Il discrimine tra responsabilità dirigenziale e disciplinare del dirigente pubblico

In virtù dell’art. 21, comma 1, d.lgs. n. 165/2001 Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche - Responsabilità dirigenziale , la responsabilità dirigenziale si distingue da quella disciplinare caratterizzandosi per il mancato raggiungimento di obiettivi predeterminati.

Sul tema si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11161/18, depositata il 9 maggio. La vicenda. La Corte d’Appello di Torino respingeva il reclamo proposto da un radiologo avverso la sentenza di prime cure che aveva a sua volta rigettato il ricorso avverso il licenziamento intimatogli per responsabilità dirigenziale grave e reiterata. La sentenza viene dunque impugnata con ricorso per cassazione. Responsabilità disciplinare o dirigenziale? Ricostruendo l’evoluzione normativa in materia, la Corte di Cassazione sottolinea come l’attuale formulazione dell’art. art. 21, comma 1, d.lgs. n. 165/2001 Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche - Responsabilità dirigenziale esprime la volontà del legislatore di accentuare, in termini di responsabilità dirigenziale, il ruolo degli obiettivi, massimizzando l’effetto del mancato raggiungimento degli stessi ed orientando verso un accertamento di tipo oggettivo, che prescinde, cioè da colpevoli inadempimento nella gestione dell’ufficio e delle risorse umane e strumentali . In tale contesto, la responsabilità dirigenziale deve essere distinta da quella disciplinare l’elemento peculiare della prime è infatti l’incapacità del dirigente di raggiungere un determinato risultato, a prescindere dalla violazione di singoli doveri. Si tratta di un apprezzamento globale dell’attività del dirigente in riferimento al quale la giurisprudenza ha inoltre precisato che in caso di inosservanza di direttive imputabili al dirigente, condotta tipicamente rilevante sul piano disciplinare, il discrimine va ravvisato nel collegamento con la verifica complessiva dei risultati, sicché l’addebito assumerà valenza solo disciplinare nella ipotesi in cui l’amministrazione ritenga che la violazione in sé dell’ordine e della direttiva, in quanto inadempimento contrattuale, debba essere sanzionata dovrà invece essere ricondotta alla responsabilità dirigenziale qualora la violazione medesima abbia inciso negativamente sulle prestazioni richieste al dirigente . Precisa inoltre la Corte che la responsabilità dirigenziale per violazione di direttiva, presupponendo appunto uno stretto collegamento con il raggiungimento dei risultati programmati, deve essere riferita a quelle direttive strumentali al perseguimento dell’obiettivo medesimo in quanto solo in tal caso la loro violazione incide negativamente sul risultato in via anticipata. Avendo la Corte territoriale correttamente applicato tali principi, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 gennaio – 9 maggio 2018, n. 11161 Presidente Di Cerbo – Relatore Torrice Fatto 1. Il dott. M.U. , Dirigente Medico con mansioni di radiologo presso la Struttura Complessa Radiologia cui facevano capo i presidi di omissis , aveva convenuto in giudizio la Azienda Sanitaria Locale per l’accertamento della illegittimità del licenziamento in data 17.2.2015 intimato per responsabilità dirigenziale particolarmente grave e reiterata ai sensi dell’art. 36 comma 4 del CCNL del 5.12.1996. 2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Torino ha respinto il reclamo proposto dal dott. M.U. avverso la sentenza del Tribunale di Cuneo che aveva rigettato il ricorso proposto ai sensi dell’art. 1 comma 51 della L. n. 92 del 2012. 3. La Corte territoriale, richiamando i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 17128/2013, ha affermato che la differenza tra la responsabilità dirigenziale e quella disciplinare è costituita dalla intrinseca diversità di ciascuna delle due forme di responsabilità, ciascuna correlata alla natura dell’addebito, ed ha precisato, facendo propri i principi affermati da questa Corte nelle sentenze nn. 12108/2016, 8329/2016, 1478/2015, 24801/2015 che la responsabilità disciplinare è correlata a condotte violative dei singoli doveri che gravano sul lavoratore, mentre quella dirigenziale è correlata al mancato raggiungimento degli obiettivi e alla grave inosservanza delle direttive impartite dall’organo indicato nell’art. 21 del D.Lgs. n. 165 del 2001. 4. Tanto precisato, la Corte territoriale ha ritenuto che la responsabilità posta a fondamento del recesso aveva natura dirigenziale e non disciplinare perché al M. , come emergeva anche dalle schede di valutazione redatte nel corso delle procedure di verifica, era stato contestato il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati in particolare quello di refertazione degli esami entro le 24 ore e la perdurante inosservanza delle direttive impartite per il conseguimento degli obiettivi assegnati. 5. Avverso questa sentenza M.U. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale ha resistito con controricorso l’Azienda Sanitaria Locale . Il M. in prossimità dell’udienza ha depositato memoria ex art. 378 c.p.comma Motivi 6. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 22, 55 e 55 bis del D.Lgs. 3 n. 165 del 2001 e dell’art. 7 della L. n. 300 del 1970, per avere la Corte territoriale ritenuto che ove la causa determinante sia rinvenibile nell’esito negativo della valutazione complessiva dell’operato gestionale del dirigente in relazione al mancato conseguimento degli obiettivi assegnati non si è in presenza di responsabilità disciplinare. 