L’avvocato depresso e la rinuncia alla domanda di riscatto degli anni di laurea

Affinché la rinuncia alla domanda di riscatto degli anni di laurea possa essere annullata per incapacità d’intendere e di volere, non è sufficiente dare prova di tale stato attraverso la mera dichiarazione, da parte del legale, di aver compiuto l’atto mentre era in uno stato depressivo melanconico, poiché tale condizione deve essere accertata e deve altresì influire oggettivamente sulla capacità individuale.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 3323/18, depositata il 12 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello di Salerno respingeva il gravame proposto da un legale avverso la sentenza del Tribunale della medesima città con la quale veniva rigettata la domanda di annullamento, per incapacità naturale, dell’atto con cui il medesimo legale aveva rinunciato alla domanda di riscatto degli anni di laurea. La Corte distrettuale negava, sulla base di alcune perizie, la sussistenza di tale stato di incapacità derivante, secondo quanto riportato dal legale, da uno stato depressivo melanconico. Avverso la sentenza del Giudice dell’Appello il legale propone ricorso per cassazione denunciando l’errata valutazione dello stato di salute del ricorrente, così come risultante dalle perizie svolte, e la conseguente carenza motivazionale relativa allo stato psico-fisico del medesimo. L’incapacità di intendere e di volere. Il Supremo Collegio evidenzia che ai fini della sussistenza dell’incapacità d’intendere e di volere non è necessaria una totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che esse siano menomate e non è nemmeno richiesto che il soggetto, al momento di compiere l’atto, versi in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale ed assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che queste erano perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio . Nel caso di specie, la Suprema Corte conferma la corretta valutazione dell’impianto probatorio compiuta dal Giudice dell’Appello, il quale ha ritenuto che le istanze istruttorie non erano idonee a provare il denunciato stato confusionale acuto anche in considerazione della mancanza di ricoveri ospedalieri o ambulatoriali che avrebbero dovuto accompagnarsi a tale malattia . Pertanto la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 novembre 2017 – 12 febbraio 2018, n. 3323 Presidente D’Antonio – Relatore Calafiore Fatti di causa La Corte d’appello di Salerno, con sentenza n. 373/2011, ha respinto l’appello proposto dall’avvocato T.G. nei confronti dell’Inps avverso la sentenza emessa dal Tribunale in funzione di Giudice del lavoro della stessa città avente ad oggetto la domanda di annullamento per incapacità naturale art. 428 cod.civ. dell’atto di rinunzia alla domanda di riscatto degli anni di laurea proposta dallo stesso avvocato, motivata dalla sussistenza di un grave stato depressivo di tipo melanconico che lo aveva reso incapace di intendere le conseguenze della rinunzia. La Corte territoriale, sulla base delle risultanze della c.t.u. espletata in primo grado da uno psichiatra di provata esperienza e della documentazione offerta dalle parti, ha ritenuto non convincenti le osservazioni critiche di parte ed ha confermato il giudizio del primo giudice circa l’insussistenza dello stato di incapacità denunciato. Avverso tale sentenza l’avvocato T.G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi cui resiste l’INPS con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione dell’art. 115 cod.proc.civ., violazione del diritto di difesa in relazione al principio dispositivo delle prove, violazione dell’art. 2697 cod. civ. oltre che dell’art. 132 cod. proc. civ. e vizio di motivazione, adducendo che la sentenza impugnata, pur essendo stata rigettata la richiesta di prova testimoniale, aveva ritenuto infondata la domanda per difetto di prova. 2. Il secondo motivo riguarda, oltre che la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., la violazione del principio dispositivo e di valutazione delle prove in ragione dell’utilizzazione di c.t.u. affetta da nullità come elemento di prova, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost. e 112 cod. proc. civ. e vizio di motivazione, posto che la stessa lettura della relazione di consulenza tecnica espletata in giudizio rendeva manifesta la contraddittorietà ed insufficienza delle conclusioni ivi formulate. 3. Il terzo motivo lamenta, ancora, la violazione dell’art. 115 cod.proc.civ., del principio dispositivo delle prove e la nullità della sentenza in ragione dell’apparenza della motivazione, in quanto la Corte di merito non aveva utilizzato neanche la documentazione clinica offerta. 4. Il quarto motivo, richiamando la violazione degli artt. 115 cod.proc.civ., dell’art. 2697 cod.civ., del principio dispositivo per la mancata considerazione del test di Rorsachach, denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente, laddove la sentenza impugnata non aveva adeguatamente esaminato le controdeduzioni alla c.t.u. mosse dalla consulente di parte dottoressa R. ed aveva omesso di attribuire valore fondamentale al test di Rosarchach che costituirebbe prova processuale inconfutabile. 5. Il quinto motivo, infine, denuncia, oltre alla violazione degli artt. 115 cod. proc. civ., del principio dispositivo delle prove, dell’art. 101 cod. proc. civ., per aver dato ingresso in giudizio a fatti nuovi, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 33 e 34 della legge n. 833/1978 per l’inesistenza degli estremi per l’applicazione del trattamento sanitario obbligatorio, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost. e 132 cod. proc. civ. e vizio motivazionale, in ragione del fatto che la sentenza impugnata aveva tratto considerazioni non supportate da prova circa la circostanza che il prof. Simeone non avesse visitato di persona il medesimo ricorrente, contraddette dall’affermazione del sanitario di aver avuto in cura l’avvocato T. dall’aprile 2002 al marzo 2003/malgrado risiedesse in Svizzera. Peraltro le risultanze della c.t.u. erano state contestate nell’atto d’appello e nelle note autorizzate ed era errata la considerazione della Corte d’appello che ad una malattia effettivamente grave avrebbe dovuto accompagnarsi anche un ricovero mai avvenuto in realtà e che la redazione corretta dell’atto di rinuncia dimostrava la lucidità del dichiarante. 