L’inosservanza del termine dilatorio a comparire in giudizio non determina l’improcedibilità dell’appello

Nel rito del lavoro, l’inosservanza, in sede di notifica del ricorso in appello, del termine previsto dall’art. 435, comma 3, c.p.c., non determina l’improcedibilità del gravame, ma configura una nullità della notificazione sanabile con la costituzione in giudizio dell’appellato.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 4562/18, depositata il 27 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello di Catanzaro dichiarava improcedibile l’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Crotone con cui veniva riconosciuto il diritto di un lavoratore all’assegno d’invalidità. La Corte distrettuale rilevava infatti che il ricorso in appello era stato notificato alla controparte in violazione del termine ex art. 435, comma 2, c.p.c Avverso la pronuncia della Corte d’Appello l’Ente ricorre per cassazione denunciando, tra i vari motivi di ricorso, che l’appellato avrebbe comunque sanato l’eventuale vizio di notifica con la propria costituzione in giudizio. La notifica e la costituzione in giudizio. Il Supremo Collegio evidenzia, in via preliminare, che nel rito del lavoro il termine di 10 giorni, ex art. 435, comma 2, c.p.c., entro cui l’appellante deve notificare all’appellato il ricorso non ha carattere perentorio , dovendosi rispettare, in ogni caso, il termine di cui ai successivi commi intercorrente tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione. Ebbene, nonostante la Suprema Corte rilevi, nel caso di specie, il mancato rispetto del termine di cui all’art. 435, comma 3, c.p.c., la stessa ritiene di dare continuità ai recenti orientamenti, in base ai quali si è stabilito che, nel rito del lavoro, l’inosservanza, in sede di notifica del ricorso in appello, del termine dilatorio a comparire previsto dal terzo comma dell’art. 435 c.p.c., non determina l’improcedibilità del gravame, ma dà luogo ad un’ipotesi di nullità della notificazione, sanabile ex tunc ” per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c. . Pertanto, la declaratoria di improcedibilità dell’appello adottata dal giudice territoriale non risulta dunque conforme a diritto . La Corte dunque accoglie il motivo di ricorso in commento e cassa l’impugnata sentenza con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 19 dicembre 2017 – 27 febbraio 2018, n. 4562 Presidente Doronzo – Relatore Ghinoy Fatto e diritto rilevato che 1. la Corte d’ appello di Catanzaro ha dichiarato improcedibile l’appello proposto dall’Inps avverso la sentenza del Tribunale di Crotone che aveva dichiarato il diritto di G.R. all’assegno ordinario d’invalidità ex art. 1 della legge n. 222 del 1984 e condannato l’istituto all’erogazione dei relativi ratei, con decorrenza dal 1.2.2007 2. la Corte territoriale, accogliendo l’eccezione formulata all’udienza di discussione dal convenuto costituito, ha rilevato che il ricorso in appello, pur tempestivamente depositato, era stato notificato alla controparte senza rispettare il termine di dieci giorni prescritto dall’art. 435 comma 2 c.p.c., con ciò non risultando rispettato neppure il termine a difesa di 25 gg. previsto dal terzo comma della norma. Escludeva che potesse essere concesso un nuovo termine, previa fissazione di successiva udienza, a ciò ostandovi il principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. 3. per la cassazione della sentenza ricorre l’Inps, che come primo motivo denuncia violazione dell’art. 435 terzo comma c.p.c., dell’art. 149 c.p.c., dell’art. 4, comma terzo, della legge n. 890 del 20 novembre 1982, per avere il Collegio catanzarese omesso di rilevare che - a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 26 novembre 2002, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’articolo 149 c.p.c. e dell’art. 4 comma terzo della legge n. 890 del 20 novembre 1982- il termine di 25 giorni prima dell’udienza del 1 ottobre 2013 non era stato affatto violato, in quanto l’atto di appello era stato consegnato agli ufficiali giudiziari per la notifica il 28 agosto 2013, pur essendo stato il ricorso notificato in data 11 settembre 2013 3.1. come secondo motivo, deduce la violazione degli articoli 156 e 164 c.p.c., in quanto - con la propria costituzione in giudizio - l’appellato aveva sanato l’eventuale vizio della notifica, avendo l’atto raggiunto il proprio scopo 4. G.R. è rimasto intimato 5. il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata. Considerato che 1. il primo motivo di ricorso non è fondato, in quanto l’arresto della Corte Costituzionale ivi richiamato ha riguardo al perfezionamento della notifica per il notificante, mentre il termine di 25 giorni è fissato dall’art. 435 comma 3 c.p.c. nell’interesse del destinatario, costituisce termine libero e, quindi, va computato escludendo sia il dies a quo , ossia quello della notificazione, che quello ad quem , della comparizione, al fine di assicurare al convenuto un congruo spatium deliberandi per l’apprestamento delle sue difese Cass. 03-08-2016, n. 16110, Cass. n. 12944 del 1995, n. 5864 del 1982 2. il secondo motivo è invece fondato. È in primo luogo da premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nel rito del lavoro il termine di dieci giorni entro il quale l’appellante, ai sensi dell’art. 435 c.p.c., comma 2, deve notificare all’appellato