Assistito defunto ed impugnazione da parte del suo avvocato: l’assenza di procura alle liti fonda la responsabilità del legale

L’avvocato incorre in responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. ed è obbligato al pagamento delle spese processuali di controparte qualora, non curandosi di verificare l’esistenza in vita del proprio assistito – al fine di accertarsi dell’efficacia della procura alle liti –, impugni una pronuncia risultando poi soccombente.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 29234/17, depositata il 6 dicembre. Il caso. Con ricorso al Giudice del lavoro di Roma una lavoratrice domandava la condanna dell’INPS al pagamento degli interessi legali e alla rivalutazione monetaria sui ratei di pensione tardivamente erogatale. La domanda veniva respinta per prescrizione del credito, pertanto la sentenza del Giudice di prime cure veniva impugnata presso la Corte d’Appello di Roma, la quale dichiarava l’impugnazione inammissibile, poiché la lavoratrice risultava deceduta già due anni prima del promovimento del giudizio. La Corte distrettuale, inoltre, rilevando il difetto di valida procura ad litem detenuta dal legale della lavoratrice, lo condannava al pagamento delle spese processuali nonché al risarcimento del danno nei confronti dell’INPS. Avverso la sentenza della Corte d’Appello, il legale ricorre per cassazione eccependo di non aver avuto notizia del decesso della sua assistita, la quale era tra l’altro residente all’estero, e di non aver agito con la mala fede o con la colpa grave, entrambe condotte idonee per la configurabilità della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c Procura ad litem e responsabilità aggravata del soccombente. La Suprema Corte conferma la condanna del legale alle spese di giudizio nonché al risarcimento del danno essendosi la procura ad litem estinta ex art. 1722 c.c. Cause di estinzione in seguito alla morte della mandante. In aggiunta, ribadisce che in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costitutivi dell’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto di normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo il controllo di sufficienza di motivazione . Inoltre, dagli atti risultava che il Giudice distrettuale avesse correttamente fondato le sue conclusioni in merito al riconoscimento della responsabilità in capo al ricorrente quest’ultimo, difatti, non solo non aveva accertato l’esistenza in vita dell’assistita ma non le aveva nemmeno comunicato l’esito negativo del giudizio di primo grado. Pertanto la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 21 giugno – 6 dicembre 2017, n. 29234 Presidente Mammone – Relatore Riverso Ritenuto in fatto e diritto 1. Con ricorso al giudice del lavoro di Roma depositato il 31.01.06 C.M. , patrocinata dall’avv. M.G. , chiedeva la condanna dell’INPS al pagamento della somma di Euro 2.533 per interessi legali e rivalutazione monetaria sui ratei di pensione tardivamente erogati. 2. Respinta la domanda per prescrizione del credito, proposto appello da C., la Corte di appello di Roma, con sentenza del 10.02.11, dichiarava inammissibile l’impugnazione rilevando che la C. in questione era deceduta il , ovvero due anni prima del promovimento del giudizio, di modo che il suo difensore era privo di valida procura. Dichiarava, pertanto, inammissibile l’appello e condannava l’avv. M. alle spese del secondo grado nei confronti dell’INPS, nonché al risarcimento dei danni in favore dello stesso Istituto ex art. 96 c.p.c 3. Propone ricorso il M. con unico motivo, reclamando la violazione degli artt. 83, 91, 92 e 96 c.p.c., inapplicabili nei suoi confronti, non avendo egli avuto contezza che la parte residente all’estero dopo il rilascio della procura ad litem , era deceduta, il che escludeva che avesse agito con mala fede o colpa grave ai sensi dell’art. 96 c.p.c Risponde l’INPS con controricorso. 4. Il ricorso, concernente la condanna in proprio dell’avvocato alle spese del giudizio di secondo grado ed al risarcimento ex art. 96 c.p.c., non è fondato. 5. È circostanza pacifica in atti che l’avv. M. abbia dato inizio al presente giudizio dopo il decesso di C.M. e che la procura dalla stessa antecedentemente rilasciata fosse venuta meno ai sensi dell’art. 1722, n. 4 c.c. estinzione per la morte del mandante . Una volta dichiarato inammissibile l’appello, la circostanza in questione comporta necessariamente la condanna alle spese processuali dell’avvocato difensore, atteso che l’attività dallo stesso compiuta senza procura non produce alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui egli solo assume la responsabilità anche in ordine alle spese del giudizio. Il giudice si trova pertanto di fronte ad una questione rilevabile d’ufficio di natura pregiudiziale, sulla base della quale deve unicamente decidere la causa, prendendo atto che l’avvocato stesso ha sottoscritto e fatto notificare l’atto introduttivo del giudizio v. Cass. 26.01.07 n. 1759 ed altre conformi . 6. Con la seconda questione il professionista reclama la mancanza di mala fede o colpa grave nel proprio comportamento, reclamando che, ricevuto il mandato, successivamente dai suoi aventi causa non era a lui pervenuta alcuna altra informazione circa l’esistenza in vita dell’assicurata. Al riguardo deve osservarsi che la giurisprudenza di legittimità ritiene che In materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, salvo - per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell’11.9.2012 - il controllo di sufficienza della motivazione Cass. 29.09.16 n. 19298, nonché 12.01.10 n. 327 . Sul punto il giudice di appello ha formulato esaustive considerazioni, tutte congruamente e logicamente motivate, rilevando che il giudizio di appello cui si riferisce la censurata condanna era stato intrapreso senza previa comunicazione alla cliente dell’esito negativo del giudizio di primo grado e che nessun accertamento era stato compiuto circa l’accertamento dell’esistenza in vita, pur risultando l’assicurata nata nel e nonostante la circostanza da ultimo evidenziata fosse stata dedotta fin dal primo grado come ragione di rapida fissazione dell’udienza di discussione. La censura per tale ragione va ritenuta inammissibile. 7. In conclusione, il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 2.000 per compensi professionali ed in Euro 200 per esborsi, oltre IVA e spese aggiuntive nella misura del 15%.