Come si interpreta l’art. 18 “Fornero”

La tutela reintegratoria è residuale rispetto a quella indennitaria, infatti, il giudice può” attribuire la c.d. tutela reintegratoria attenuata, tra tutte le ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, esclusivamente nel caso in cui il fatto posto a base del licenziamento non solo non sussista, ma anche a condizione che detta insussistenza sia manifesta.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30323/17, depositata il 18 dicembre. Licenziato il lavoratore mafioso” o presunto tale La questione di diritto sottoposta all’attenzione della Suprema Corte trae origine da un licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato ad un dipendente che presentava legami con la mafia locale. In particolare, l’impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro era stata determinata da un‘interdittiva prefettizia che aveva evidenziato il pericolo di infiltrazioni mafiose nell’azienda, stante la presenza di lavoratori con gravi precedenti penali e con rapporti di parentela o affinità con esponenti dei locali clan mafiosi. Il provvedimento prefettizio aveva quindi comportato una riorganizzazione dell’azienda la cui attività consisteva nell’acquisizione e nell’esecuzione di appalti pubblici per lo smaltimento dei rifiuti. L’azienda, per evitare la perdita di appalti per infiltrazioni mafiose, riorganizzava il proprio organico licenziando i lavoratori, per così dire, sospetti”. Successivamente al licenziamento, il provvedimento prefettizio che aveva dato luogo alla riorganizzazione aziendale era stato dichiarato illegittimo, sicchè la Corte territoriale, nel frattempo chiamata a decidere il giudizio di appello, aveva escluso la manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo - e quindi la conseguente tutela reintegratoria attenuata prevista al comma 4 dell’art 18 - propendendo per l’ipotesi indennitaria di cui al comma 5, ossia quella prevista pei i casi in cui non ricorrano gli estremi del giustificato motivo oggettivo. Il lavoratore ricorreva in Cassazione per violazione e falsa interpretazione dell’art. 18 l. n. 300/1970, così come modificato dalla c.d. legge Fornero secondo la sua difesa, al lavoratore sarebbe spettata la tutela reintegratoria attenuata di cui al comma 4 poiché il giustificato motivo oggettivo era costituito da un’interdittiva antimafia, poi caducata, con conseguente inesistenza dell’esigenza riorganizzativa e ingiustificatezza del licenziamento. La graduazione delle tutele ex art. 18. La Corte di Cassazione si sofferma, dunque, sulla graduazione delle tutela previste dall’art. 18 l. n. 300/1970, nella sua formulazione post l. n. 92/2012. Quanto all’illegittimità dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, l’art. 18 prevede almeno tre forme differenziate di tutela al comma 4 è prevista una tutela reintegratoria attenuata, al comma 5 una tutela meramente indennitaria e al comma 6 una tutela indennitaria debole dedicata ai soli casi di illegittimità c.d. formale vizi di motivazione e procedurali . Il discrimine per l’applicazione del comma 4 o del comma 5 è indicato al comma 7 per cui si può applicare la tutela reintegratoria attenuata di cui al 4° comma reintegrazione più indennità risarcitoria fino ad un massimo di 12 mensilità nell’ipotesi in cui si accerti la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento in tutti gli altri casi e comunque nell’ipotesi in cui non ricorrano gli estremi del giustificato motivo oggettivo, trova applicazione la tutela indennitaria del comma 5° indennità omnicomprensiva tra le 12 e le 24 mensilità . Secondo la Suprema Corte non v’è dubbio che il testo normativo sia incerto e che, quindi, necessiti di un intervento nomofilattico importante per i licenziamenti economici” la Riforma Fornero introduce la regola generale della tutela indennitaria, eccettuata solo nell’ipotesi in cui il fatto posto alla base del licenziamento sia manifestamente insussistente, con conseguente annullamento del licenziamento e pagamento delle mensilità maturate dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione, in misura comunque non superiore alle 12 mensilità. Nel caso di specie non v’è dubbio che il motivo oggettivo di licenziamento sussista l’interdittiva prefettizia c’era ed ha prodotto effetti. Tuttavia l’azienda datrice di lavoro non aveva dimostrato le ragioni che rendevano intollerabile la prosecuzione del rapporto di lavoro, soprattutto considerando che sul provvedimento prefettizio gravava un’impugnazione che avrebbe poi avuto l’effetto di caducarlo in quanto illegittimo. Il datore di lavoro, quindi, ben avrebbe potuto sospendere temporaneamente il lavoratore, senza espellerlo dall’azienda. Ne consegue che il licenziamento intimato non è illegittimo per manifesta insussistenza del fatto”, bensì per la mancata sussistenza degli estremi del giustificato motivo oggettivo. Spetta, quindi, la tutela indennitaria di cui al comma 5°.