7. Il ricorrente sostiene che la procedura prevista dall’art. 55 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 sia obbligatoria ogni volta che vengano in rilievo responsabilità di carattere disciplinare del dirigente e ogni volta che il recesso sia motivato da ragioni latu sensu disciplinari, ivi comprese le ipotesi previste dall’art. 21 del D. Lgs. n. 165 del 2001. In definitiva, il ricorrente addebita alla sentenza di avere errato nel ritenere che l’esistenza di una valutazione complessiva dell’operato gestionale del dirigente sia idonea di per sé stessa ad escludere la natura mista dirigenziale e disciplinare del recesso anche se questa valutazione si basa pressocché esclusivamente su fatti che costituiscono violazione dei doveri di diligenza e fedeltà. 8. Il ricorso è infondato. 9. L’art. 21 comma 1 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, nel testo originario, consentiva alle Pubbliche Amministrazioni di revocare l’incarico dirigenziale in considerazione del mancato raggiungimento degli obiettivi o dei risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione. Il comma 2 della norma prevedeva, poi, che potesse essere negato al dirigente un nuovo incarico, oltre che nell’ipotesi di ripetuta valutazione negativa, anche nel caso di grave inosservanza delle direttive impartite dall’organo competente , che poteva legittimare il recesso dal rapporto di lavoro nei casi di maggiore gravità . 10. La norma contenuta nell’art. 21 comma 1 è stata riscritta dall’art. 3 comma 2 della L. 15 luglio 2002 n. 145 che, oltre a tenere distinta la responsabilità dirigenziale da quella disciplinare il legislatore ha, infatti, inserito l’inciso ferma restando l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo , l’ha limitata al mancato raggiungimento degli obiettivi e all’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente , eliminando il riferimento ai risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione. 11. Successivamente il D. Lgs. 27 ottobre 2009 n. 150 con l’art. 41 comma 1 lett. a ha modificato la disposizione in punto di accertamento del mancato raggiungimento degli obiettivi, disponendo che deve effettuarsi secondo il sistema di valutazione di cui al Titolo II del decreto legislativo di attuazione della L. 4 marzo 2009 n. 15, ha lasciato immutate le fattispecie di responsabilità dirigenziale mancato raggiungimento degli obiettivi, inosservanza delle direttive imputabili al dirigente e le conseguenze che ne derivano revoca dell’incarico e collocamento a disposizione dei ruoli di cui all’art. 23 e ha mantenuta ferma la salvezza dell’eventuale responsabilità disciplinare ferma restando l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo . 12. La riscrittura della norma ad opera della citata L. n. 145 del 2002, confermata in parte qua dai successivi interventi del legislatore, non può essere ritenuta priva di significato. 13. La nuova formulazione, applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio in quanto la valutazione negativa, contestata il 4.12.2014 e riferita al periodo compreso tra l’agosto del 2002 ed il settembre 2014, esprime la volontà del legislatore di accentuare, rispetto alla configurazione della responsabilità dirigenziale, il ruolo svolto dagli obiettivi, massimizzando l’effetto del mancato raggiungimento degli stessi ed orientando verso un accertamento di tipo oggettivo, che prescinde, cioè, da colpevoli inadempimenti nella gestione dell’ufficio e delle risorse umane e strumentali. 14. In tal modo il legislatore, che non a caso con gli interventi riformatori intervenuti a far tempo dalla citata legge n. 145 del 2002, ha precisato che la responsabilità dirigenziale va distinta da quella disciplinare, ha individuato l’elemento caratterizzante la prima delle due forme di responsabilità nella incapacità del dirigente di raggiungere il risultato programmato, incapacità che prescinde da condotte realizzate in violazione di singoli doveri, in quanto la idoneità alla funzione si misura sui risultati che il dirigente è stato capace di assicurare rispetto a quelli attesi, non già sui comportamenti tenuti. 15. In tal senso si è espressa la giurisprudenza di questa Corte che, dopo avere evidenziato già con la sentenza n. 3929 del 2007 l’autonomia delle due forme di responsabilità, ha precisato, poi, che l’intervento del Comitato dei garanti, organo esterno all’amministrazione in funzione di garanzia, si giustifica in considerazione del carattere gestionale della responsabilità dirigenziale non riferibile a condotte realizzate in puntuale violazione di singoli doveri e collegata, invece, ad un apprezzamento globale dell’attività del dirigente Cass. nn. 8329/2010, 24801/2015, 11790/2015 , per cui la prevalenza della responsabilità dirigenziale su quella disciplinare, quanto alle forme del procedimento, può essere affermata solo nei casi di indissolubile intreccio fra tale tipo di responsabilità e quella, tipicamente disciplinare, per mancanze Cass. 8329/2010 . 