6. I motivi di ricorso, sebbene formulati in modo composito e richiamando ciascuno indistintamente sia violazioni di legge che vizi di motivazione, sono tutti connessi dalla critica alla gestione delle regole sulle acquisizioni probatorie da parte della Corte d’appello ed alla valutazione dalla stessa compiuta in ordine alla effettiva sussistenza dell’incapacità naturale richiesta dall’art. 428 cod. civ. al fine di inficiare la volontà negoziale ed ottenere l’annullamento dell’atto di rinuncia posto in essere dalla parte. Per questo tutti i motivi vanno trattati congiuntamente. Inoltre, sono tutti privi di fondamento. 7. In particolare, quanto alle plurime affermate violazioni dell’art. 115 cod. proc. civ., va ricordato che una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione vd. da ultimo Cass. 27000/2016 . 8. Nell’illustrare ciascuno dei cinque motivi, tuttavia, pur richiamandosi l’art. 115 cod. proc. civ., non si prospetta alcuna delle ipotesi sopra citate, per cui tali profili sono mal formulati e vanno respinti non essendo denunciata alcuna delle concrete possibili violazioni dell’art. 115 cod. proc. civ 9. Quanto poi agli ulteriori aspetti contenuti nei motivi di ricorso che, pur alludendo alla violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., contengono censure riferite al tema della valutazione delle risultanze probatorie, va osservato che in base al principio del libero convincimento del giudice, essi vanno valutati nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, numero 5 , cod. proc. civ., ed il malgoverno dei poteri istruttori deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità Cass. 20.6.2006 n. 14267 24434/2016 . 10. Dalla lettura della sentenza impugnata non si evince che la parte abbia chiesto di provare per testi circostanze idonee a dimostrare la sussistenza di una malattia di gravità tale da compromettere seriamente la capacità di giudizio del ricorrente, peraltro, va dato atto che nell’illustrazione del motivo il ricorrente si è preoccupato di riportare i brani del ricorso di primo grado che contengono gli articolati di prova ritenuti rilevanti le circostanze, tuttavia, attengono genericamente allo stato di disagio psicologico sofferto dall’avvocato T. nel periodo di rilievo ed al timore per la tenuta delle proprie risorse finanziarie e di per sé non possono ritenersi decisive al fine di determinare un diverso esito del processo. Va, infatti, osservato che qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente non solo ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, ma anche di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia,senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove Cass. n. 4187/2007 23194/2017 . 11. In ordine, poi, agli ulteriori profili dei vizi di motivazione oggetto di ricorso, va ricordato che in materia di prova dell’incapacità naturale ai fini della sussistenza dell’incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio ex art. 428 c.c., non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che esse siano menomate, sì da impedire comunque la formazione di una volontà cosciente la prova di tale condizione non richiede la dimostrazione che il soggetto, al momento di compiere l’atto, versava in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che queste erano perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio e, quindi, il formarsi di una volontà cosciente, e può essere data con ogni mezzo o in base ad indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilità, essendo il giudice di merito libero di utilizzare, ai fini del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre, secondo una valutazione incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da congrue argomentazioni, scevre da vizi logici ed errori di diritto Cass. 13659/2017 12532/2011 . 12. Nel caso di specie la Corte d’appello ha giustificato le proprie conclusioni in maniera adeguata operando una ricognizione del quadro probatorio emerso a seguito della disamina della documentazione sanitaria offerta e dell’espletamento della consulenza tecnica da parte dello specialista psichiatra dottor L.M. , dando atto del rilievo attribuito alle note critiche a firma della dottoressa R. depositate per conto dell’avvocato T. . La Corte ha, quindi, ritenuto che le risultanze istruttorie non erano idonee a provare il denunciato stato confusionale acuto anche in considerazione della mancanza di ricoveri ospedalieri o ambulatoriali che avrebbero dovuto accompagnarsi a tale malattia. In sede di supplemento alla relazione tecnica, inoltre, viene dato atto che il c.t.u. reitera il proprio convincimento nella perdurante mancanza di referti derivanti da interventi pubblici presso strutture sanitarie specializzate nella cura di malattie psichiatriche e, dunque, il dibattito tra i consulenti resta confinato a valutazioni non sufficientemente caratterizzate dallo scontro su dati contestuali e concreti, ma solo sul piano astratto. 13. A fronte di ciò, il ricorrente deduce di aver depositato il test di Roserchach che assumerebbe carattere di prova scientifica indiscutibile, che le illazioni sulla presunta parentela con il dottor T.N. erano mere congetture malevole e che i risultati della c.t.u. erano stati sempre contestati. 14. Tutte queste censure, con le quali viene disatteso il giudizio espresso dalla Corte con riguardo all’esistenza di una effettiva incapacità naturale dell’avvocato T. , sulla scorta di valutazioni meramente contrappositive rispetto a quelle fondate su argomentazioni tecnico scientifiche contenute nella ctu medico legale espletata, risultano prospettate in difformità a quanto previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che prevede l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione , come riferita ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico - naturalistico, non assimilabile in alcun modo a questioni o argomentazioni che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate cfr. Cass. S U 8053/2014 . 15. Da quanto sin qui detto, infine, risulta chiara l’infondatezza delle restanti censure riferite ad asserite ipotesi di nullità della sentenza per motivazione apparente o per la acquisizione di prove estranee al giudizio. 16. Il ricorso è quindi infondato e va respinto. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore del contro ricorrente, che liquida in Euro 3500,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 % e spese accessorie di legge.