Impugnazione del licenziamento individuale e decadenza

Ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, è necessario che nel termine previsto venga proposto ricorso secondo il rito di cui all’art. 1, commi 48 e ss., l. n. 92/2012, restando inidoneo allo scopo il ricorso proposto ai sensi dell’art. 700 c.p.c

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26309/17, depositata il 7 novembre. Il caso. Un lavoratore impugnava il licenziamento intimatogli ma, sia il Tribunale che la Corte d’Appello, dichiaravano la decadenza dal diritto di impugnazione per decorrenza del termine di 270 giorni dall’impugnativa stragiudiziale art. 6, comma 2, l. n. 604/1966, come sostituito dall’art. 32 l. n. 183/2010 . Il lavoratore ricorre in Cassazione. Decadenza. Il tema è già stato affrontato dalla giurisprudenza che ha chiarito come la norma di cui all’ art. 6, comma 2, l. n. 604/1966 vada interpretata nel senso che ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, è necessario che nel termine previsto venga proposto ricorso secondo il rito di cui all’art. 1, commi 48 e ss., l. n. 92/2012, restando inidoneo allo scopo il ricorso proposto ai sensi dell’art. 700 c.p.c. . Il termine di 270 giorni oggi 180 secondo il disposto dell’art. 1, comma 38, l. n. 92/2012 viene definito dalla giurisprudenza come avente natura decadenziale e determina dunque l’inapplicabilità delle norme in tema di efficacia interruttiva della prescrizione del giudizio estinto di cui agli artt. 2943 e 2945 c.c., risultando nel caso gli atti compiuti nel giudizio estinto inefficaci, ai sensi dell’art. 310, comma 2, c.p.c. . Ed infatti è pacifico nella giurisprudenza che la domanda giudiziale sia idonea ad impedire la decadenza di un diritto, non perché manifestazione di una volontà sostanziale, ma perché instaura un rapporto processuale finalizzato ad ottenere l’effettivo intervento giudiziale ed il riconoscimento del diritto medesimo. Ma qualora il giudizio si estingua, l’esercizio dell’azione giudiziaria non vale ad impedire la decadenza del diritto sostanziale e l’inefficacia degli atti processuali compiuti art. 310, comma 2, c.p.c. si estende anche agli aspetti sostanziali, oltre che a quelli processuali. In conclusione la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 21 settembre – 7 novembre 2017, n. 26309 Presidente Curzio – Relatore Ghinoy Fatto e diritto Rilevato che 1. la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, che aveva dichiarato la decadenza di C.S. dall’impugnazione del licenziamento per inosservanza del termine di 270 giorni dall’impugnativa stragiudiziale previsto dal secondo comma dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966, come sostituito dall’articolo 32 della legge n. 183 del 2010. Argomentava che, inidoneo essendo il ricorso proposto in data 16.4.2013, non potesse assegnarsi valore all’anteriore ricorso proposto ex articolo 700 c.p.c., che si era estinto per intervenuta rinuncia. 2. C.S. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, sostenendo che la soluzione adottata dalla Corte felsinea si porrebbe in contrasto con gli articoli 2943, 2945 comma terzo e 2967 del codice civile. 3. La Gennarino Trasporti Srl ha resistito con controricorso ed il C. ha depositato anche memoria ex art. 380 bis comma 2 c.p.c. Considerato che 1. la questione in rassegna è stata affrontata e risolta da questa Corte con la sentenza n. 14390 del 14/07/2016, che ha affermato che l’art. 6, comma 2, della l. n. 604 del 1966 va interpretato - nel caso d’impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 st.lav. e successive modificazioni - nel senso che ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, è necessario che nel termine previsto venga proposto ricorso secondo il rito di cui all’art. 1, commi 48 e seguenti, della l. n. 92 del 2012, restando inidoneo allo scopo il ricorso proposto ai sensi dell’art. 700 c.p.c 2. Il ricorso d’urgenza è stato nel caso proposto dal C. in data 26.7.2012, e quindi dopo l’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, verificatasi il 18.7.2012, quando ex art. 1 comma 67 sussisteva l’obbligatorietà del ricorso al rito speciale v. Cass. n. 23073 del 11/11/2015 . Dovendosi dare seguito all’orientamento sopra richiamato, correttamente la Corte territoriale l’ha dunque ritenuto inidoneo ad interrompere la decadenza stragiudiziale prevista dal comma 2 della legge n. 604 del 1966, nella formulazione introdotta dall’art. 32, comma 1, della legge 4 novembre 2010, n. 183. 3. La soluzione adottata dalla Corte territoriale è vieppiù corretta sulla base dell’ulteriore rilievo che il ricorso ex art. 700 c.p.c. non è giunto a conclusione, avendovi la parte rinunciato, sicché l’atto introduttivo del giudizio poi estinto non poteva valere ad interrompere la decadenza. 3.1. La natura decadenziale del termine di 270 giorni divenuto poi di 180 ex art. 1, comma 38, della legge 28 giugno 2012, n. 92 per proporre l’impugnativa giudiziale, affermata da tutta la giurisprudenza sull’argomento v. ex aliis Cass. S.U. n. 4913 del 14/3/2016, n. 13598 del 04/07/2016, n. 24258 del 29/11/2016 determina infatti, secondo quanto disposto dall’art. 2964 c.c., l’inapplicabilità delle norme in tema di efficacia interruttiva della prescrizione del giudizio estinto di cui agli artt. 2943 e 2945 c.c., risultando nel caso gli atti compiuti nel giudizio estinto inefficaci, ai sensi dell’art. 310 secondo comma cod. proc. civ 3.2. Questa Corte ha infatti in proposito chiarito v. Cass. n. 1090 del 18/01/2007, n. 7801 del 08/06/2000, n. 3505 del 14/04/1994 che la domanda giudiziale è un evento idoneo ad impedire la decadenza di un diritto, non in quanto costituisca la manifestazione di una volontà sostanziale, ma perché instaura un rapporto processuale diretto ad ottenere l’effettivo intervento del giudice, sicché l’esercizio dell’azione giudiziaria non vale a sottrarre il diritto alla decadenza qualora il giudizio si estingua, facendo venire meno il rapporto processuale l’inefficacia degli atti compiuti nel giudizio estinto, prevista dall’art. 310 secondo comma cod. proc. civ., non può quindi essere arbitrariamente limitata ai soli aspetti processuali, dovendo estendersi anche a quelli sostanziali, fatte salve le specifiche deroghe normative. Ha aggiunto nei richiamati arresti che la non estensione alla decadenza dell’effetto interruttivo della domanda giudiziale previsto dalle norme sulla prescrizione, secondo quanto stabilito dall’art. 2964 cod. civ, è giustificata dalla non omogeneità della natura e della funzione dei due istituti, trovando la prescrizione fondamento nell’inerzia del titolare del diritto, sintomatica per il protrarsi del tempo, del venir meno di un concreto interesse alla tutela, e la decadenza nel fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto entro un termine stabilito, nell’interesse generale o individuale alla certezza di una determinata situazione giuridica. 6. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 5, cod. proc. civ . 7. La regolamentazione delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza. 8. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.