La risoluzione per reciproci inadempimenti… il giudice “taglia la testa al toro”

Il giudice adito con contrapposte domande di risoluzione per inadempimento del medesimo contratto può accogliere l’una e rigettare l’altra, ma non può respingere entrambe dichiarando la risoluzione consensuale del rapporto, implicando ciò una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato la controversia, infatti, verrebbe decisa mediante una regolamentazione del rapporto diversa da quella perseguita dalle parti.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26475/2017, depositata l’8 novembre 2017. Quando agente e committente risolvono il contratto per reciproco inadempimento Avvalendosi della clausola di risoluzione espressa prevista dal contratto di agenzia, un’azienda intimava il recesso all’agente per avere quest’ultimo mancato il raggiungimento del budget annuale nonché per aver posto in essere comportamenti lesivi dell’immagine dell’azienda. Qualche giorno dopo l’intimazione del recesso, l’agente risolveva a sua volta il rapporto addebitandone la responsabilità alla preponente che non aveva regolarmente pagato le provvigioni. L’agente radicava, quindi, un giudizio volto ad ottenere il pagamento del dovuto e la preponente, costituitasi, si difendeva anche con domanda riconvenzionale, tesa ad ottenere la condanna dell’agente al risarcimento del danno di immagine. Il Giudice di merito veniva, quindi, investito di un doppio accertamento le parti volevano senz’altri porre fine al rapporto di agenzia intercorso, ma lamentavano cause di risoluzione ed effetti differenti. Il Giudici di merito sia il Tribunale, sia la Corte d’Appello tagliavano la testa al toro”, ossia accertavano la risoluzione del rapporto di agenzia per mutuo consenso, assorbendo, quindi, qualsiasi domanda in ordine all’adempimento, essendo la risoluzione del contratto alternativa all’adempimento ai sensi dell’art 1418 c.c L’agente ricorreva per la cassazione della sentenza di secondo grado, ritenendo la decisione ultra petita nessuna delle due parti aveva chiesto l’accertamento della risoluzione consensuale, avendo invece queste investito il giudice di due contrapposte pretese risarcitorie, a loro volta fondate su asseriti reciproci inadempimenti, da cui scaturivano due risoluzioni unilaterali del rapporto. Il mutuo consenso. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione interpreta la volontà delle parti, secondo la ricostruzione dell’agente ricorrente. Di certo, entrambe le parti avevano manifestato l’intenzione inequivoca di porre fine al rapporto di agenzia, esse però non avevano definito compiutamente le reciproche obbligazioni, tanto che le pretese contrapposte venivano sottoposte all’attenzione del Giudice. Stanti le pretese contrapposte in ordine alle cause e, quindi, conseguenze della cessazione del rapporto di agenzia, non può esistere un mutuo consenso sulla risoluzione dello stesso. Secondo la Suprema Corte, infatti, le parti avrebbero, sì, inteso sciogliersi, ma unilateralmente, tant’è vero che hanno allegato reciproci inadempimenti, sulla scorta dei quali hanno azionato diverse pretese risarcitorie. Se vi fosse stato mutuo consenso, le volontà delle parti si sarebbero incontrate e fondate tra loro, invece, nel caso di specie, le volontà delle parti sono rimaste distinte e, in parte, contrapposte. Pertanto, incorre in ultra petizione il Giudice che, a fronte di una domanda di risoluzione per inadempimento, pronunci la risoluzione consensuale infatti, la volontà negoziale diretta allo scioglimento di un contratto per mutuo consenso non può essere desunta dal comportamento di colui che si opponga alla domanda di risoluzione proposta nei suoi confronti. In tali ipotesi, il giudice deve limitarsi a verificare se sussistano in concreto le condizioni fatte valere dall’attore e, qualora queste manchino, dovrà respingere la domanda di risoluzione del contratto. Nel caso in cui le domande di risoluzione sia due, come nel caso di specie, l’accertamento andrà distinto a seconda delle condizioni verificate, seguirà una sola risoluzione con le proprie conseguenze risarcitorie. La Corte di Cassazione, quindi, accoglie il ricorso dell’agente e cassa con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 giugno – 8 novembre 2017, n. 26475 Presidente Bronzini – Relatore De Gregorio Svolgimento del processo La Corte di Appello di Milano con sentenza pubblicata il 16 dicembre 2014 rigettava il gravame proposto da V.A. avverso la pronuncia, che in primo grado aveva respinto la domanda del medesimo, nonché quella spiegata in via riconvenzionale dalla società convenuta, ritenendo intervenuto il mutuo consenso circa lo scioglimento dei due contratti di agenzia, dedotti dall’attore, risalenti al 29 luglio 2003, per cui la preponente OLYMPUS Italia con lettera del primo aprile 2004 intimò recesso all’agente, avvalendosi della prevista