Anche nel pubblico impiego il lavoratore può essere sanzionato per insubordinazione

Trova applicazione anche nel rapporto di pubblico impiego privatizzato, in ragione del rinvio operato dall’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, il principio secondo il quale la nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro dell’organizzazione datoriale.

Sul tema la Cassazione, sez. Lavoro con sentenza n. 9736/18, depositata il 19 aprile. Il caso. Il comandante della Polizia Municipale del Comune di Sperlonga è stata licenziata per insubordinazione sul presupposto di aver disatteso le direttive impartitele dal Segretario comunale in tema di programmazione dei servizi esterni di controllo del traffico in attuazione delle disposizioni impartite dalla prefettura di Latina, con ciò creando un grave disservizio. In primo grado il licenziamento è stato dichiarato illegittimo, avendo il Giudice ritenuto che in base al Regolamento della Polizia Municipale al Comandante erano demandate tutte le funzioni di responsabilità del servizio mentre al Segretario comunale era riservata solo la sovrintendenza allo svolgimento dei compiti affidati al Corpo e dovevano limitarsi a direttive di ordine generale. In secondo grado, invece, il licenziamento era stato ritenuto nullo per violazione del divieto di recesso nell’arco temporale di un anno dalla data del matrimonio ai sensi del d.lgs. n. 151/2001. La nozione di insubordinazione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dal Comune di Sperlonga che aveva lamentato l’errore in cui era incorsa la Corte d’Appello laddove aveva affermato che il dipendente che non condivida direttive o istruzioni impartite dal superiore gerarchico ovvero le ritenga dequalificanti anni ha il potere o il diritto di disattenderle in luogo del più limitato diritto di azionare i rimedi giurisdizionali predisposti dall’ordinamento per l’accertamento dell’illegittimità e il conseguente annullamento di tali direttive. Invero, secondo la Corte di Cassazione vanno compresi nella nozione di insubordinazione non solo il rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma anche tutti gli altri comportamenti che ne pregiudichino l’esecuzione quali, nel caso di specie, l’emissione di ordini di servizio diversi o contrari quanto comunicato dal Segretario comunale . Il lavoratore può infatti chiedere giudizialmente l’accertamento della legittimità di un provvedimento datoriale che ritenga illegittimo, ma non può rifiutarsi aprioristicamente e senza un eventuale avallo giudiziario conseguibile anche in via d’urgenza di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto egli è tenuto a ad osservare le disposizioni ricevute ex artt. 2086 e 2104 c.c. e può legittimamente invocare l’eccezione di inadempimento solo nel caso in cui l’inadempimento sia totale. Il limite dell’illiceità delle condotte richieste al lavoratore. L’unico ordine illegittimo che il lavoratore ha diritto di disattendere è quello con cui gli venga richiesto di commettere un illecito, ovvero di porre in essere una condotta contraria ai doveri di fedeltà e di diligenza verso la parte datoriale. Peraltro, osserva la Suprema Corte, deve applicarsi il principio generale secondo cui costituisce onere del lavoratore, soprattutto se dipendente di un ente pubblico, spiegare le ragioni per cui abbia disatteso ordini o direttive impartitegli creando turbamento alla regolarità ed alla continuità del servizio. Poiché dalla sentenza impugnata non risultava che fosse stato richiesto alla lavoratrice di porre in essere fatti costituenti reato o comunque comportamenti contrari ai doveri di diligenza e fedeltà per l’amministrazione, in relazione all’art. 51 c.p., la Suprema Corte ha accolto il ricorso del Comune di Sperlonga disponendo la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte territoriale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 gennaio – 19 aprile 2018, numero 9736 Presidente Di Cerbo – Relatore Blasutto Fatti di causa 1. Con sentenza numero 1748/2016 la Corte di appello di Roma ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato dal Comune di omissis alla dipendente C.P. . 