Ancora circa la legittimità costituzionale del c.d. Collegato lavoro

Nel caso di conversione a tempo indeterminato di un rapporto originariamente a termine, la sanzione consiste nella conversione con l’accesso ad un rapporto iussu iudicis privo di limitazioni temporali e l’indennità risarcitoria completa in sostanza - con una previsione indubbiamente conforme ai principi costituzionali - tale sanzione secondo modalità che disciplinano, secondo criteri di equità e di equilibrio tra contrapposti interessi, la sua complessiva entità.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 7416 depositata in data 26 marzo 2018. Il caso. La Corte di Appello di Palermo, riformando la pronuncia di primo grado, condannava una società al pagamento nei confronti di una propria dipendente di un’indennità pari a 4 mensilità di retribuzione globale di fatto ex art. 32 Legge n. 183/2010 c.d. Collegato Lavoro, ratione temporis applicabile , oltre alla sua riammissione in servizio in virtù dell’accertata nullità del temine apposto al contratto sottoscritto tra le parti. Ritenevano in particolare i Giudici di merito che, nella specie, si fosse in presenza di una nullità parziale del contratto i.e. limitatamente alla clausola appositiva del termine dovuta al fatto che il datore di lavoro non avesse provato di avere predisposto - prima dell’assunzione a termine della ricorrente - il documento di valutazione dei rischi. Contro tale pronuncia la lavoratrice ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. È indubbia la legittimità costituzionale del Collegato Lavoro. In particolare, ed in estrema sintesi, la ricorrente si doleva delle modalità di quantificazione del danno da lei patito atteso che, nella sua ricostruzione, la previsione di un’indennità forfetaria operata dall’art. 32 del c.d. Collegato Lavoro doveva essere considerata costituzionalmente illegittima attesa la disparità di trattamento che creava tra lavoratori assunti a tempo indeterminato e lavoratori così inquadrati a seguito di pronuncia giudiziale oltre che in violazione per quanto qui interessa della Direttiva n. 1999/70, della c.d. Carta di Nizza e della c.d. Carta dei diritti UE. Motivi che tuttavia non vengono condivisi dalla Corte la quale, affermando il principio esposto in massima, rigetta il ricorso. A sostegno del proprio decisum , la Cassazione richiama i principi espressi sia dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 303/2011 che dalla propria stessa giurisprudenza nelle sentenze nn. 67314/2017 e 16545/2016 , chiarendo come non vi sia alcun dubbio che le sanzioni previste dalla norma in commento che sussistono congiuntamente nel settore privato abbiano un carattere di deterrenza nei confronti degli abusi nel ricorso al contratto a termine e che quindi realizzino gli scopi della direttiva [.] senza alcun pregiudizio discriminatorio per i lavoratori già a termine che ottengono in primis il bene della vita rivendicato in giudizio e cioè la conversione del rapporto . L’indennità era riferita solo al periodo intermedio. Sotto altro profilo, la ricorrente si doleva di come la previsione di un’indennità omnicomprensiva invogliasse il datore di lavoro ad allungare i tempi del processo poiché non correlata a tali tempi , chiedendo quindi il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia. Motivo che, al pari della richiesta di rinvio pregiudiziale, viene ritenuto infondato dalla Cassazione atteso che se è vero che l’indennità prevista dall’art. 32 copre pacificamente solo il cosiddetto periodo intermedio tra la scadenza del termine e la sentenza di conversione con una liquidazione forfetaria da tale circostanza, non è nemmeno sempre possibile inferire che il sistema liquidatorio sia sempre e comunque meno favorevole di quello precedente . Inoltre, prosegue la Corte, il rischio di un indebito allungamento del processo è un tipico rischio processuale rispetto al quale l’ordinamento prevede mezzi di tutela che si fondano sul dovere del giudice di impedire ritardi e nell’arrivare ad un esito coerente con i tempi fissati dalla giurisprudenza di Strasburgo la cui violazione può portare al risarcimento di danni per chi ha subito abnormi ritardi . Alla luce di quanto sopra, conclude la Corte, non sussiste alcuna tensione normativa con la disciplina sovranazionale ed, in particolare, con le disposizioni della Carta dei diritti UE.