Gli elementi che dimostrano la natura subordinata del rapporto di lavoro operano anche tra fratello e sorella

Sulla base del riscontro probatorio degli elementi a cui la giurisprudenza riconduce pacificamente la natura subordinata del rapporto di lavoro, la Corte esclude l’ipotesi della sussistenza di un’impresa familiare.

Sul tema l’ordinanza n. 4535/18, depositata il 27 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello di Torino confermava la sentenza di prime cure che accoglieva la domanda proposta dall’attrice nei confronti del fratello titolare di una ditta individuale di commercio di piante e fiori, condannando quest’ultimo, previo riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, al pagamento delle differenze retributive maturate. Il soccombente ricorre in Cassazione deducendo l’erronea affermazione circa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e la violazione delle regole in tema di onere della prova, violazione che avrebbe portato la Corte territoriale ad escludere l’ipotesi di una impresa familiare. Prova della subordinazione. Il Collegio dichiara infondato il ricorso e condivide le argomentazioni con cui il giudice di merito ha espresso il convincimento circa la natura subordinata del rapporto di lavoro, dedotta da plurime risultanze probatorie tra cui l’osservanza di un orario di lavoro – coincidente con quello di apertura del negozio al pubblico -, la presenza costante, la corresponsione di un compenso a cadenze fisse – qualificabili dunque come retribuzioni -. Si tratta di indici sintomatici che la costante giurisprudenza riconduce alla sussistenza di un rapporto di tipo subordinato e che non possono essere qualificati, come invocato dal ricorrente, quali mera partecipazione all’attività del familiare in virtù dei motivi di assistenza personale legati ad un’ipotetica impresa familiare. In conclusione la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 25 ottobre 2017 – 27 febbraio 2018, n. 4535 Presidente Bronzini – Relatore De Marinis Rilevato - che con sentenza del 17 luglio 2012, la Corte d’Appello di Torino, confermava la decisione resa dal Tribunale di Torino e accoglieva la domanda proposta da B.R.E. nei confronti di B.C. , fratello della prima e titolare della ditta individuale esercente il commercio di fiori e piante, avente ad oggetto, previo riconoscimento della natura subordinata del rapporto intercorso con quest’ultimo, la condanna del medesimo al pagamento delle differenze retributive maturate in relazione al predetto rapporto - che, la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto inammissibile in quanto nuova l’argomentazione intesa a sostenere la costituzione tra le parti di un’impresa familiare o la sussistenza di accordi societari tali da giustificare la collaborazione resa dalla B. e, viceversa, comprovata la subordinazione per l’inserzione costante e regolare nell’organizzazione aziendale della stessa con la prestazione di attività lavorativa giornaliera ad orario pieno a fronte della quale veniva corrisposto con regolarità un corrispettivo mensile - che per la cassazione di tale decisione ricorre il B. , affidando l’impugnazione ad un unico motivo, cui resite, con controricorso, l’intimata che ha poi presentato memoria Considerato - che, con l’unico motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in una con il vizio di motivazione, imputa alla Corte territoriale il malgoverno delle regole sulla distribuzione dell’onere della prova, per desumersi dalla motivazione dell’impugnata sentenza l’accollo di questo a carico del ricorrente, presunto datore di lavoro e, comunque, l’incongruità logica della valutazione circa la sussistenza della subordinazione non basata sui criteri elaborati da questa Corte - che il motivo, deve ritenersi infondato, atteso che il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza della subordinazione non discende dal non aver il ricorrente fornito a riguardo la prova contraria, bensì dall’emersione all’esito dell’espletamento dei mezzi istruttori offerti dall’odierna intimata di circostanze di fatto, quali la presenza costante, l’osservanza di un orario coincidente con l’apertura al pubblico dell’attività commerciale - entrambe modalità tali da prefigurare, piuttosto che una partecipazione all’attività dettata da motivi di assistenza familiare legati alla condizione personale della B. , il programmatico valersi da parte del titolare, ai fini dell’organizzazione dell’attività stessa, al medesimo facente capo, dell’apporto della prestazione dalla stessa resa - nonché la corresponsione di un compenso a cadenze fisse, anch’essa maggiormente compatibile con la logica del corrispettivo della prestazione, piuttosto che con la destinazione alla copertura di contingenti e dunque variabili esigenze di vita, riconducibili alla nozione elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte di elemento sintomatico della subordinazione e come tali idonee ad offrire fondamento probatorio alla domanda dell’attore - che il ricorso va dunque rigettato - che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.