2. Secondo la ricostruzione dei fatti contenuta in tale sentenza, C.P. aveva adito il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Latina e, premesso di avere svolto funzioni di Comandante della Polizia Municipale del Comune di omissis dal 1 giugno 2000, aveva dedotto che a partire dal maggio 2003 il Sindaco e il Segretario Comunale quest’ultimo anche con le funzioni di Dirigente Generale, Responsabile della Polizia municipale e preposto all’Ufficio dei procedimenti disciplinari avevano iniziato a tenere nei suoi confronti atteggiamenti vessatori costituenti mobbing , attraverso l’imposizione di ordini professionalmente dequalificanti e la privazione di funzioni istituzionali, fino al licenziamento irrogato per mancata ottemperanza agli ordini del superiore ed assenze ingiustificate dal servizio. 2.1. La ricorrente aveva esposto che, non essendosi uniformata alle direttive del Sindaco, in data 14 novembre 2003 aveva ricevuto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per numero 5 giorni e in data 31 marzo 2004 la medesima sanzione per numero 10 giorni, fino ad arrivare al licenziamento del 5 maggio 2004 preceduto da due contestazioni. Tutto ciò premesso, aveva dedotto l’illegittimità delle sanzioni conservative e del licenziamento per mancata affissione del codice disciplinare e del solo licenziamento perché intervenuto tra la richiesta delle pubblicazioni di matrimonio ed un anno dopo la celebrazione dello stesso, in violazione degli artt. 1 e segg. L. numero 7/63, nonché per infondatezza degli addebiti, per insussistenza del giustificato motivo soggettivo, per inesistenza di un inadempimento sanzionabile e per violazione del principio di terzietà il Segretario Comunale era anche responsabile del procedimento disciplinare . 2.2. Il Tribunale adito aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, con conseguente diritto della ricorrente alla reintegrazione nel posto di lavoro, mentre aveva dichiarato non esservi luogo a provvedere sulle rimanenti domande, da intendersi rinunciate ex articolo 75 comma 1 c.p.p. per avvenuta costituzione di parte civile della C. nel giudizio penale per abuso di ufficio e falso a carico del Sindaco, del Segretario Comunale e di altri soggetti a vario titolo coinvolti nei fatti descritti. 2.3. Il Giudice di primo grado aveva osservato che, alla stregua del Regolamento della Polizia Municipale di omissis , al Comandante del Corpo di Polizia Municipale erano demandate funzioni di responsabilità del servizio e che quindi la C. aveva tutti i poteri di gestione ed organizzazione del lavoro dei vigili urbani, mentre al Segretario Comunale, per lo stesso Regolamento, era demandata la sovrintendenza allo svolgimento dei compiti affidati al Corpo. Aveva dunque affermato che il Comandante organizza e gestisce il Corpo di Polizia Municipale, mentre il Segretario comunale impartisce al predetto Comandante le direttive di ordine generale. Sulla scorta di tale premesse, aveva ritenuto che le condotte contestate, relative alla mancata osservanza dei servizi programmati dal Segretario comunale, non integrassero condotte idonee a giustificare la sanzione espulsiva l’attribuzione dei poteri che alla C. derivavano dal Regolamento escludeva di poter dare rilevanza, ai fini del giudizio di proporzionalità, al turbamento della regolarità del servizio e alla confusione per la sovrapposizione degli ordini , ragioni poste alla base del recesso. 2.4. Tale sentenza era stata impugnata da entrambe le parti. La C. aveva censurato la dichiarazione di estinzione del giudizio con riferimento alle domande risarcitorie. Il Comune di omissis aveva censurato la sentenza nella parte relativa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento. 3. La Corte di appello di Roma, rigettato l’appello proposto dalla Ceccarelli, in parziale riforma della sentenza impugnata, confermata nel resto, ha dichiarato la nullità del licenziamento in luogo della declaratoria di illegittimità di cui la sentenza impugnata. 3.1. Ha reputato preliminare ed assorbente rispetto all’esame dei motivi di appello l’eccezione mossa dalla C. con il ricorso di primo grado riguardante la nullità del licenziamento intimato dopo la richiesta di pubblicazioni civili del matrimonio, sulla quale il Tribunale non si era pronunciato per implicito assorbimento della questione. Ha osservato, in sintesi, quanto segue - il 26 aprile 2004 era pervenuta al Comune di omissis la richiesta delle pubblicazioni del matrimonio poi effettivamente celebrato in data in data 14.6. 