clausola di risoluzione espressa per asseriti mancato raggiungimento del budget annuale, commissione di atti lesivi dell’immagine e del decoro della stessa preponente nonché comportamento non collaborativo dell’agente . A sua volta, in data 13 aprile 2004, il V. aveva comunicato anch’egli di voler risolvere i suddetti rapporti, però addebitandone la responsabilità ad inadempimenti della OLYMPUS, facendo altresì presente di aver già notificato citazione per ottenere la condanna della preponente al pagamento delle provvigioni asseritamente non corrisposte relativamente al periodo aprile 2002 / marzo 2004 giudizio definito in primo grado con declaratoria di parziale cessazione della materia del contendere e rigetto della domanda per il resto, decisione confermata in appello, la cui sentenza è stata quindi impugnata con ricorso per cassazione dal V. . Pertanto, con il ricorso dei 10-11-2009 il V. ebbe a richiedere al g.d.l. di accertare la nullità e l’inefficacia del recesso intimatogli dalla preponente nell’aprile 2004, lamentando conseguenti danni, patrimoniali e non, mentre in via riconvenzionale la convenuta domandò, a sua volta, la condanna dell’attore al risarcimento dei pretesi danni all’immagine da condotta diffamatoria posta in essere ex adverso , nonché per lite temeraria. Il fatto che entrambe le parti avevano dedotto la risoluzione dei rapporti, che il V. aveva già agito, separatamente, per il pagamento delle rivendicate provvigioni ed il lungo tempo trascorso tra la cessazione risalente all’aprile 2004 e l’inizio dei giudizio da parte dei V. , in data 10-11-2009, inducevano a ritenere il mutuo consenso. V.A. ha, dunque, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello con un solo motivo, denunciando la violazione dell’art. 112 c.p.c. per vizio di ultrapetizione, in quanto nessuna delle parti aveva dedotto il mutuo consenso. OLYMPUS ITALIA s.r.l. ha resistito al ricorso avversario mediante controricorso. Motivi della decisione Il ricorso appare fondato nei seguenti termini. Ed invero, il giudice adito risulta essere stato investito, in primo grado, da contrapposte pretese risarcitorie, a loro volta fondate su asseriti reciproci inadempimenti, con conseguenti risoluzioni dei rapporti contrattuali, da cui le medesime azionate pretese traevano origine. Quindi, il primo giudicante rigettò le anzidette domande, avendo ritenuto il mutuo consenso nello scioglimento dei dedotti rapporti contrattuali, cessazione invero pacifica, mentre restava dibattuta in effetti la causa di detta risoluzione. Di conseguenza, in tal modo finì per non pronunciarsi in merito alle azionate pretese risarcitorie. Orbene, se da un lato non risulta impugnato dalla società il rigetto della propria domanda riconvenzionale, con conseguente formazione di giudicato in ordine alla pretesa risarcitoria azionata da OLYMPUS ITALIA, d’altro canto con il gravame interposto dal V. restava ancora pendente la domanda da costui proposta in via principale, reiterata con l’appello. La Corte territoriale ha, quindi, confermato la gravata pronuncia, osservando che correttamente il primo giudicante aveva ritenuto il mutuo consenso, aldilà della legittimità o meno della risoluzione del rapporto da parte della proponente , risoluzione però espressamente contrastata dall’attore con il suo ricorso in data 10 novembre 2009, unitamente alle ragioni addotte dalla società con la lettera dei primo aprile, donde pure la contestuale domanda di risarcimento danni. Rileva, inoltre, come puntualizzato dal ricorrente, che costui non aveva di certo chiesto il ripristino dei rapporti contrattuali dedotti, ma l’accertamento di infondatezza delle risoluzioni intimate ex adverso le parti non sono recedute per nessuna delle cause indicate nella lettera 1 aprile 2004, per essere le stesse infondate, generiche e inesistenti conseguentemente, condannare la società al risarcimento di tutti i danni . In altre parole, la domanda del V. tendeva in effetti a smentire la risoluzione per inadempimento, dedotta dalla OLYMPUS ITALIA. Dunque, pur essendo pacifica la cessazione dei contratti in questione, alla stregua del comportamento osservato dalle parti v. in particolare le contrapposte missive in data 1 e 13 aprile 2004 , nonché delle successive richieste formulate in sede giudiziale, si appalesa erronea l’argomentazione, contenuta nella impugnata sentenza, secondo la quale l’attore aveva prontamente aderito all’atto risolutivo prestando acquiescenza alla non prosecuzione del rapporto, di modo che non poteva poi dolersi in senso diametralmente opposto della sua mancata continuazione e domandare la refusione dei danni , subiti per effetto di tale cessazione in vista dei maggiori guadagni ottenuti, se il vincolo di agenzia si fosse protratto negli anni successivi. Quindi, ad avviso della Corte di Appello, nella specie era certamente configurabile una risoluzione