Proteste via mail della dipendente: niente licenziamento

La donna si è sfogata scrivendo ai suoi diretti superiori e i messaggi sono stati ritenuti offensivi dall’azienda. Di parere opposto i Giudici, che hanno cancellato il licenziamento, osservando come le rimostranze della donna siano state espresse in modo civile.

Clima di tensione in azienda. Comprensibili le rimostranze manifestate – via mail – dal dipendente nei confronti dei propri diretti superiori. Illegittimo, di conseguenza, la risposta dell’azienda, concretizzatasi nel provvedimento più duro, il licenziamento Cassazione, ordinanza n. 11645/18, Sezione Lavoro, depositata oggi . Scritti. Riflettori puntati su alcuni messaggi di posta elettronica inviati da una lavoratrice – dipendente di una società di telecomunicazioni – ai propri superiori . Secondo l’azienda, il contenuto di quegli scritti è offensivo e denigratorio , e sufficiente per ritenere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro. Di parere diverso sono i giudici che, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, considerando evidente l’illegittimità del licenziamento . Nello specifico, i Giudici osservano che la lavoratrice si era limitata – senza utilizzare termini offensivi o, comunque, inappropriati – a fare delle rimostranze relative alla propria posizione lavorative , e aggiungono che le modalità utilizzate erano coerenti con la situazione di tensione vissuta dalla donna e frutto anche di un precedente contenzioso con la società , contenzioso conclusosi con la condanna dell’azienda a riassegnare alla lavoratrice le mansioni corrispondenti all’inquadramento e a versarle somme a titolo di maggiori retribuzioni e il risarcimento dei danni connessi alla dedotta dequalificazione . Pregiudizio. La visione sfavorevole alla società viene ‘sigillata’ dal parere dei magistrati della Cassazione, i quali sanciscono l’illegittimità del licenziamento adottato nei confronti della lavoratrice, che di conseguenza può rientrare in azienda. Decisivo è il fatto che, secondo i Giudici, l’invio dei messaggi di posta elettronica non ha procurato un pregiudizio al decoro o all’immagine dell’azienda . E in questa ottica viene anche evidenziato che, ad esempio, in uno degli scritti la lavoratrice si lamentava delle mansioni ripetitive svolte . Eccessiva e priva di fondamento, quindi, per i magistrati, la drastica reazione dell’azienda al comportamento – non offensivo – della dipendente.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 30 gennaio – 14 maggio 2018, n. 16645 Presidente Bronzini – Relatore Pagetta Rilevato 1. che la Corte d'appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado che, in accoglimento della domanda proposta da Ma. Ga. La., aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato alla detta lavoratrice con lettera del 18.1.2010 da Telecom Italia s.p.a. e applicato la tutela di cui all'art. 18 Legge n. 20/05/1970 n. 300 ,nel testo all'epoca vigente 1.1. che il giudice di appello, premesso che nel caso di specie l'addebito concerneva, tra l'altro, il contenuto di alcuni messaggi di posta elettronica inviati dalla lavoratrice ai propri superiori, contenuto che si assumeva offensivo e denigratorio per la società datrice, evidenziato che con la propria impugnazione Telecom Italia s.p.a., nel dedurre la legittimità del licenziamento, aveva fatto riferimento solo al contenuto di detti messaggi senza, invece, insistere sulla recidiva e sulla mancata presentazione della La. alla convocazione da parte di un dirigente, in dichiarata adesione ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di esercizio del diritto di critica Cass. 22/10/1998 n. 10511 , ha ritenuto che nel caso di specie la La. si era limitata - tra l'altro senza utilizzare termini offensivi o comunque inappropriati - a fare delle rimostranze relative alla propria posizione lavorativa e che le modalità utilizzate erano coerenti con la situazione di tensione individuale scaturente anche da precedente contenzioso con la società in esito al quale era stata emessa sentenza del Tribunale d Roma di accertamento del diritto della La. ad essere inquadrata a decorrere dal 1.5. 