Rifiutata la richiesta dell’infortunato per la pensione di inabilità

Per accertare l’inabilità bisogna avere riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini di un soggetto, in modo da verificare, anche nel caso di una riduzione del 100% della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità concreta di svolgere attività idonee nel quadro dell’art. 36 Cost.

Lo ha ribadito la Suprema Corte con ordinanza n. 28268/17, depositata il 27 novembre. La vicenda. La Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione dell’INPS avverso la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto al lavoratore il diritto alla pensione ordinaria di inabilità. Con la sentenza di secondo grado, quindi, veniva riformata la decisione e rigettata la domanda alla pensione di inabilità dell’appellato. Secondo la Corte territoriale dalla valutazione del medico-legale emergevano delle abilità residue che, anche in riferimento al parziale recupero neurologico e all’età non avanzata, non consentivano il riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità. Per la cassazione della sentenza ricorre il soccombente. Residua capacità lavorativa. Il ricorrente deduce in Cassazione che erroneamente la Corte territoriale aveva dato rilievo alla sua astratta capacità allo svolgimento di una qualsiasi attività lavorativa e non alla concreta possibilità di esecuzione di lavoro proficui e non dequalificanti. Gli Ermellini ribadiscono che la pensione di inabilità civile è una prestazione di natura assistenziale che ha come punto di riferimento la capacità lavorativa generica prescindendo dal possibile svolgimento di attività lavorativa. Per questi motivi è escluso il diritto a detta prestazione in presenza di una residua capacità lavorativa Cass. sez. Lavoro, n. 6887/17 . Inoltre la Corte ha sottolineato che l’accertamento del requisito della inabilità deve essere operato secondo un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto . In questo modo può essere riscontrata la permanenza di una capacità di svolgere attività. In ragione di ciò la S.C. ha osservato che con motivazione adeguata la Corte territoriale ha posto in rilievo le risultanze peritali a sostegno della valutazione circa la sussistenza di abilità lavorative residue nell’interessato. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 19 luglio – 27 novembre 2017, n. 28268 Presidente D’Antonio – Relatore Berrino Rilevato in fatto che la Corte d’appello di Ancona sentenza pubblicata il 9.12.2011 ha accolto l’impugnazione dell’Inps avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Pesaro - che aveva riconosciuto a S.E. il diritto alla pensione ordinaria di inabilità - e, per l’effetto, ha riformato la gravata decisione e rigettato la domanda di quest’ultimo che la Corte territoriale è pervenuta a tale decisione dopo aver rilevato che le risultanze della rinnovata consulenza medico-legale avevano consentito di verificare la sussistenza, in capo allo S. , di abilità residue - pur in presenza di severe limitazioni della capacità rapportabile alle attitudini del medesimo - che, anche in considerazione del parziale recupero neurologico e dell’età non avanzata, non consentivano il riconoscimento dell’invocata provvidenza che per la cassazione della sentenza ricorre S.E. con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. che l’Inps resiste con controricorso. Considerato in diritto che col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge 12.6.1984 n. 222 anche in relazione ai precetti di cui agli artt. 1, 4, 36 e 38 della Costituzione, il ricorrente che già godeva di assegno ordinario di invalidità contesta la motivazione attraverso la quale la Corte di merito ha ritenuto di escludere il diritto all’invocata provvidenza della pensione ordinaria di invalidità sulla base del rilievo che residuavano capacità attitudinali compatibili con lavori non richiedenti qualificazioni personali o sforzi particolari, assumendo, in contrario, che egli era impossibilitato a svolgere qualsiasi attività lavorativa proficua non dequalificante che col secondo motivo, formulato per insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, si imputa alla Corte d’appello di aver erroneamente dato rilievo alla astratta capacità allo svolgimento di una qualsiasi attività lavorativa e non alla concreta possibilità di esecuzione di lavori proficui e non dequalificanti, oltre a non aver tenuto conto delle considerazioni formulate dal C.T.U. sul fatto che le occupazioni alternative dal medesimo ipotizzate non apparivano confacenti sul piano professionale che col terzo motivo, prospettato come vizio di contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello, pur avendo condiviso il giudizio del consulente d’ufficio in ordine alle severe limitazioni della sua capacità rapportabile alle proprie attitudini, ha finito per non dare alcun rilievo, nella verifica delle capacità lavorative, all’affermazione del medesimo perito secondo il quale l’assistito versava nell’assoluta incapacità a svolgere un qualsiasi lavoro di tipo manuale, sia esso agricolo o industriale o artigianale che i tre motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati che, invero, questa Corte Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 6887 del 16.3.2017 ha di recente avuto occasione di ribadire che la pensione di inabilità civile, di cui all’art. 12 della l. n. 118 del 1971, è una prestazione di natura assistenziale che non presuppone lo svolgimento di una pregressa attività lavorativa, ha come punto di riferimento la capacità lavorativa generica dell’assistito e prescinde dal possibile svolgimento di alcuna attività lavorativa, sicché ne è preclusa l’erogazione in presenza di una residua capacità lavorativa che anche in precedenza Cass. sez. lav. n. 21425 del 17.10.2011 si è posto in rilievo che l’accertamento del requisito della inabilità di cui all’art. 8 della legge 12 giugno 1984 n. 222 deve essere operato secondo un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere attività idonee nel quadro dell’art. 36 Cost. che, in effetti, con la legge n. 222 del 1984 - sostituendosi il criterio della capacità di lavoro a quello della capacità di guadagno - si è passati dalla considerazione della capacità di lavoro, come idoneità a produrre ricchezza, alla considerazione della capacità lavorativa determinante essa stessa particolari effetti, per cui non può essere affatto ignorata la residua capacità lavorativa che nell’ottica di tali principi non trovano posto, pertanto, quei fattori socio economici legati alla difficoltà o impossibilità per un soggetto dalla capacità lavorativa ridotta di inserirsi nel mercato del lavoro che tanto spazio avevano ricevuto nella precedente legislazione v. in tal senso Cass. sez. lav. n. 17159 del 10.8.2011 che la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed esente da vizi di ordine logico-giuridico, ha posto in rilievo che le risultanze peritali avevano consentito di verificare la sussistenza, in capo allo S. , di abilità residue, nonostante le severe limitazioni della sua capacità rapportata alle proprie attitudini, considerati anche i fattori del parziale recupero neurologico e dell’età non avanzata che la stessa Corte ha chiarito che tali residue capacità attitudinali dell’appellato non erano semplicemente di carattere teorico, come dal medesimo ipotizzato, in quanto dall’elaborato del consulente d’ufficio emergeva che tale qualificazione atteneva all’effettiva possibilità per il periziato di incontrare offerte di lavoro compatibili con la sua residua capacità attitudinale conservata, quali quelli consistenti in una mera attività materiale non richiedente specifiche qualificazioni o sforzi particolari che, in definitiva, le attuali censure non consentono di superare il rilievo per il quale difetta nella fattispecie il requisito della incapacità assoluta a svolgere una qualsiasi attività ai fini del conseguimento dell’invocata provvidenza che, pertanto, il ricorso va rigettato che non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., così come novellato a seguito della entrata in vigore dell’art. 42 del d.l. 30/9/03 n. 269, convertito nella legge 24/11/03 n. 326. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.