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 ottobre 2017 – 26 marzo 2018, n. 7416 Presidente Nobile – Relatore Bronzini Fatti di causa 1. Con la sentenza del 10.1.2012 la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Trapani del 12.12.2008, condannava l’Airgest spa al pagamento in favore di C.A. di una indennità peri a 4 mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre accessori come per legge. 2. A fondamento della propria decisione la Corte territoriale ha osservato che il Tribunale aveva dichiarato la nullità del termine del primo contratto dell’8.7.2003 con trasformazione del contratto ed ordine di riassunzione della C. in servizio con il pagamento delle retribuzioni dalla data di messa in mora per mancata prova da parte della società di aver effettuato la valutazione dei rischi che correttamente il Tribunale aveva ritenuto che spettasse alla società offrire la prova della valutazione dei rischi non offerta nel caso in esame in quanto alla data di stipula del primo contratto il documento di valutazione non risultava sottoscritto. La Corte territoriale rilevava che pertanto l’apposizione del termine era viziata mancandone uno dei presupposti e che tale nullità non travolgeva l’intero contratto ma determinava la sua trasformazione in rapporto a tempo indeterminato con conseguente ordine di riassunzione il danno doveva essere liquidato alla luce dell’art. 32 L. n. 183/2010 in 4 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto che copriva forfettariamente, alla luce della giurisprudenza di legittimità e costituzionale, il periodo tra la data di scadenza del contratto e la sentenza che aveva disposto la riconversione. 3. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso con tre motivi parte intimata non si è costituita. Ragioni della decisione 4. Con il primo motivo si allega la violazione ex art. 360, n. 3 cod. civ. proc. dell’art. 32 L. n. 183/2010, in quanto l’art. 3 L. n. 238/2001 prevede che non sia ammessa la stipula di contratti a termine senza una previa valutazione dei rischi e quindi si tratta di un caso diverso da quello in cui il Giudice giudica illegittima o nulla l’apposizione del termine. 5. Il motivo appare infondato posto che in piena evidenza si è trattato di un caso di conversione di un rapporto a termine in un contratto a tempo indeterminato, decisum dei Giudici di merito che non si impugna neppure in questa sede. Pertanto posto che la sanzione dell’illegittima apposizione del termine è la conversione cui accede il risarcimento del danno, quest’ultimo va liquidato alla luce delle legge n. 183/2010 applicabile ai giudizi in corso come da consolidata giurisprudenza di questa Corte per tutte cfr. Cass. n. 16545/2016 . 6. Con il secondo motivo si allega la violazione di legge art. 3 della Costituzione, clausole 4 e 5 dell’Accordo quadro recepito con direttiva Ue n. 1999/70, art. 20 della Carta di Nizza, artt. 2,9 e 21 del Trattato, artt. 30 Carta Europea dei diritti dell’Uomo. La disposizione di cui all’art. 32 L. n. 183/2010 realizza una disparità di trattamento perché limita il risarcimento spettante ai lavoratori illegittimamente assunti a termine rispetto a quanto previsto in via generale per i lavoratori a tempo indeterminato. 7. Il motivo appare infondato in quanto la disposizione di cui all’art. 32 è già stata esaminata quanto alla sua compatibilità con l’ordinamento sovranazionale sia dalla giurisprudenza costituzionale soprattutto cfr. Corte cost. n. 303/2011 che da quella di legittimità da ultimo cfr. Cass. n. 16545/2016 Cass. n. 67314/2017 cui si rinvia per le più ampie considerazioni. Tale convergente orientamento ha sottolineato come nel caso di conversione di un rapporto a termine con nullità del termine la sanzione sia costituita dalla conversione con l’accesso ad un rapporto iussu iudicis privo di limitazioni temporali e che l’indennità risarcitoria completi in sostanza tale sanzione secondo