2004 per cui il licenziamento intervenuto il 5 maggio 2004 doveva ritenersi intimato a causa di matrimonio, in virtù della presunzione di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, L. n 7/1963 - a fronte di ciò, spettava alla parte datoriale fornire la prova contraria, onde vincere la suddetta presunzione incombeva dunque al Comune di omissis provare che il licenziamento, seppure intervenuto nel periodo in cui opera il divieto, era stato legittimamente intimato perché sorretto da motivo legittimo diverso dal matrimonio, ossia per giusta causa ex articolo 3 lett. a L. numero 860/1950, pena la nullità del licenziamento medesimo - parte datoriale aveva dedotto di essersi determinata al recesso per reprimere i gravi atti di insubordinazione della C. , che non si era uniformata alle direttive del Segretario Comunale e di avere intimato legittimamente la sanzione espulsiva ai sensi del contratto collettivo in esito alla precedente doppia recidiva - tuttavia, non era stata provata in giudizio la colpa grave che integra giusta causa di licenziamento, non avendo il Comune fornito la rigorosa prova richiesta per superamento la presunzione a suo carico - la mancata osservanza degli ordini, anche comportanti le assenze della C. nei giorni degli orari programmati dal Segretario comunale, era giustificata dal fatto che si trattava di ordini illegittimi, poiché basati su un potere estraneo a quello proprio del Responsabile del Servizio di Polizia Municipale e tanto poteva desumersi dalle norme del nuovo Regolamento del 1998 che delineava i compiti e le attribuzioni del Responsabile del Servizio nella specie, del Segretario comunale come direttive di massima da impartire al Comandante, il quale invece esercita il potere esecutivo, gestionale ed organizzativo del relativo Corpo - ai sensi del Regolamento di Polizia Municipale del 1995, il Corpo di Polizia Municipale dipende direttamente dal Sindaco o dall’assessore delegato, che impartiscono ordini e direttive tramite il Comandante del Corpo, responsabile del servizio quest’ultimo provvede all’organizzazione e alla direzione tecnico operativa degli appartenenti al corpo/servizio, all’impiego tecnico operativo del personale dipendente, all’assegnazione alle unità, ai reparti e ai servizi speciali, all’esercizio del potere ispettivo, alla predisposizione dei turni, tutte competenze sulle quali si era attestato lo scontro tra le divergenti determinazioni del Comandante, da un lato, e del Segretario Comunale, dall’altro - tali attribuzioni del Comandante del Corpo non erano venute meno per il fatto che il Segretario comunale era stato designato titolare delle funzioni di Responsabile del Servizio di Polizia difatti, la nuova regolamentazione comunale Regolamento dell’Ordinamento generale degli uffici e dei servizi, deliberato dalla Giunta nel 1998 prevede che i responsabili degli uffici e dei servizi abbiano la responsabilità del generale andamento degli uffici cui sono preposti articolo 7, co.3 , nonché della gestione delle risorse economiche, di personale e strumentali ad essi assegnate, ciò per dare effettiva attuazione agli obiettivi contenuti del programma amministrativo articolo 7, co.5 essi adottano in via generale gli atti conclusivi del procedimento amministrativo delle determinazioni adesso correlate articolo 7, co.4 trattasi di prerogative di ordine generale programmatico, che nulla hanno a che vedere con la gestione del personale, la sua organizzazione sul territorio, la predisposizione dei turni e degli orari giornalieri di lavoro e in genere delle migliori modalità operative dell’attività di Polizia. 3.2. In conclusione, la Corte distrettuale ha ritenuto che tutte le mancanze poste a base del licenziamento e dei precedenti provvedimenti disciplinari, ivi comprese le assenze dal servizio, risultavano collegate alla inosservanza delle disposizioni provenienti dal Segretario Comunale in contrasto con quelle provenienti dalla stessa C. nell’esercizio dei poteri direttivi ed organizzativi di Comandante del Corpo, cosicché la mancata osservanza di quei disposizioni non costituisce inadempimento né il Comune aveva dimostrato e nemmeno allegato le ragioni per le quali aveva proceduto, nei confronti della ricorrente, alla dedotta privazione dei poteri. 