il ricorso tempestivamente depositato in cancelleria nel termine previsto per l’impugnazione e il decreto di fissazione dell’udienza di discussione, non ha carattere perentorio la sua inosservanza non produce quindi alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perché non incide su alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse dell’appellato, sempre che sia rispettato il termine che ai sensi del medesimo art. 435 c.p.c. commi 3 e 4 deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione ex aliis, v. Cass. n. 3959 del 29/02/2016, n. 23426 del 16/10/2013, n. 26489 del 30/12/2010 3. nel caso di specie, il termine di cui all’art. 435 comma 3 cod. proc. civ. non risulta rispettato, essendo pacifico che la notificazione del ricorso in appello è avvenuta solo in data 11.9.2013, a fronte di un’udienza fissata in data 1.10.2013 4. il mancato rispetto di tale termine a difesa anche se conseguente, come nel caso, a mancato rispetto del termine di cui all’art. 435 comma 2 c.p.c. , non dà luogo, tuttavia, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di appello, ad improcedibilità del gravame. La questione in rassegna è già stata scrutinata da questa Corte in numerosi recenti arresti, tra i quali Cass. 08/03/2017 n. 5880, Cass. 29/12/2016 n. 27395, Cass. 10/10/2016 n. 20335, Cass. 28/08/2013 n. 19818, cui occorre dare continuità, che hanno affermato che nel rito del lavoro l’inosservanza, in sede di notifica del ricorso in appello, del termine dilatorio a comparire previsto dal terzo comma dell’art. 435 c.p.c., non determina l’improcedibilità del gravame, ma dà luogo ad un’ipotesi di nullità della notificazione, sanabile ex tunc per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c., costituendo questa norma espressione del principio generale dell’ordinamento, riferibile ad ogni atto che introduce il rapporto processuale e lo ricostituisce in una nuova fase giudiziale, per cui sono in tali modi sanabili con effetto retroattivo non solo le nullità contemplate dall’art. 160 c.p.c., ma tutte le nullità in genere della notificazione, senza che rilevi se esse trovino la loro origine in una causa imputabile all’ufficiale giudiziario o alla parte istante 5. non inducono a contrario avviso gli arresti richiamati nella sentenza gravata Cass. 17076 del 2013, n. 14874 del 2011, n. 26389 del 2010, n. 21358 del 2010 che, così come le altre già sopra richiamate, hanno ribadito il principio secondo il quale il termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione art. 435 c.p.c., comma 2 non è perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, sempre che resti garantito all’appellato lo spatium deliberandi non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza di discussione della causa art. 435 c.p.c., comma 3 , senza tuttavia confrontarsi con le conseguenze del mancato rispetto di tale termine a difesa, ipotesi che nei casi esaminati non si era verificata 6. una diversa soluzione non risulta del resto imposta dall’applicazione del principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 della Costituzione, non potendosi in via interpretativa introdurre una così grave sanzione processuale e fronte di un vizio per altro verso ritenuto sanabile il caso in esame infatti è diverso da quello esaminato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 30/07/2008 n. 20604, che ha escluso, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 della Costituzione, che nel rito del lavoro e nel procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro il giudice possa concedere un nuovo termine per la notifica del ricorso in appello pur tempestivamente depositato, ma in relazione all’evenienza in cui la notifica non sia avvenuta o sia inesistente e non solamente nulla 7. parimenti, non induce a contrario avviso l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 253 del 10.10.2012 - che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 435, secondo comma, del codice di procedura civile, osservando che essa era stata sollevata dalla Corte d’appello di Roma, in riferimento all’articolo 111, secondo comma, della Costituzione, sull’errata premessa del carattere perentorio del termine ivi previsto per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, nel caso in cui resti comunque garantito un termine a comparire del convenuto sufficiente ad apprestare le proprie difese - in quanto tale arresto non ha imposto come lettura costituzionalmente obbligata quella secondo la quale il mancato rispetto di tale termine determini comunque l’improcedibilità dell’atto 8. la declaratoria d’ improcedibilità dell’appello adottata dal giudice territoriale non risulta quindi conforme a diritto, essendo al più tenuta la Corte territoriale a differire l’udienza, a fronte del rilievo della lesione del diritto di difesa del convenuto costituito determinato dal mancato rispetto del termine così, in relazione al rispetto del termine di cui all’art. 1, comma 60, della l. n. 92 del 2012, Cass. n. 22780 del 09/11/2016 9. il ricorso deve quindi essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria, che dovrà procedere a nuovo esame, attenendosi ai principi sopra individuati 10. al giudice designato competerà anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolamentazione della spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Reggio Calabria.