1995 nel 6. livello c.c.n.l. e, per l'effetto, Telecom Italia s.p.a. condannata a riassegnare alla lavoratrici mansioni corrispondenti all'inquadramento spettante oltre che al pagamento di somma a titolo di maggiori retribuzioni dovute oltre accessori e al risarcimento dei danni, patrimoniali e non , connessi alla dedotta dequalificazione 1.2. che ha, inoltre, osservato che la società datrice di lavoro non aveva dedotto, quale conseguenza dell'invio dei messaggi di posta elettronica, la specifica esistenza di un pregiudizio al decoro o all'immagine dell'azienda tanto meno aveva allegato in maniera puntuale la natura e l'entità del preteso inadempimento di controparte 2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Telecom Italia s.p.a. sulla base di un unico articolato motivo al quale la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso 2.1. che il PG non ha depositato requisitoria scritta 2.2. che Telecom Italia s.p.a. ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. Considerato 1. che con l'unico motivo di ricorso la ricorrente Telecom Italia s.p.a. deduce, ai sensi dell'art. 360 comma 1, nn. 3 e 4 , cod. proc. civ. violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e, ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., omessa pronunzia su un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti, violazione dell'art. 1363, comma 2 , cod. civ. della lettera di contestazione del 19 ottobre 2009 nonché violazione dell'art. 48 c.c.n.l. del 3.12.2005 1.1. che, in particolare, censura l'affermazione della sentenza impugnata secondo la quale in appello la società aveva dedotto l'assoluta illegittimità del licenziamento facendo riferimento solo al contenuto dei predetti messaggi senza insistere sulla sussistenza della recidiva e sulla mancata presentazione ad una convocazione da parte di un dirigente 1.2. che assume, inoltre, che delle condotte prese in considerazioni sarebbero state omesse alcune di cui alla lettera di contestazione 2. che il motivo con il quale si denunzia violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., censurando la decisione per avere ritenuto che in appello la società non aveva insistito su alcune delle condotte contestate quali la recidiva e la mancata presentazione alla convocazione disposta da un superiore, è inammissibile in quanto non sorretto dalla completa esposizione del fatto processuale 2.1. che secondo la giurisprudenza di questa Corte, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un'eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall'altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis , la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un'ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale , detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all'adempimento da parte del ricorrente -per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l'altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito - dell'onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi Cass. 08/06/ 2016 n. 11738 Cass. 04/07/2014 n. 15367 2.2. che parte ricorrente non ha articolato la censura in esame con modalità coerenti con tali prescrizioni in quanto si è limitata alla riproduzione di alcune frasi, peraltro estrapolate dal contesto di riferimento, inidonee a dare contezza della violazione ascritta alla Corte di merito 2.3. che è destituito di fondamento l'ulteriore assunto di parte ricorrente secondo il quale la sentenza impugnata avrebbe preso in considerazione solo la prima mail con la quale la La. si lamentava delle mansioni ripetitive svolte ignorandone altre, in quanto la sentenza impugnata ha espressamente fatto riferimento all'insieme dei messaggi di posta elettronica di cui alla lettera di contestazione v. pagina 4 sentenza, in fine ed al complesso degli stessi, pur soffermandosi su alcuni in particolare, ha riferito la propria valutazione di illegittimità del licenziamento 2.4. che il motivo con il quale si deduce violazione dell'art. 48 del c.c.n.l non è corredato dalla indicazione di dati idonei al reperimento del contratto nelle fasi di merito, come, invece, prescritto al fine della ammissibilità della censura Cass. Sez. Un. 03/11/2011 n. 22726 inoltre, parte ricorrente, in violazione dell'obbligo di cui all'art. 369 n. 4 cod. proc. civ non ha allegato la avvenuta produzione del testo integrale del contratto collettivo in oggetto, come richiesto a pena di improcedibilità dall'art. 369, comma 2 n. 4, cod. proc. civ. Cass. 04/03/2015 n. 4350 Cass. Sez. Un. 07/11/2013 n. 25038 2.5. che, pertanto, in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto 3. che le spese del giudizio sono liquidate secondo il criterio della soccombenza 4. che la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione in favore dell'Avv. Pier Luigi Panici, antistatario. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.