 giorni , precisando che non è sufficiente che i singoli episodi abbiano avuto una durata superiore a 90 giorni, occorrendo, invece, che nel triennio via siano stati almeno due episodi di assenza per malattia di durata pari o superiore a 90 giorni . Al contrario il ricorrente sostiene che la disposizione contrattuale è chiara nel ritenere che sia sufficiente che nel triennio sia siano verificate almeno due malattie comportanti, ciascuna, un’assenza continuativa pari o superiore a 90 giorni . Secondo il Supremo Collegio l’interpretazione fornita dal ricorrente accantona quella letterale . Infatti non è condivisibile l’argomentazione di parte ricorrente secondo cui debba reputarsi esigibile il diritto al comporto prolungato indipendente dall’estensione temporale di 90 giorni delle malattie precedenti e solo facendo riferimento alla presenza di due eventi morbosi nei 1095 giorni precedenti. Ciò in quanto la ratio della clausola contrattuale, correttamente interpretata dalla Corte territoriale, è di garantire un allungamento del periodo di comporto per i lavoratori che nell’arco del triennio siano stati ripetutamente colpiti da malattie . Quindi, non lasciando spazio a diverse interpretazioni, per l’applicazione del periodo prolungato occorre che nel triennio ricadano almeno due periodi di assenza per malattia pari o superiori a 90 giorni . Per questi motivi la Corte ha respinto il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 26 febbraio – 16 maggio 2018, n. 12000 Presidente Manna – Relatore Piccone Rilevato che con sentenza in data 18 gennaio 2016, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza del locale Tribunale che aveva respinto il ricorso proposto da I.L. , volto ad ottenere l’annullamento del licenziamento intimato al ricorrente dalla AMA S.p.A. in data 4 aprile 2011 per superamento del periodo di comporto, la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna della società al risarcimento del danno nella misura prevista dall’art. 18 L. n. 300 del 1970 che avverso tale sentenza I.L. ha proposto ricorso affidato ad un motivo,corredato da memoria depositata fuori termine, cui ha resistito l’intimata con controricorso, corredato da memoria Considerato che, con l’unico motivo di ricorso, si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 2210 cod. civ. nonché dell’art. 42 CCNL Servizi ambientali che, in particolare, parte ricorrente censura l’interpretazione offerta dalla Corte territoriale del disposto di cui all’art. 42 CCNL di settore nella parte in cui ha ritenuto che per poter applicare il comporto prolungato di ulteriori 180 giorni in relazione ad un unico evento morboso, continuativo, debitamente certificato è necessario che nel triennio ricadano almeno due periodi di assenza dal lavoro per malattia, pari o superiori a 90 giorni, precisando che non è sufficiente che i singoli episodi abbiano avuto una durata superiore a 90 giorni, occorrendo, invece, che nel triennio vi siano stati almeno due episodi di assenza per malattia di durata pari o superiore a 90 giorni che la disposizione contrattuale appare chiarissima nel richiedere che nel triennio si siano verificate almeno due malattie comportanti, ciascuna, un’assenza continuativa pari o superiore a 90 giorni che, nondimeno, parte ricorrente sostiene una interpretazione che accantona quella letterale, che invece deve precedere ogni altro presidio ermeneutico e nega il principio in claris non fit interpretatio , sostenendo erroneamente che secondo il tenore della norma invocata, la durata di almeno 90 giorni delle malattie, non costituisce requisito e presupposto per poter usufruire del comporto prolungato, dovendo reputarsi esigibile il diritto al comporto prolungato indipendentemente dall’estensione temporale delle due malattie precedenti, per effetto, soltanto, della presenza di due eventi morbosi nei 1095 giorni precedenti che, anche volendo prescindere dal congruo iter motivazionale del giudice d’appello secondo cui una diversa interpretazione renderebbe equivoco il riferimento al termine di 1095 giorni precedenti ogni nuovo ultimo episodio morboso consentendone una incontrollabile dilatazione sino a rendere sufficiente, per poter usufruire del comporto prolungato, che nel triennio ricada anche un solo giorno di malattia di durata superiore a 90 giorni e dalla ratio della clausola contrattuale come volta a garantire un allungamento del periodo di comporto per i lavoratori che nell’arco del triennio siano stati ripetutamente colpiti da malattie, la lettera della disposizione contrattuale non lascia adito a diverse interpretazioni, occorrendo, per l’applicazione del periodo prolungato, che nel triennio ricadano almeno due periodi di assenza per malattia pari o superiori a 90 giorni che, quindi, il ricorso è infondato e va respinto che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo che sussistono in presupposti, ai sensi dell’art. 13, ccomma 1 quater, d.P.R. n, 115 del 2002 per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. la Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15 per cento e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, ccomma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.