modalità che disciplinano, secondo criteri di equità e di equilibrio tra contrapposti interessi, la sua complessiva entità. Non vi è dubbio che tali sanzioni conversione e risarcimento forfettario che sussistono congiuntamente nel settore privato abbiano un carattere di deterrenza nei confronti degli abusi nel ricorso al contratto a termine e che quindi realizzino gli scopi della direttiva come affermato già da questa Corte, senza alcun pregiudizio discriminatorio per i lavoratori già a termine che ottengono in primis il bene della vita rivendicato in giudizio e cioè la conversione del rapporto. Va da ultimo osservato che non esiste nessuna Carta Europea dei diritti dell’uomo e che, se invece ci si voleva riferire all’art. 30 della Carta dei diritti Ue, tale norma si riferisce ai licenziamenti ingiustificati. 8. Con l’ultimo motivo si deduce la violazione dell’art. 47 del Trattato di Lisbona, dell’art. 47 della Carta dei diritti Ue, e dell’art. 6 Cedu. La norma di cui all’art. 32 avvantaggia il datore di lavoro invogliandolo ad allungare i tempi del processo posto che l’indennità prevista non è correlata a tali tempi e si chiede che la Corte disponga il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in ordine ai punti indicati al motivo. 9. Il motivo appare infondato. In primo luogo se è vero che l’indennità prevista dall’art. 32 copre pacificamente il cosiddetto periodo intermedio tra la scadenza del termine e la sentenza di conversione con una liquidazione forfettaria da tale circostanza non è nemmeno possibile inferire che il sistema liquidatorio sia sempre e comunque meno favorevole di quello precedente in vigore articolato dall’obbligo risarcitorio dal solo momento della messa in mora che nel caso dell’art. 32 è priva di significato posto che il risarcimento ex art. 32 consegue di per sé dalla dichiarazione di nullità del termine e dalla conversione del contratto in secondo luogo il rischio sofferto dal lavoratore di un indebito allungamento del processo con un comportamento ostruzionistico del datore di lavoro è un tipico rischio processuale rispetto al quale l’ordinamento prevede mezzi di tutela che si fondano sul dovere del giudice di impedire ritardi e nell’arrivare ad un esito coerente con i tempi fissati dalla giurisprudenza di Strasburgo la cui violazione può portare al risarcimento di danni per chi ha subito abnormi ritardi , nonché nella liquidazione delle spese lo stesso onere di impugnazione tempestiva stabilito nella novella del 2010 intende accelerare i tempi processuali. Pertanto non sussiste in piena evidenza alcuna tensione con la normativa sovranazionale e le disposizioni della Carta dei diritti Ue come ipotizzata. Peraltro la copiosa giurisprudenza della Corte di giustizia sulla Carta dei diritti non mostra interpretazioni e soluzioni che possano offrire delle conferme a quanto sostenuto nel motivo che è privo di ancoraggi puntuali nella giurisprudenza della Corte del Lussemburgo, sicché non sussistono i presupposti per il chiesto rinvio pregiudiziale. La Corte di giustizia sin dalla sentenza Kamberay del 2012 ha precisato che non spetta a tale Corte valutare l’eventuale violazione di norme Cedu rispetto alle quali un invio pregiudiziale sarebbe in conferente. Il Trattato di Lisbona si compone, infine, di due parti il Trattato sull’Unione TUE ed il Trattato sul funzionamento dell’Unione TFUE l’art. 47 del primo Trattato tratta della personalità giuridica dell’Unione, l’art. 47 del secondo gli scambi dei giovani lavoratori e pertanto non offrono alcun nesso con il caso in esame. Si deve quindi ritenere che l’art. 47 sia stato citato per errore duplicando il richiamo all’art. 47 della Carta il cui contenuto essenziale sotto il profilo sviluppato non risulta violato così come l’art. 6 Cedu di contenuto analogo posto che l’art. 32 certamente non sterilizza i consueti mezzi che il legislatore interno ha apprestato per impedire abusi nel processo e per imprimere tempi ragionevoli di definizione che non ricadano sempre sulla parte più debole. 9. Si deve quindi rigettare il ricorso. Nulle sulle spese. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.