Vendite scontate grazie all’abuso di “carte aziendali”: licenziata la store manager

In un solo anno sono state registrate nel negozio quasi 70 operazioni scorrette, cioè effettuate grazie all’uso illegittimo delle carte sconto” riservate ai dipendenti. Per l’azienda e per i Giudici è evidente la gravità della condotta tenuta dalla responsabile del punto vendita.

Troppe vendite con prezzi tagliati”. Licenziata perciò la responsabile del negozio di alta moda. Fatale la constatazione che le transazioni erano viziate dall’utilizzo illegittimo delle carte sconto” riservate ai dipendenti Cassazione, ordinanza n. 8703/18, sez. VI Civile - L, depositata oggi . Carta sconto e vendite plurime. Riflettori puntati sulla gestione del punto vendita. In un anno sono state registrate quasi settanta operazioni effettuate utilizzando carte sconto” assegnate a due dipendenti estranei al negozio e non presenti in occasione degli acquisti, riguardanti merce di alta moda. La reazione della società titolare del negozio è drastica la store manager viene prontamente allontanata. E il licenziamento è ritenuto legittimo prima in Tribunale e poi in Corte d’appello per i Giudici è lapalissiana la gravità della condotta tenuta dalla lavoratrice. A questo proposito, viene osservato che la dipendente ha permesso l’utilizzazione della carta sconto” di altri dipendenti senza la loro presenza e senza il loro consenso, così da autorizzare vendite plurime – scontate anche più del 50 per cento –, in contrasto con il regolamento aziendale che imponeva l’uso strettamente personale della carta”, con divieto anche di delega . Violazione doveri connessi al rapporto di lavoro. La prospettiva adottata in Appello, e sfavorevole, come detto, alla lavoratrice, viene condivisa anche dalla Cassazione, che, difatti, rende definito il licenziamento adottato dalla società. Irrilevante è considerato il richiamo difensivo alla mancanza di espressa previsione sanzionatoria nel regolamento aziendale affisso sul luogo di lavoro , poiché, spiegano i Giudici, ci si trova di fronte, in questo caso, ad una condotta diversa e connotata di ben maggiore gravità rispetto al semplice uso scorretto della carta sconto” aziendale . Per spazzare via ogni dubbio, i Giudici del Palazzaccio sottolineano la gravità delle azioni compiute dalla store manager, che ha consentito l’uso di carte sconto” per giustificare plurime vendite di merce di consistente valore e con modalità fraduolente . Logico, quindi, parlare di clamorosa violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro , violazione che fa venir meno il vincolo fiduciario tra azienda e dipendente e giustifica il licenziamento.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 10 gennaio – 9 aprile 2018, n. 8703 Presidente Doronzo – Relatore Esposito Rilevato che con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da Re. Je., dipendente di Luxury Goods Italia S.p.a. con funzioni di store manager presso il punto vendita Gucci di Forte dei Marmi, diretto all'impugnativa del licenziamento intimato alla predetta per giusta causa. Alla lavoratrice era contestato che presso il negozio erano state rilevate numerose transazioni in numero di sessantasette , avvenute nel corso dell'anno 2008 utilizzando le carte di sconto assegnate a due dipendenti estranei al punto vendita e che risultavano eseguite senza che il titolare della carta sconto fosse presente che la Corte territoriale aveva fondato la decisione sul rilievo della constatata lesione del rapporto fiduciario e aveva ritenuto proporzionata la sanzione rispetto al numero e gravità delle condotte, tenuto conto del ruolo dell'incolpata. Specificamente aveva disatteso il motivo di censura attinente alla circostanza che l'unica sanzione prevista per utilizzo scorretto della carta fosse costituita dal ritiro della stessa e che, conseguentemente, la fattispecie dovesse farsi rientrare tra quelle richiedenti l'esposizione del codice disciplinare, osservando che la contestazione non riguardava l'uso della carta sconto, ma l'avere la dipendente permesso, nel negozio di cui era gerente, l'utilizzazione della carta sconto di altri dipendenti senza la loro presenza fisica e senza il loro consenso, così da autorizzare vendite plurime scontate anche più del 50% in contrasto con il regolamento aziendale che imponeva l'uso strettamente personale della carta con divieto anche di delega che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice con unico motivo che la controparte ha resistito con controricorso che entrambe le parti hanno depositato memorie che la proposta del relatore, ai sensi dell'articolo 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata Considerato Che con l'unico motivo la ricorrente deduce violazione dell'articolo 7 L. 20 maggio 1970 n. 300 - Violazione degli artt. 2106 e 2119 cod. civ. In proposito rileva che, pur essendo pacifica l'esistenza di un regolamento aziendale disciplinante l'uso delle carte sconto fornite a tutti i dipendenti, tuttavia esso non contempla alcuna sanzione disciplinare per le ipotesi di uso della carta sconto non conforme alle disposizioni aziendali, se non il mero ritiro della stessa e che, conseguentemente, ove il datore di lavoro avesse considerato l'uso della carta sconto come condotta disciplinarmente rilevante, avrebbe dovuto espressamente prevederlo nel regolamento da affiggere sul luogo di lavoro, non potendo altrimenti ritenersi che la condotta costituisse violazione del minimum etico o comportasse lesione del vincolo fiduciario idoneo a integrare giusta causa di licenziamento che in proposito va preliminarmente osservato che il ragionamento della Corte territoriale si fonda sul rilievo che la condotta attribuita alla ricorrente, riguardando l'uso non della propria, ma delle altrui carte sconto in funzione della giustificazione di plurime vendite di merce di consistente valore, con modalità fraudolente e in mancanza della presenza e del consenso dei titolari delle medesime, esula dall'ambito dell'ipotesi di irregolare utilizzo della carta e trasmoda in una grave violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro che nella indicata prospettiva non assume rilievo la mancanza di espressa previsione sanzionatoria nel regolamento aziendale affisso nel luogo di lavoro, trattandosi di una condotta diversa e connotata di ben maggiore gravità rispetto al semplice uso scorretto della carta sconto aziendale che la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel senso di ritenere la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non applicabile laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro tra le altre Cass. n. 20270 del 18/09/2009 che alla luce delle svolte argomentazioni, avendo la Corte territoriale fondato il suo giudizio sulla valutazione della gravità, sotto i profili oggettivo e soggettivo, dei fatti addebitati alla lavoratrice, anche in ragione delle circostanze nell'ambito delle quali sono stati commessi, alla reiterazione dei medesimi e all'incidenza sul venir meno dell'elemento fiduciario, le critiche svolte con i motivi di ricorso risultano attenere non già alla verifica in ordine ai criteri ermeneutici di applicazione della clausola generale di cui all'articolo 1455 cod. civ., ma, piuttosto, all'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi ritenuti dai giudici del merito idonei a integrare il giustificato motivo di licenziamento, accertamento che si pone sul diverso piano del giudizio di fatto demandato al giudice del merito cfr., tra le altre, Cass. n. 6498 del 26/04/2012, Cass. n. 18715 del 23/09/2016 che in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, con liquidazione delle spese processuali secondo soccombenza P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.