Cassa Forense: giusto che provveda alla rivalutazione delle pensioni

Gli importi delle pensioni erogate dalla Cassa Forense sono aumentati annualmente, per la prima volta e a far tempo dal secondo anno successivo a quello di decorrenza, con delibera del Consiglio di Amministrazione, in proporzione alla variazione dell’indice annuo dei prezzi al consumo delle famiglie di impiegati e operai, intervenuta nell’anno di decorrenza della pensione e rilevata dall’Istituto Nazionale di Statistica.

A sostenerlo è la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 3461/18, depositata il 13 febbraio. La fattispecie. La Corte d’Appello di Trieste accoglieva l’appello proposto nei confronti di un avvocato dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, la quale – a parere dei giudici di secondo grado, giustamente – aveva individuato, ai fini della rivalutazione della pensione di vecchiaia, il tasso medio annuo di variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati da utilizzare ai fini della rivalutazione delle pensioni nell’indice medio annuo del 2006, contenente i dati di svalutazione del 2005. L’avvocato propone ricorso in Cassazione. La Cassa Forense ha autonomia regolamentare. Ciò che il professionista mette in discussione è la legittima utilizzazione dei poteri regolamentari da parte della Cassa Forense. Gli Ermellini, confermando il loro precedente orientamento e respingendo le doglianze dell’avvocato, ritengono che alla Cassa sia stata riconosciuta autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile. Proprio questo ha realizzato una sostanziale delegificazione tramite la quale essa può regolamentare le prestazioni a proprio carico anche derogando a disposizioni di legge precedenti, secondo paradigmi sperimentati, ad esempio, nei casi in cui la delegificazione è stata usata in favore della contrattazione collettiva. Tra i compiti della Cassa anche la rivalutazione delle pensioni. Il ricorrente non sembra condividere tali assunti e, anzi, sostiene che l’ambito della materia oggetto di delegificazione non comprende la regolamentazione della rivalutazione delle pensioni. Ancora una volta, tuttavia, la Cassazione rigetta il motivo di ricorso la rivalutazione della prestazione pensionistica è componente della determinazione dell’importo dovuto e non si può negare che la regolamentazione dei criteri di rivalutazione non incidono sulla concreta determinazione dell’importo non solo della singola pensione ma anche dell’intera spesa pensionistica gravante sulla Cassa. Corretta, dunque, è la norma secondo cui gli importi delle pensioni erogate dalla Cassa sono aumentati annualmente, per la prima volta e a far tempo dal secondo anno successivo a quello di decorrenza, con delibera del Consiglio di Amministrazione, in proporzione alla variazione dell’indice annuo dei prezzi al consumo delle famiglie di impiegati e operai, intervenuta nell’anno di decorrenza della pensione e rilevata dall’Istituto Nazionale di Statistica. Per quanto finora detto, la Corte di Cassazione respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 novembre 2017 – 13 febbraio 2018, numero 3461 Presidente D’Antonio – Relatore Calafiore Fatti di causa La Corte d’appello di Trieste, con sentenza numero 241/2012, ha accolto l’appello proposto dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense nei confronti dell’avv.to M.L. avverso la sentenza, emessa dal Tribunale in funzione di Giudice del lavoro di Pordenone, di accoglimento della domanda proposta dallo stesso avvocato tesa all’ accertamento del diritto alla rivalutazione della pensione di vecchiaia, di cui fruiva dal primo febbraio 2006, sin dal primo gennaio 2007 utilizzando l’indice medio annuo relativo all’anno 2005 contenente i dati di svalutazione del 2004 la Corte d’appello ha ritenuto legittima la condotta osservata dalla Cassa che, in applicazione dell’art. 49 del Regolamento generale nella versione adottata con delibera numero 133 del 2003, aveva individuato il tasso medio annuo di variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati da utilizzare ai fini della rivalutazione delle pensioni ai sensi dell’art. 16 della legge numero 576/1980 , nell’indice medio annuo del 2006, contenente i dati di svalutazione del 2005. La Corte territoriale ha ritenuto che l’art. 49 del Regolamento generale è conforme alle misure che le Casse previdenziali privatizzate possono adottare ai sensi dell’art. 3 comma 12 della legge numero 335/1995 e la condotta impugnata è conforme anche al principio del pro rata perché la pensione oggetto di causa è maturata successivamente all’entrata in vigore della disposizione. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’avvocato M.L. affidandosi a due motivi e chiedendo, in subordine, che sia sollevata questione di costituzionalità in ordine al contrasto tra l’art. 49 del Regolamento e l’art. 38 secondo comma e 36 della Cost. Resiste la Cassa con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 12 della legge numero 335/1995 ed al contempo l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti in relazione alla interpretazione del disposto dell’art. 3, comma 12, della legge numero 335 del 1995 in ordine alla previsione concernente il potere della Cassa di intervenire, con propri regolamenti, per determinare gli importi dei trattamenti pensionistici erogati e la finalità della disposizione dell’art. 16 della legge numero 586/1980, avente la diversa funzione di garantire il potere d’acquisto del trattamento pensionistico, con ciò attuandosi il disposto degli artt. 36 e 38 Cost. Tale diversità di funzione delle due fattispecie non era stata colta dalla Corte d’appello di Trieste e l’erronea interpretazione aveva comportato la violazione dell’art. 3 comma 12 della l. numero 335/1995. 2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 763, della legge numero 296 del 2006 e l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti in relazione alla parte della motivazione della sentenza impugnata che, facendo riferimento all’ampliamento dei poteri regolamentari introdotto dall’art. 1, comma 763, della legge numero 296 del 2006, ha confermato l’interpretazione della Cassa secondo cui la legittimità dell’art. 49 del Regolamento generale deriverebbe anche da tale sanatoria. In realtà, ad avviso del ricorrente, la disposizione citata non può essere interpretata quale sanatoria dei vizi di tutti gli atti e delle deliberazioni adottate dalla privatizzazione in poi, non avendo natura retroattiva ed avendo lo scopo di mantenere l’efficacia degli atti predetti anche al sopraggiungere delle nuove norme. 3. Il ricorrente, infine, propone eccezione di costituzionalità dell’art. 49 del Regolamento generale della Cassa forense, approvato con decreto interministeriale del 28 settembre 1995 e successive modifiche, nella parte in cui dispone che la rivalutazione decorre dal secondo anno successivo al pensionamento per violazione dell’art. 38, comma secondo, della Costituzione. 4. I due motivi di ricorso sono legati dalla centralità del tema relativo alla legittima utilizzazione dei poteri regolamentari da parte della Cassa forense, dunque vanno trattati congiuntamente e sono infondati. 5. L’ efficacia dell’attività regolamentare della Cassa Forense all’interno del sistema delle fonti, a seguito dell’entrata in vigore degli artt. 2, comma 1 del d.lgs. 509/1994 e dell’art. 3 comma 12 della legge numero 335/1995, è stata già esaminata, come è noto, da Corte di cassazione numero 24202 del 16 novembre 2009,oltre che da Cass. 12209/2011 e Cass. 19981/2017, per cui si è affermato un orientamento, cui si intende dare continuità, che previa ricognizione del quadro normativo, come interpretato dalla precedente giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ritiene che a il nuovo ente, sorto per effetto del D.Lgs. 30 giugno 1994, numero 509 in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, numero 537, art. 1, comma 32, non fruisce di finanziamenti o di altri ausili pubblici di carattere finanziario e mantiene la funzione di ente senza scopo di lucro cui continuano a fare capo i rapporti attivi e passivi ed il patrimonio del precedente ente previdenziale b tale ente ha assunto la personalità giuridica di diritto privato con il mantenimento dei poteri di controllo ministeriale sui bilanci e di intervento sugli organi di amministrazione oggi più penetranti per effetto dell’art. 14 