Anche la moglie separata con addebito ha diritto alla pensione di reversibilità del defunto marito

Il diritto alla pensione di reversibilità spetta al coniuge senza alcune distinzione tra separato o non separato con o senza addebito . Ciò in quanto la ratio della tutela previdenziale è rappresentata dall’intento di porre il coniuge superstite al riparo dall’eventualità dello stato di bisogno, senza che tale stato di bisogno divenga concreto presupposto e condizione della tutela medesima .

Così la Sezione Lavoro della Cassazione con ordinanza n. 2606/18, depositata il 2 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello, riformando la decisione di prime cure, accoglieva il gravame proposto dall’INPS e respingeva la domanda volta ad ottenere la pensione di reversibilità richiesta dall’ex moglie in seguito al decesso dell’ex marito. Secondo la Corte territoriale la richiedente non aveva diritto alla pensione di reversibilità in quanto, nella qualità di separata con addebito, la stessa non fruiva di alcun assegno di mantenimento da parte del marito prima del decesso. A sostegno della decisione i Giudici di merito rilevavano che la pensione di reversibilità non è solo la prosecuzione in favore di terzi del pregresso diritto a pensione dell’avente titolo, ma è la prosecuzione in favore di terzi aventi diritto . Avverso quest’ultima decisione ricorre per cassazione la soccombente lamentando violazione dell’art. 22, l n. 903/1965 Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale . Limiti di costituzionalità. La Cassazione ha ribadito quanto già chiarito precedentemente dalla giurisprudenza di legittimità ossia che in seguito all'introduzione del nuovo art. 151 c.c. Separazione giudiziale e della sentenza della Corte Costituzionale n. 286/1987 - la quale dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, l. n. 153/1969 e dell’art. 23, comma 4, l. n. 1357/1962, nella parte in cui escludono dall’erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa – ai fini del diritto alla pensione di reversibilità il coniuge separato con addebito va equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite separato o non e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte . Lo stato di bisogno. Inoltre, rileva il Suprema Collegio, dalla decisione della Corte Costituzionale emerge che non siano previste condizioni ulteriori, quali lo stato di bisogno del coniuge superstite, ai fini della fruizione della pensione di reversibilità. Di conseguenza il diritto alla pensione di reversibilità, previsto dall’art. 22, l n. 903/1965 spetta al coniuge unicamente per l’esistenza del rapporto coniugale col coniuge defunto pensionato o assicurato. Infatti nella citata legge la ratio della tutela previdenziale è rappresentata dall’intento di porre il coniuge superstite al riparo dell’eventualità dello stato di bisogno, senza che tale stato di bisogno divenga concreto presupposto e condizione della tutela medesima . In conclusione la Suprema Corte rilevando che nel caso di specie non sia stata applicata la disposizione legislativa citata, cassa la sentenza impugnata e accoglie, pronunciando nel merito, la domanda originaria della ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, ordinanza 15 novembre 2017 – 2 febbraio 2018, numero 2606 Presidente D’Antonio – Relatore Riverso Ritenuto che la Corte d’Appello di Bologna,con sentenza numero 1060/2010/accoglieva l’appello proposto dall’Inps avverso la sentenza che aveva accolto la domanda di P.C. azionata, nella qualità di erede di V.G. suo ex coniuge deceduto il omissis , allo scopo di ottenere la pensione di reversibilità ancorché ella fosse separata con addebito per colpa che,secondo la Corte d’Appello, poiché la P. non fruiva di erogazione di alimenti in capo all’ex coniuge ed in suo favore, non poteva rivendicare dopo il decesso di costui l’attivazione di un trattamento previdenziale a suo vantaggio, posto che la pensione di reversibilità non è solo la prosecuzione in favore di terzi del pregresso diritto a pensione dell’avente titolo, ma è la prosecuzione in favore di terzi aventi diritto né poteva condividersi l’affermazione del giudice di primo grado che indicava nella prosecuzione di vivenza carico la fonte della riconversione del trattamento medesimo trattandosi infatti di presunzione essa era vinta da circostanze opposte, come per l’appunto la separazione senza concorso agli alimenti in favore del coniuge cui è stata addebitata la separazione medesima che contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione P.C. con un motivo di ricorso nel quale prospetta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 22 della legge numero 903 del 21 luglio 1965, dell’articolo 24 della legge numero 153/1969, dell’articolo 433 c.