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 giugno – 18 dicembre 2017, n. 30323 Presidente Di Cerbo – Relatore Amendola Fatti di causa 1. La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 26.11.2015, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accertato l’illegittimità del licenziamento intimato a P.M. dalla Derico New Geo Srl ed ha condannato la società al pagamento di una somma pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, richiamando il comma sesto dell’art. 18 della l. n. 300 del 1970 come novellato dalla l. n. 92 del 2012. La Corte territoriale ha preliminarmente ritenuto che il licenziamento fosse riconducibile non ad un illecito disciplinare bensì ad un fatto oggettivo che non aveva reso possibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, nella specie consistente in una interdittiva prefettizia che aveva evidenziato il pericolo di infiltrazioni mafiose nell’azienda in ragione della presenza di lavoratori aventi precedenti penali e comunque vicini, per rapporti di parentela o affinità, ad esponenti dei locali clan mafiosi. Tale provvedimento aveva comportato una modifica dell’organizzazione dell’impresa, pacificamente votata in via esclusiva o comunque prevalente all’acquisizione ed esecuzione di appalti pubblici raccolta e smaltimento dei rifiuti e nettezza urbana , al fine di evitare la perdita di commesse. Premesso che il provvedimento prefettizio che aveva originato tale riorganizzazione era successivamente venuto meno, perché dichiarato illegittimo dal giudice amministrativo, la Corte calabra ha considerato che non sussistesse il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, tanto che il provvedimento de quo era stato tempestivamente ritenuto illegittimo dal datore ed impugnato dinanzi agli organi della giustizia amministrativa. Ha aggiunto che il datore, infatti, nelle more del ricorso giurisdizionale amministrativo, ben avrebbe potuto procedere ad una temporanea sospensione del rapporto con i lavoratori, indicati come segno di infiltrazione mafiosa, trattandosi di circostanza che sottoposta a vaglio giurisdizionale ben poteva essere ritenuta temporanea . Quindi, una volta accertata la mancanza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento , la Corte di Appello ha considerato però che non potesse qualificarsi la fattispecie come priva in modo manifesto dei fatti astrattamente idonei a cagionare i licenziamenti . La sentenza d’appello ha poi così testualmente concluso non può, allora, ad avviso della Corte, farsi applicazione alla fattispecie in esame del quarto comma del novellato art. 18, bensì del comma sesto che richiama il quinto . 2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il lavoratore con quattro motivi. Ha resistito la società con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo. Ragioni della decisione 1. Per ragioni di carattere logico-giuridico deve essere prioritariamente esaminato il ricorso incidentale della società, in quanto con esso si contesta l’illegittimità del licenziamento ritenuta dalla Corte territoriale. Con un unico motivo si denuncia testualmente violazione e falsa applicazione di norme e principi di diritto sarebbe viziato l’iter motivazionale della sentenza impugnata che violerebbe il principio secondo cui la sentenza fa stato fra le parti presenti nel processo , atteso che il lavoratore non aveva partecipato al processo amministrativo sicché gli effetti della sentenza che aveva caducato il provvedimento prefettizio potevano prodursi esclusivamente nei confronti della società e delle amministrazioni pubbliche presenti in detto giudizio si deduce che sulla valutazione della legittimità del licenziamento non potevano influire fatti successivi quali la sentenza del TAR Calabria. Il motivo, così come formulato, è inammissibile. Non solo nella rubrica di esso, ma anche nell’illustrazione non viene indicata in alcun modo norma di diritto alla quale parametrare la denunciata violazione e falsa applicazione di legge, in modo da consentire a questa Corte il sindacato sulla sentenza impugnata previsto secondo i canoni della critica rigorosamente vincolata dall’art. 360 c.p.c Infatti secondo il costante insegnamento di questa Corte, proprio con riferimento all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., il vizio va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione Cass. n. 287 del 2016 Cass. n. 635 del 2015 Cass. n. 25419 del 2014 Cass. n. 16038 del 2013 Cass. n. 3010 del 2012 . Inoltre le doglianze proposte appaiono prive di adeguata specificità ed inconferenti rispetto al decisum atteso che la Corte territoriale non ha affatto ritenuto l’illegittimità del licenziamento in ragione di un preteso giudicato amministrativo. 2. Posta quindi l’illegittimità del licenziamento con una statuizione della Corte calabra che, per quanto innanzi esposto, ha superato il vaglio di legittimità, è possibile esaminare i motivi di ricorso principale che riguardano le tutele riconosciute dai giudici del merito nella vigenza dell’art. 18 l. n. 300 del 1970, come novellato dalla l. n. 92 del 2012. 3. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di tale norma per avere la sentenza impugnata negato la tutela reintegratoria prevista dal quarto comma, richiamata dal settimo comma di detto art. 18. Si sostiene infatti che il giustificato motivo oggettivo era costituito da una interdittiva antimafia improduttiva di effetti, perché caducata a seguito di sentenza del giudice amministrativo, con conseguente inesistenza della esigenza di riorganizzazione aziendale rispetto alla quale l’interdittiva era l’unico presupposto , sicché il recesso restava sprovvisto di qualsiasi giustificazione. Il motivo è infondato, considerando la natura residuale della tutela reintegratoria, prevista dall’art. 18 l. n. 300/70 novellato, già affermata da questa Corte v. Cass. n. 14021 del 2016 . Invero la l. n. 92 del 2012, graduando le tutele in caso di licenziamento illegittimo, ha previsto al quarto comma del nuovo art. 18 una tutela reintegratoria definita attenuata per distinguerla da quella più incisiva di cui al primo comma , in base alla quale il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore ed al pagamento di una indennità risarcitoria dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, in misura comunque non superiore a 12 mensilità al quinto comma dello stesso articolo è prevista, invece, una tutela meramente indennitaria per la quale il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 mensilità