per mutuo consenso, stante l’evidente reciproco disinteresse alla prosecuzione del rapporto, manifestato con le anzidette missive, e non avendo il V. più operato dal primo aprile 2004, visto inoltre che egli era rimasto inerme per più di cinque anni senza contestare l’asserita illegittimità della risoluzione comunicata dalla società, di modo che il consenso prestato alla risoluzione consentiva di superare ogni valutazione in ordine alla legittimità o meno della stessa . Invero, tali affermazioni non trovano adeguata corrispondenza in atti, visto che alla risoluzione intimata inizialmente dalla preponente aveva fatto seguito dopo pochi giorni analoga comunicazione dell’agente, che quindi a sua volta deduceva l’inadempimento della società. Inoltre, pressoché contestualmente lo stesso V. aveva agito in giudizio per il ottenere il pagamento delle vantate provvigioni, e non già per risarcimento danni da risoluzione contrattuale. Infatti, il primo giudizio, inerente quindi soltanto a pretese creditorie, relative ad anni precedenti fino al 31 marzo 2004, cfr. in part. pag. 3 del controricorso , ossia fino ad epoca anteriore al recesso intimato dalla società il primo aprile 2004, veniva poi definito in primo grado con sentenza del tre luglio 2008 e in appello con pronuncia del due novembre 2010 in seguito impugnata con ricorso per cassazione notificato il due febbraio 2011 . Orbene, a cavallo di tali due sentenze di merito si colloca il ricorso introduttivo di questo giudizio, depositato il 10 novembre 2009, con il quale di fatto il V. ha chiesto l’accertamento della insussistenza della risoluzione di cui alla missiva della società in data primo aprile 2004, o meglio delle inadempienze ivi indicate, nonché la condanna della convenuta al risarcimento dei danni connessi alle asserite mancanze di cui alla propria missiva in data 13 aprile 2004, laddove anch’egli aveva comunicato di voler risolvere i rapporti di agenzia, ma per responsabilità della OLYMPUS. Pertanto, ricostruiti nei suddetti esatti termini la vicenda di cui è causa, non appare corretta l’affermazione secondo cui il consenso prestato dall’agente V. alla risoluzione, per prima comunicata alla società, consente di superare ogni valutazione in ordine alla legittimità o meno di essa . Invero, se da un lato è possibile ravvisare, pacificamente, le volontà di entrambe le parti di porre fine ai rapporti contrattuali de quibus , non allo stesso modo può dirsi riguardo alla prestazione di un corrispondente consenso in proposito, appunto se non in ordine all’esito finale del rapporto, visto che con la sua missiva del 13 aprile 2004 l’agente aveva contrapposto una propria risoluzione con addebito di colpa alla controparte cfr. infatti Cass. II civ. n. 17503 del 30/08/2005, secondo cui in tema di risoluzione consensuale del contratto, il mutuo dissenso, realizzando per concorde volontà delle parti la ritrattazione bilaterale del negozio, dà vita a un nuovo contratto, di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto originario pertanto, dopo lo scioglimento, le parti non possono invocare cause di risoluzione per inadempimento relative ai contratto risolto, giacché ogni pretesa od eccezione può essere fondata esclusivamente sul contratto solutorio e non su quello estinto. Conforme Cass. III civ. n. 18859 del 10/07/2008. In senso analogo, Cass. III civ. n. 3360 del 13/11/1972 -peraltro espressamente richiamata in motivazione dalla cit. pronuncia n. 17503 in data 30/03 - 30/08/2005- secondo cui, risolto consensualmente un contratto, non possono le parti invocare cause di risoluzione dello stesso per inadempimento, ed ogni indagine al riguardo da parte del giudice e, pertanto, superflua . Va dunque nella specie escluso il mutuo consenso , nel senso ipotizzato dai giudici di merito, che presuppone una concorde e comune volontà delle parti di porre termine al rapporto contrattuale, definendo altresì compiutamente le relative obbligazioni. Per contro, nel caso di specie le parti hanno evidentemente inteso sciogliersi, ma unilateralmente, ciascuna di esse, dai dedotti rapporti, tant’è che hanno allegato reciproci inadempimenti, sulla cui scorta hanno quindi azionato conseguenti pretese risarcitorie. Infatti, con il mutuo consenso v. in part. l’art. 1372 c.c. in tema di efficacia del contratto , le volontà delle parti si incontrano e si fondano insieme tra loro nella risoluzione per inadempimento, invece, le volontà dei contraenti rimangono distinte, provenendo unilateralmente da uno di essi, pur potendo comportare la cessazione del rapporto art. 1453 c.c. 1. Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto. 2. La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione . . art. 1458 c.c. - Effetti della risoluzione - 1. La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite . . Ritenuto, pertanto, che nella specie deve più correttamente ravvisarsi, in effetti ed indipendentemente dalle espressioni nominali adoperate dalle parti, l’esperimento di contrapposte azioni risarcitorie fondate su correlativi asseriti inadempimenti, l’impugnata sentenza appare viziata nei sensi prospettati dal ricorrente, che ha infatti richiamato a sostegno delle sue doglianze pertinenti principi di diritto, i quali trovano riscontro nella giurisprudenza di legittimità sul punto, cui non risultano essersi attenuti i giudici di merito con l’impugnata pronuncia cfr. Cass. sez. un. civ. n. 329 del 15/01/1983, secondo cui il giudice, adito con contrapposte domande di risoluzione per inadempimento del medesimo contratto, può accogliere l’una e rigettare l’altra, ma non anche respingere entrambe e dichiarare l’intervenuta risoluzione consensuale del rapporto, implicando ciò una violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, mediante una regolamentazione del rapporto stesso difforme da quella perseguita dalle parti. Conforme, tra le altre, Cass. I civ. n. 2984 del 16/02/2016. In senso analogo, v. anche Cass. II civ. n. 4493 del 25/02/2014 in tema di risoluzione del contratto, incorre in ultrapetizione il giudice che, a fronte di una domanda di risoluzione per inadempimento, pronunci la risoluzione consensuale, citando altresì la sentenza di questa Corte n. 4600 in data 8/7/1983, secondo la quale la volontà negoziale diretta allo scioglimento di un contratto per mutuo consenso non può essere desunta dal comportamento di chi, pur senza chiedere in via riconvenzionale l’adempimento del contratto o la sua risoluzione per colpa dell’attore, si opponga alla domanda di risoluzione per inadempimento proposta nei suoi confronti, e neppure di chi non si costituisca in giudizio per contrastare attivamente la domanda avversaria, poiché anche in quest’ultimo caso il giudice dovrà verificare se sussistano in concreto le condizioni dell’azione fatta valere dall’attore, e se queste manchino, dovrà limitarsi a respingere la domanda di risoluzione del contratto. Cfr. ancora Cass. I civ. n. 5490 del 23/11/1978 la volontà negoziale diretta allo scioglimento per mutuo consenso di un pregresso contratto non può essere desunta implicitamente dalla mera proposizione di azioni di nullità o di annullabilità, fondate su ragioni diverse, da parte di entrambi i contraenti, in quanto la proposizione di una domanda giudiziale è diretta unicamente alla costituzione del rapporto processuale e a rendere possibile la concessione del richiesto provvedimento giurisdizionale. Essa produce, perciò, solo effetti processuali e non effetti negoziali di diritto sostanziale, i quali, richiedendo in entrambe le parti un intento negoziale, postulano l’esigenza di un idem placitum , non realizzabile ex se con la mera notificazione di due domande giudiziali, le quali provengono dai procuratori legali investiti esclusivamente dello ius postulandi . In senso conforme, v. pure Cass. III civ. n. 5865 del 6/11/1981 la volontà negoziale diretta allo scioglimento per mutuo consenso del contratto non può essere desunta implicitamente dalla mera proposizione di contrapposte azioni di risoluzione, fondate sulle rispettive colpe delle parti contraenti, in quanto esse, dirette unicamente alla costituzione del rapporto processuale ed alla concessione del richiesto provvedimento giurisdizionale, producono soltanto effetti processuali, ma non negoziali di diritto sostanziale i quali, richiedendo in entrambe le parti un intento negoziale, postulano l’esigenza di un idem placitum , non realizzabile ex se con la notificazione o proposizione di domande giudiziali . In accoglimento del ricorso, l’impugnata sentenza va, dunque, cassata con rinvio ex art. 384 c.p.c. alla Corte territoriale, che, uniformarsi ai succitati principi di diritto, provvederà ai necessari conseguenti accertamenti di fatto, per poi decidere all’esito nel merito la causa, pure in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità. Va, peraltro, chiarito che nell’ambito di questo statuito annullamento resta assorbita anche la parte della motivazione della impugnata sentenza, laddove una volta ritenuto, ma erroneamente come sopra osservato, il preteso mutuo consenso, con conseguente preclusione di ogni valutazione di merito in ordine alle inadempienze dedotte dall’attore a sostegno delle dedotte pretese risarcitorie, tuttavia contraddittoriamente si ritenevano infondate le allegazioni del V. , limitatamente al conseguente solo danno non patrimoniale. Infine, essendo risultata fondata l’impugnazione, non ricorrono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002, sicché non ne va dato atto, per cui il ricorrente non è tenuto al versamento di ulteriore contributo unificato. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso. CASSA l’impugnata sentenza e RINVIA, anche per le spese, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.