4. Per la cassazione di tale sentenza il Comune di omissis ha proposto ricorso affidato a sei motivi. Ha resistito con controricorso la C. . Entrambe le parti ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c In particolare, la difesa della C. ha eccepito la nullità/inesistenza della procura rilasciata dal Sindaco di omissis , quale legale rappresentante del Comune, per carenza della delibera autorizzatoria della Giunta comunale a proporre impugnazione. Ragioni della decisione 1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione sollevata dalla C. in sede di memoria difensiva ex articolo 378 c.p.c Secondo la giurisprudenza di questa Corte Cass. 5802 del 2016 , nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, competente a conferire la procura alle liti al difensore del Comune è il Sindaco e non la Giunta, la cui delibera, siccome priva di valenza esterna, ha natura meramente gestionale e tecnica Cass. numero 5802 del 2016 . In tema di ricorso per cassazione, la procura speciale al difensore, prescritta a pena di nullità dall’articolo 365 cod. proc. civ., può essere conferita al difensore esclusivamente dal soggetto legittimato a stare in giudizio ai sensi dell’articolo 75 cod. proc. civ., il quale, per il Comune, è il solo Sindaco articolo 50 del d.lgs. 18 agosto 2000, numero 267 e non la giunta comunale Cass. 18062 del 2010 . 2. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e precisamente a sussistenza di provvedimenti disciplinari numero 20836 del 14 novembre 2003 e numero 5905 del 31 marzo 2004, antecedenti anche alla richiesta di pubblicazione di matrimonio del 26 aprile 2004, e costituenti presupposto essenziale del provvedimento di recesso, alla luce dell’articolo 25 CCNL del 1 aprile 1999, in ragione della recidiva biennale b avvio del procedimento disciplinare con nota prot. numero 8031 del 7 gennaio 2004 tre mesi prima della richiesta di pubblicazioni di matrimonio e rinvii del procedimento per l’audizione a difesa la cui prima convocazione era stata fissata per il 29 marzo 2004 richiesti dalla stessa C. e tali da comportare il differimento del procedimento fino alla data del 5 maggio 2004. Si rileva che, ove tali fatti decisivi fossero stati considerati, la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere superata la presunzione iuris tantum di cui all’articolo 1, comma 3, L. numero 7/63. 3. Il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 2086 c.c. e 2094 c.c., articolo 2, comma 2, e articolo 5 d.lgs. 165/2001, artt. 6 e 7 Regolamento dell’Ordinamento generale degli Uffici e dei Servizi del Comune di omissis adottato con delibera della G.M. numero 41/98 , nonché del generale principio in base al quale il lavoratore dipendente che non condivida gli ordini e le direttive impartite dal suo superiore o dal datore di lavoro non ha il diritto né la facoltà di disattenderli autonomamente, disponendo invece della mera facoltà di esperire rimedi giurisdizionali, anche cautelari, apprestati dall’ordinamento per l’accertamento dell’eventuale illegittimità degli ordini e/o delle direttive e per il ripristino della legalità eventualmente violata. Violazione di legge in relazione all’articolo 51 c.p. e dei principi affermati, in applicazione analogica di tale norma, dalla giurisprudenza del lavoro, secondo cui l’ordine illegittimo che il lavoratore ha diritto di disattendere è solo quello con cui venga richiesto di commettere un illecito, ovvero di porre in essere una condotta contraria ai doveri di fedeltà e diligenza verso la parte datoriale. Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1, co.5, L. numero 7/63 e norme correlate ai principi generali in tema di colpa grave della lavoratrice, idonea a superare la presunzione di licenziamento a causa di matrimonio. 