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. atteso che, secondo la costante giurisprudenza, la pensione di reversibilità va riconosciuta non solo al coniuge in favore del quale il coniuge defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento, ma a seguito della sentenza della Corte costituzionale numero 286 del 1987, anche al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge separato o non e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza carico del lavoratore al momento della morte, assolvendo il trattamento alla funzione di sostentamento in precedenza indirettamente assicurato dalla pensione in titolarità del coniuge defunto che l’Inps ha depositato procura ed il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato che la ricorrente è vedova separata con addebito - ancorché sulla base di sentenza non passata in giudicato alla morte del marito - di G.G.B. , deceduto il omissis , e che la sentenza impugnata le ha negato la pensione di reversibilità in quanto non era titolare di assegno di mantenimento all’atto del decesso del coniuge che il ricorso è fondato, posto che questa Corte di Cassazione ha già più volte chiarito cfr., ad es. Cass. 19 marzo 2009 numero 6684, numero 4555 del. 25.2.2009, numero 15516 del 16 ottobre 2003 che a seguito della sentenza della Corte costituzionale numero 286 del 1987 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 30 aprile 1969, numero 153, art. 24 e della L. 18 agosto 1962, numero 1357, art. 23, comma 4 nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato - tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite separato o non e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte che in particolare è stato affermato che, dopo la riforma dell’istituto della separazione personale, introdotto dal novellato art. 151 c.c. e la sentenza della Corte Cost. non sia più giustificabile il diniego, al coniuge cui fosse stata addebitata la separazione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di sostentamento che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornirgli che la motivazione del giudice delle leggi, se conduce ad equiparare con sicurezza la separazione per colpa a quella con addebito, non autorizza l’interprete a ritenere che sia residuata una differenza di trattamento per il coniuge superstite separato in ragione del titolo della separazione che se è possibile individuare contenuti precettivi ulteriori, essi riguardano esclusivamente il legislatore, autorizzato a disporre che il coniuge separato per colpa o con addebito abbia diritto alla reversibilità ovvero ad una quota, solo nella sussistenza di specifiche condizioni che invero, nonostante che la Corte costituzionale, nell’occasione indicata e in altre successive sentt. nnumero 1009 del 1988, 450 del 1989, 346 del 1993 e 284 del 1997 abbia giustificato le proprie pronunce anche con considerazioni legate alla necessità di assicurare la continuità dei mezzi di sostentamento che in caso di bisogno il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornire all’altro coniuge separato per colpa o con addebito, il dispositivo della decisione dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma esaminata non indica condizioni ulteriori, rispetto a quelle valevoli per il coniuge non separato per colpa, ai fini della fruizione della pensione che ad ambedue le situazioni è quindi applicabile la L. 21 luglio 1965, numero 903, art. 22, il quale non richiede a differenza che per i figli di età superiore ai diciotto anni, per i genitori superstiti e per i fratelli e sorelle del defunto, etc. , quale requisito per ottenere la pensione di reversibilità, la vivenza a carico al momento del decesso del coniuge e lo stato di bisogno ma unicamente l’esistenza del rapporto coniugale col coniuge defunto pensionato o assicurato che in definitiva, nella legge citata la ratio della tutela previdenziale è rappresentata dall’intento di porre il coniuge superstite al riparo dall’eventualità dello stato di bisogno, senza che tale stato di bisogno divenga anche per il coniuge separato per colpa o con addebito concreto presupposto e condizione della tutela medesima che non essendosi attenuta alla regola indicata, desumibile dalla L. 21 luglio 1965, numero 903, art. 22, quale risultante dalla dichiarazione di incostituzionalità della L. 30 aprile 19659, numero 153, art. 24, la sentenza impugnata va cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, può procedersi alla decisione nel merito, con l’accoglimento della domanda proposta da P.C. nei confronti dell’INPS che le spese seguono la soccombenza come da dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, accoglie la domanda originaria. Condanna l’INPS al pagamento delle spese processuali dell’intero processo che liquida in complessivi C 2500 per il giudizio d’appello di cui Euro 1000 per diritti ed in Euro 2700 per il giudizio di legittimità, di cui 2500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge. Conferma la liquidazione delle spese effettuata dal tribunale per il giudizio di primo grado.