l. numero 111/2011 in aggiunta alla generale soggezione al controllo della Corte dei conti ed a quello politico da parte della Commissione parlamentare di cui all’art. 56 della legge numero 88/1989 dunque è rimasto immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dall’ente originario, non incidendo su di esso la modifica degli strumenti di gestione legati alla differente qualificazione giuridica e permanendo l’obbligatorietà della contribuzione a conferma della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale, come affermato da Corte costituzionale numero 248 del 18 luglio 1997, oltre che del principio di autofinanziamento vedi Corte cost. numero 340 del 24 luglio 2000 c il riconoscimento, operato dalla legge in favore del nuovo soggetto, dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile che, comunque, non esclude l’eventuale imposizione di limiti al suo esercizio vd. Corte cost. numero 15/1999 , ha realizzato una sostanziale delegificazione attraverso la quale, nel rispetto dei limiti imposti dalla stessa legge, è concesso alla Cassa di regolamentare le prestazioni a proprio carico anche derogando a disposizioni di leggi precedenti, secondo paradigmi sperimentati ad esempio laddove la delegificazione è stata utilizzata in favore della contrattazione collettiva vd. Cass. numero 29829 del 19 dicembre 2008 15135/2014 . 6. L’operatività di tale delegificazione all’interno del sistema delle fonti, deve aggiungersi, è stata confermata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza numero 254/2016 in relazione alla questione di legittimità costituzionale sollevata riguardo all’art. 3 della Cost., tra l’altro, degli artt. 1, comma 4, 2, comma 2, e 3, comma 2 del d.lgs. 30 giugno 1994, numero 509 in attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, numero 537 e dell’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, numero 335, in combinato disposto con l’art. 1 del Regolamento della Cassa forense 17 marzo 2006 e con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 19 settembre 2008. La citata ordinanza, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte di cassazione relativa alla sostanziale delegificazione della materia, ha ribadito che la giurisdizione del giudice costituzionale, ai sensi dell’art. 134 Cost., non si estende a norme di natura regolamentare, come i regolamenti di delegificazione Corte cost. numero 427 del 2000 e, proprio con riferimento alle fonti di valore regolamentare, adottate in sede di delegificazione , la garanzia costituzionale va ricercata, a seconda dei casi, o nella questione di legittimità costituzionale sulla legge abilitante il Governo all’adozione del regolamento, ove il vizio sia ad essa riconducibile, per avere, in ipotesi, posto principi incostituzionali o per aver omesso di porre principi in materie che costituzionalmente li richiedono o nel controllo di legittimità sul regolamento, nell’ambito dei poteri spettanti ai giudici ordinari o amministrativi, ove il vizio sia proprio ed esclusivo del regolamento stesso Corte cost. numero 427 del 2000 . 7. La delegificazione, dunque, realizza la scelta legislativa di riconoscere l’autonomia regolamentare della Cassa nella materia indicata nel comma 12 dell’art. 3 della legge numero 335/1995 che, nel testo vigente al momento in cui fu modificato l’art. 49 del Regolamento generale Delib. c.d.a. della Cassa numero 133/2003, approvata dai Ministeri vigilanti con comunicato pubblicato su G.U. numero 244 del 16 ottobre 2004 prevedeva che gli enti privatizzati adottassero provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”. 8. Sostiene il ricorrente, in sostanza, che l’ambito della materia oggetto di delegificazione non comprenderebbe la regolamentazione della rivalutazione delle pensioni di cui all’art. 16 della legge numero 576/1980 la tesi, giustificata da sfuggenti richiami all’utilizzo dei termini determinazione” o calcolo” che sarebbero estranei alle regole sulla rivalutazione monetaria, oltre che priva di idoneo aggancio testuale, e infondata in ragione del fatto che la rivalutazione della prestazione pensionistica è componente della determinazione dell’importo dovuto, né sussistono ragioni logiche o giuridiche che inducano a negare che la regolamentazione dei criteri di rivalutazione non incidano sulla concreta determinazione dell’importo non solo della singola pensione, ma anche dell’intera spesa pensionistica gravante sulla Cassa. Anzi tale considerazione è di estrema rilevanza avendo riguardo alla finalità della garanzia dell’equilibrio di bilancio che è il principale limite funzionale all’esercizio dei poteri regolamentari della Cassa. 