3.1. Si assume che nella premessa del provvedimento licenziamento prot. numero 8031 del 5 maggio 2004 era stato ascritto alla dipendente di non avere ottemperato a specifici ordini di servizio e di avere in tal modo creato un grave disservizio e precisamente, con la contestazione del 7 gennaio 2004, di non avere svolto, secondo quanto disposto la programmazione settimanale, il servizio esterno di controllo del traffico dalle ore 8,00 alle ore 11,00, come richiesto anche in attuazione delle disposizioni impartite alla prefettura di Latina, e di essere stata ingiustificatamente assente dal servizio nei giorni 25, 26 e 27 dicembre 2003 con la contestazione del 19 gennaio 2004, di non avere svolto in data 30 dicembre 2003 il turno di servizio programmato dalle 15,00 alle 21,00 di essere stata ingiustificatamente assente dal servizio il giorno 1° gennaio 2004 e di non avere svolto in data 7 gennaio 2004 il servizio dalle ore 15,00 alle ore 21,00 come programmato, bensì arbitrariamente di avere prestato servizio dalle ore 8,00 alle ore 14. 3.2. Si deduce altresì con il secondo motivo che la dipendente non solo non aveva osservato gli obblighi nascenti dagli ordini di servizio impartiti dal Responsabile del Servizio, ma aveva addirittura emesso specifici ordini di servizio, anche all’indirizzo degli altri componenti della Polizia municipale, contrastanti con quelli del Responsabile del Servizio, in tal modo cagionando grave confusione nei destinatari degli ordini, come confermato dai testi in sede istruttoria. 4. Il terzo motivo denuncia violazione di legge ed omesso esame dei seguenti fatti decisivi per il giudizio a inesistenza di un vero e proprio Corpo di Polizia Municipale per difetto dei presupposti previsti dal Regolamento del 1995 numero di addetti pari o superiore a numero 7 unità e quindi difetto in capo alla ricorrente della posizione di Comandante del Corpo e conseguente legittimo affidamento della responsabilità del servizio di polizia municipale ad un soggetto diverso b in ogni caso, piena legittimità degli ordini di servizio emessi dal Segretario comunale, essendo chiara, nel Regolamento del 1998 vigente al tempo dei fatti, l’attribuzione al Responsabile del Servizio di compiti gestionali e tenuto conto che la sopravvenienza del nuovo Regolamento aveva comportato l’abrogazione di ogni precedente, incompatibile disposizione. Si rileva che l’articolo 7 del nuovo Regolamento espressamente dispone che i Responsabili dei servizi e degli uffici sono direttamente responsabili dell’andamento degli uffici cui sono preposti e della gestione delle risorse economiche, di personale e strumentali assegnati e curano l’organizzazione degli uffici e dei servizi nell’ambito delle direttive e degli indirizzi politici espressi dagli organi di governo, assumendo i necessari atti di gestione. 5. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132, co. 1, numero 4 c.p.c. e 112 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine all’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dal Comune avverso il gravame avversario per genericità dei motivi. 6. Il quinto motivo denuncia violazione di legge in relazione al ritenuto assorbimento dei motivi di appello formulati dal Comune di omissis avverso la sentenza di primo grado, il cui esame era stato del tutto pretermesso dalla Corte territoriale per avere accolto l’impugnativa del licenziamento sulla base di un’eccezione diversa da quella esaminata dal Giudice di primo grado. 7. Il sesto motivo costituisce riproposizione delle censure non esaminate dalla Corte territoriale e segnatamente riguardanti l’articolo 25, comma 6, lett. a CCNL, secondo cui la sanzione del licenziamento con preavviso era l’unica sanzione che poteva essere comminata, considerata la recidiva biennale e tenuto conto dei precedenti provvedimenti disciplinari del 14 novembre 2003 sospensione dal servizio e dalla retribuzione per numero 5 giorni e del 31 marzo 2004 sospensione dal servizio e dalla retribuzione per numero 10 giorni , aventi ad oggetto fatti analoghi a quelli contestati nel terzo procedimento disciplinare. 8. Meritano accoglimento i primi tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto interconnessi, mentre il quarto vertente sul vizio di omessa pronuncia è inammissibile per difetto di autosufficienza e i restanti vertenti sui motivi di appello non esaminati dalla Corte di appello sono inammissibili in quanto relativi a questioni rimaste assorbite nella soluzione accolta dal giudice di appello e suscettibili di riproposizione in sede di rinvio. 