e un massimo di 24, tenuto conto di vari parametri contenuti nella disposizione medesima. La linea di confine tra le due tutele, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo, è disegnata dal settimo comma dell’art. 18 novellato secondo la seguente formulazione testuale per cui il giudice Può altresì applicare la predetta disciplina ndr. quella di cui al quarto comma nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma . Da più parti è stata segnalata l’incertezza di portata applicativa cui può dar luogo la norma citata che ricollega alla nozione di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo conseguenze rilevanti quali il riconoscimento di una tutela di tipo reintegratorio in luogo di una mera compensazione economica. Secondo la pronuncia di questa Corte già citata - che qui si condivide poiché il giudice può attribuire la cd. tutela reintegratoria attenuata, tra tutte le ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, esclusivamente nel caso in cui il fatto posto a base del licenziamento non solo non sussista, ma anche a condizione che detta insussistenza sia manifesta , non pare dubitabile che l’intenzione del legislatore, pur tradottasi in un incerto testo normativo, sia quella di riservare il ripristino del rapporto di lavoro ad ipotesi residuali che fungono da eccezione alla regola della tutela indennitaria in materia di licenziamento individuale per motivi economici. Ciò detto nella specie non è in dubbio l’esistenza, al momento del licenziamento, dell’interdittiva prefettizia, afferente anche la posizione del lavoratore in controversia, potenzialmente idonea ad incidere sul regolare funzionamento dell’organizzazione del lavoro dell’impresa datrice ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604 del 1966 l’illegittimità del recesso sta piuttosto nel non avere la società dimostrato le ragioni che rendevano intollerabile attendere la rimozione dell’impedimento alle normali funzioni del lavoratore, impedimento che poteva avere una durata temporanea tenuto conto che l’azienda - come accertato dalla Corte territoriale - aveva tempestivamente ritenuto illegittimo il provvedimento e lo aveva impugnato dinanzi agli organi della giustizia amministrativa cfr. Cass. n. 7904 del 1998, con cui questa Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto sorretto da un giustificato motivo oggettivo il licenziamento intimato da una società appaltatrice del servizio di nettezza urbana di un Comune siciliano commissariato ad un proprio dipendente che, da una comunicazione del Commissario straordinario del Comune stesso, risultava in una condizione di incompatibilità ambientale ad operare nel territorio comunale perché affiliato ad organizzazioni malavitose . Pertanto tale ipotesi è riconducibile non a quella peculiare che postula un connotato di particolare evidenza nell’insussistenza del fatto posto a fondamento del recesso, bensì è sussumibile nell’alveo di quella di portata generale per la quale è sufficiente che non ricorrano gli estremi del predetto giustificato motivo oggettivo. 4. Subordinatamente, con il secondo motivo del ricorso principale l’istante lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 18 novellato per avere la sentenza impugnata applicato il sesto comma della disposizione cd. tutela indennitaria debole con risarcimento del danno dalle 6 alle 12 mensilità in luogo del precedente comma quinto risarcimento del danno dalle 12 alle 24 mensilità . La stessa statuizione viene impugnata con il terzo motivo per vizi di motivazione. I motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, sono fondati. La tutela del sesto comma dell’art. 18 l. n. 300 del 1970 modificato dalla l. n. 92 del 2012, con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata . tra un minimo di sei ed un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto , applicata dalla Corte territoriale, opera esclusivamente nelle ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione del licenziamento, della procedura di cui all’art. 7 della l. n. 300 del 1970 o della procedura conciliativa prevista dall’art. 7 della l. n. 604 del 1966. Ipotesi all’evidenza non ricorrenti nella specie. Una volta esclusa la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo . nelle altre ipotesi - come quella in controversia - in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma , condannando il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in base alla valutazione degli elementi indicati nel medesimo comma. 5. L’accoglimento di tali motivi comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ad essi, con conseguente assorbimento del quarto mezzo di ricorso principale con cui si denuncia la violazione dell’art. 92 c.p.c. per avere la Corte di Appello integralmente compensato le spese di lite, atteso che le spese del giudizio di merito andranno riliquidate all’esito del giudizio di rinvio. 6. Conclusivamente, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, quello principale, respinto il primo motivo, va accolto nel solo suo secondo e terzo mezzo di gravame, assorbito l’ultimo, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti al fine di stabilire l’indennità risarcitoria onnicomprensiva commisurata tra un minimo di 12 mensilità ad un massimo di 24, secondo quanto previsto dal quinto comma dell’art. 18 novellato dalla l. n. 92 del 2012. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese, comprese quelle del giudizio di legittimità. Occorre dare atto della sussistenza, per la sola ricorrente incidentale, dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte, rigettato il primo motivo del ricorso principale,‹ accoglie il secondo ed il terzo, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.