9. L’effettivo esercizio di tale potere, attraverso l’adozione dell’art. 49 del Regolamento generale i che ha modificato la previsione dell’art. 16 della legge numero 576/19801 ha necessariamente prodotto l’effetto abrogativo delle precedenti disposizioni. Ciò a prescindere dalla esistenza di una esplicita indicazione da parte della legge di delegificazione, posto che l’effetto abrogativo deriva comunque dalla forza normativa della legge che dispone la delegificazione e la determinazione del testo abrogato va fatta sulla base dell’interpretazione delle disposizioni in essa contenute. 10. È questa la base giuridica ed il parametro di legittimità dell’art. 49 del Regolamento generale della Cassa nel testo risultante dalla delibera sopra citata, secondo il quale al primo comma Gli importi delle pensioni erogate dalla Cassa sono aumentati annualmente, per la prima volta a far tempo dal secondo anno successivo a quello di decorrenza, con delibera del Consiglio di Amministrazione, in proporzione alla variazione dell’indice annuo dei prezzi al consumo delle famiglie di operai ed impiegati, intervenuta nell’anno di decorrenza della pensione e rilevata dall’Istituto Nazionale di Statistica”. 11. È, altresì, evidente che alla luce del nuovo contesto normativo non assuma alcun rilievo l’orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione alla previgente disciplina che prevedeva che gli aumenti annuali delle pensioni a carico della cassa forense, correlati alla variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai ed impiegati, dovessero essere applicati anche a favore dei soggetti che avessero conseguito il diritto a pensione nell’anno di emissione della relativa delibera del Consiglio di amministrazione della cassa forense, a norma dell’art. 16 l. numero 576/1980, modificato dall’art. 8 l. numero 141/1992, che prevede la decorrenza dell’aumento da 1 gennaio dell’anno successivo alla data della delibera Cass., sez. unumero 4 ottobre 1996, numero 8684, 16 aprile 2004, numero 7281 3397/2002 5018/2002 . 12. Allo stesso modo, dato il legittimo operare della disposizione contenuta nell’art. 49 del Regolamento generale della Cassa, non viene in rilievo neanche la questione dei limiti dell’efficacia sanante dell’art. 1 comma 763 della legge numero 296/2006 che la sentenza impugnata ha richiamato solo laddove ha riferito i contenuti dei motivi d’appello, senza cogliervi ragioni di adesione. 13. Da ultimo, in ordine al dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 49 del Regolamento generale della Cassa riferito agli artt. 38 comma secondo e 36 Cost., sollevato in subordine dal ricorrente, basterà richiamare i contenuti dell’ordinanza della Corte costituzionale numero 254/2016 sopra ricordata che ha ribadito che la giurisdizione del giudice costituzionale, ai sensi dell’art. 134 Cost., non si estende a norme di natura regolamentare, come i regolamenti di delegificazione vd. anche Corte cost. numero 427 del 2000 . 14. Peraltro, trattandosi di fonti di valore regolamentare, adottate in sede di delegificazione , sarebbe stato necessario profilare nel rivendicare la garanzia costituzionale questione di legittimità costituzionale sulle leggi che hanno abilitato la Cassa all’adozione del regolamento. Tuttavia, non si evince dalle conclusioni del ricorrente alcuna indicazione in tal senso né, come dimostra la giurisprudenza costituzionale formatasi in ordine all’attribuzione ed ai contenuti dei poteri regolamentari affidati agli enti previdenziali privatizzati con effetto delegificante di cui si è sopra detto, emergono criticità di tale natura. 15. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida, in favore della contro ricorrente, in Euro 2500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.