16. Questi principi sono stati richiamati e sviluppati dalla sentenza n. 1753/2017, con la quale si è sottolineato che anche nel caso di inosservanza delle direttive imputabili al dirigente , ossia di comportamento nel quale potrebbe essere ravvisato un tipico inadempimento fonte di responsabilità disciplinare, il discrimine va ravvisato nel collegamento con la verifica complessiva dei risultati, sicché l’addebito assumerà valenza solo disciplinare nella ipotesi in cui l’amministrazione ritenga che la violazione in sé dell’ordine e della direttiva, in quanto inadempimento contrattuale, debba essere sanzionata dovrà, invece, essere ricondotta alla responsabilità dirigenziale qualora la violazione medesima abbia inciso negativamente sulle prestazioni richieste al dirigente ed alla struttura dallo stesso diretta. 17. La fattispecie dedotta in giudizio impone ulteriori precisazioni del principio innanzi richiamato perché, una volta individuato, con riferimento all’ipotesi della violazione di direttive, il discrimine fra le due forme di responsabilità, l’indissolubile intreccio che fa prevalere, quanto alle forme procedimentali, quelle disciplinate dall’art. 21 del D.Lgs n. 165 del 2001, non si potrà ritenere sussistente per il solo fatto che sia stata contestata la violazione di direttive, perché ciò equivarrebbe all’espungere in via definitiva dall’ambito della responsabilità disciplinare del dirigente l’inadempimento consistito nella omessa ottemperanza agli ordini impartiti dal datore di lavoro. 18. La commistione fra le due forme di responsabilità deve, pertanto, ritenersi sussistente solo qualora la contestazione presenti aspetti che la rendano contemporaneamente sussumibile nell’una e nell’altra forma di responsabilità, il che si verifica nell’ipotesi in cui il procedimento venga avviato con riferimento ad una pluralità di addebiti, di cui alcuni riconducibili alla responsabilità disciplinare altri a quella dirigenziale. 19. In conformità al principio affermato da questa Corte nella recente sentenza n. 24905/2017, il Collegio ritiene che la responsabilità dirigenziale per violazione di direttive , proprio perché presuppone uno stretto collegamento con il raggiungimento dei risultati programmati, deve riferirsi a quelle direttive che siano strumentali al perseguimento dell’obiettivo assegnato al dirigente perché solo in tal caso la loro violazione può incidere negativamente sul risultato, in via anticipata rispetto alla verifica finale. 20. Correlativamente, non si può confondere il rispetto delle direttive con il corretto adempimento degli altri obblighi che discendono dal rapporto di lavoro con il dirigente diligenza, perizia, lealtà, correttezza e buona fede tanto nel proprio diretto agire quanto nell’esercizio dei poteri di direzione e vigilanza sul personale sottoposto . La loro violazione, infatti, in sé e per sé considerata, mentre può essere ritenuta idonea a ledere il vincolo fiduciario che deve legare il dirigente all’Amministrazione, non rileva ai fini della responsabilità dirigenziale, nella quale ciò che conta è il mancato raggiungimento del risultato Cass.24905/2017 . 21. Diversamente da quanto opina il ricorrente, la Corte territoriale, dopo avere precisato che la distinzione tra la responsabilità disciplinare e quella dirigenziale si fonda sulla loro intrinseca diversità, correlata la prima alla violazione dei doveri che incombono sul dirigente e la seconda al mancato raggiungimento degli obiettivi ed alla grave inosservanza delle direttive impartite per realizzarli, ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte nelle sentenze richiamate nei punti da 13 a 20 di questa sentenza. 22. Essa, precisato che il ricorrente non aveva formulato alcuna censura nei confronti della sentenza del Tribunale che aveva affermato la legittimità delle quattro verifiche periodiche con esito negativo poste a base del recesso, ha ritenuto, per tal via escludendo la sussistenza di intreccio delle due forme di responsabilità, che la ragione posta a base del licenziamento era correlata alla sola responsabilità dirigenziale e non a quella disciplinare. 23. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che le valutazioni formulate in sede di verifiche periodiche attenevano al complessivo carente contributo del M. al raggiungimento degli standards qualitativi e quantitativi prefissati ed alla perdurante inosservanza delle direttive impartite per conseguirli. La Corte territoriale ha anche evidenziato che lo stesso M. nel ricorso introduttivo del giudizio aveva sostenuto che il mancato conseguimento dell’obiettivo della refertazione entro le 24 ore avrebbe potuto, al più, essere oggetto di valutazione sotto il profilo della responsabilità dirigenziale e non di quella disciplinare. 24. Va rilevato che l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale non è stato oggetto di alcuna censura da parte del ricorrente, il quale, pur deducendo nella rubrica del motivo il vizio di falsa applicazione delle disposizioni contenute negli artt. 21, 22, 55 e 55 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, non ha sviluppato alcuna censura sulla sussunzione della fattispecie dedotta in giudizio nell’ambito delle disposizioni innanzi citate. 25. È utile rammentare al riguardo che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei ristretti limiti in cui l’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.comma oggi consente la denunzia di siffatto vizio la sentenza impugnata è stata pubblicata il 13.10.2016 . Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa Cass.14468/2015, 7394/2010 . 26. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso deve essere rigettato. 27. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente ai sensi dell’art. 91 c.p.c 28. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000,00, per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.