9. La L. numero 7 del 1963, articolo 1, dispone .del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa del matrimonio specificando al comma 3, si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio a un anno dopo la celebrazione., sia stato disposto per causa di matrimonio . Il termine disposto allude ad una decisione della parte datoriale che sia maturata ed adottata nell’arco temporale indicato per legge cfr. Cass. numero 27055 del 2013 . Tale presupposto tuttavia - ad avviso del Collegio non può ravvisarsi laddove si verta in un’ipotesi di procedimento disciplinare già avviato anteriormente alla data della richiesta di pubblicazioni di matrimonio in tale caso, non può presumersi la riconducibilità della volontà datoriale alla causa di matrimonio , non essendo i relativi presupposti neppure venuti ad esistenza alla data in cui è stata esercitata l’azione disciplinare. Non è ravvisabile, in radice, alcun nesso logico nè giuridico tra la volontà datoriale di avviare e dare corso ad un procedimento disciplinare e la richiesta di pubblicazioni di matrimonio che intervenga nel corso di tale procedimento. 9.1. Risulta dalla sentenza impugnata che la richiesta di pubblicazioni di matrimonio pervenne al Comune di omissis il 26 aprile 2004, nelle more del procedimento disciplinare già avviato ed in corso a quella data. 9.2. Tale ragione ha carattere assorbente e impone la cassazione con rinvio per l’esame dei motivi di appello proposti dal Comune di omissis , rimasti assorbiti nella diversa soluzione accolta dal giudice di appello. Difatti, la sentenza impugnata ha accolto la domanda di impugnativa del licenziamento per ragioni diverse da quelle esaminate dal Giudice di primo grado, che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento in quanto sanzione eccessiva e sproporzionata rispetto alla gravità effettiva dei fatti. La Corte di appello ha invece ritenuto il licenziamento affetto da nullità, perché intimato per causa di matrimonio . 10. La sentenza impugnata è incorsa in un’ulteriore violazione di legge laddove ha affermato che il dipendente che non condivida direttive o istruzioni impartite dal superiore ovvero dal datore di lavoro ovvero le ritenga dequalificanti abbia il potere o il diritto di disattenderle in luogo del più limitato diritto di azionare i rimedi giurisdizionali predisposti dall’ordinamento per l’accertamento della illegittimità di tali direttive o istruzioni ai fini dell’annullamento. 10.1. Nell’ambito del rapporto di lavoro privato, questa Corte ha affermato che la nozione di insubordinazione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale Cass. numero 7795 del 2017 . Più in generale il lavoratore può chiedere giudizialmente l’accertamento della legittimità di un provvedimento datoriale che ritenga illegittimo, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario conseguibile anche in via d’urgenza , di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 c.c., e può legittimamente invocare l’eccezione di inadempimento, ex articolo 1460 c.c., solo nel caso in cui l’inadempimento del datore di lavoro sia totale cfr., tra le più recenti, Cass. numero 831 del 2016 e numero 18866 del 2016 . Tali principi trovano applicazione nel rapporto di pubblico impiego privatizzato, anche in ragione del rinvio operato dall’articolo 2, co. 2, d.lgs. numero 165/01. 10.2. La Corte d’appello ha invertito il principio generale secondo cui costituisce onere del lavoratore, soprattutto se dipendente di un ente pubblico, spiegare le ragioni per cui abbia disatteso ordini di servizio o direttive impartitegli creando turbamento alla regolarità e continuità del servizio. Non risulta infatti della sentenza impugnata che fosse stato richiesto alla disponente di porre in essere fatti costituenti reato o comunque comportamenti contrari ai doveri di diligenza e fedeltà per l’amministrazione in relazione all’articolo 51 c.p. . 11. Il ricorso va dunque accolto per quanto di ragione e la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.