La crisi d’impresa non basta per giustificare il licenziamento

Il giudice deve verificare in concreto quale fosse il posto di lavoro occupato dal lavoratore licenziato a seguito di riorganizzazione aziendale, non basando la propria valutazione unicamente sull’equazione tra stato di crisi di aziendale e giustificazione del licenziamento

Cosi ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 24882/17, depositata il 20 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello rigettava il gravame proposto dal lavoratore nei confronti della sentenza del Pretore che ne aveva respinto il ricorso per l’impugnazione del licenziamento, in relazione allo stato di cresi aziendale della casa editrice di cui il ricorrente era stato redattore. La Corte territoriale aveva ricondotto il recesso datoriale alla fattispecie legale ex art. 3 l. n. 604/66, anziché ad una fattispecie di licenziamento collettivo, sulla base dello stato di crisi aziendale e del trattamento di CIGS concessa dal Ministero del Lavoro. Avvero tale provvedimento il redattore licenziato ricorreva in Cassazione. Riorganizzazione dell’impresa. Sul tema la Cassazione afferma che la Corte d’Appello abbia erroneamente ritenuto sussistente il presupposto oggettivo di un licenziamento ai sensi dell’art. 3 l. n. 604/66 con sussistenza di esigenze tecnico organizzative e produttive tali da prevedere una riduzione del personale a causa dell’accertata crisi economica e aziendale coerenti e ragionevole . La Suprema Corte rileva che il Giudice di merito ha omesso di verificare in concreto quale fosse il posto di lavoro occupato dal ricorrente, basando la propria valutazione unicamente sull’equazione tra stato di crisi di aziendale e giustificazione del licenziamento, e se tale posto fosse stato effettivamente eliminato in seguito alla riorganizzazione aziendale e al risanamento dell’impresa elementi qualificanti la fattispecie legale ex art. 3 l. n. 604/66 e non superabili attraverso il riferimento alla scelta dimensionale e alla sua ragionevolezza. Per questo motivo la Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 aprile – 20 ottobre 2017, n. 24882 Presidente Napoletano – Relatore Della Torre Fatti di causa Con sentenza n. 41/2015, depositata l’11 giugno 2015, pronunciando in sede di rinvio, a seguito di cassazione - disposta con sent. n. 10732/2011 - di precedente sentenza della Corte d’appello di Campobasso, la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame proposto da S.M. nei confronti della sentenza del Pretore di Napoli che ne aveva respinto il ricorso per l’impugnazione del licenziamento intimatogli in data 27/1/1997, in relazione allo stato di crisi aziendale, dalla S.p.A. EDI.ME., editrice del quotidiano Il Mattino , di cui il ricorrente era stato redattore. La Corte, ricondotto il recesso datoriale alla fattispecie legale di cui all’art. 3 l. n. 604/1966, anziché ad un’ipotesi di licenziamento collettivo configurata, invece, nella sentenza cassata , osservava come le ragioni indicate dalla società, e pertanto lo stato di crisi aziendale, con la conseguente necessità di contenimento dei costi, trovassero dimostrazione nel decreto del Ministero del Lavoro che, per il periodo dal 28/1/1995 al 27/1/1997, aveva concesso il trattamento di CIGS e negli accordi successivi che erano intervenuti con il comitato di redazione del quotidiano né in senso contrario, rispetto ad una soppressione del posto di lavoro giustificata dal processo in corso di ampia e complessiva riorganizzazione aziendale, poteva rilevare il fatto che la società avesse fatto ricorso a lavoro straordinario e a collaborazioni esterne, il primo essendo insito nel carattere non programmabile a priori del lavoro giornalistico e le seconde rappresentando, per esigenze di elasticità e di contenimento dei costi, una scelta discrezionale del datore di lavoro. Quanto alla possibilità di una diversa collocazione aziendale, la Corte rilevava come le relative deduzioni fossero inidonee a soddisfare l’onere di allegazione posto a carico del lavoratore in particolare, osservava, a tale riguardo, che la possibilità di una ricollocazione non poteva essere ravvisata nel posto dei giornalisti dimissionari o di quello deceduto, posto che nulla era stato dedotto dal ricorrente circa le mansioni dai medesimi svolte e la compatibilità di queste con la propria professionalità e che, d’altra parte, le dimissioni erano state rassegnate tutte prima della verifica di cui al verbale di accordo del dicembre 1996. Con riferimento, infine, alla dedotta violazione dell’art. 34 del contratto collettivo dei giornalisti, la Corte rilevava preliminarmente il difetto di specificità dell’appello e, nel merito, comunque rilevava che il parere del comitato di redazione era obbligatorio esclusivamente nel caso di mutamento di mansioni idonee a dare luogo a risoluzione del rapporto da parte del giornalista. Per la cassazione di detta sentenza il S. ha proposto due distinti ricorsi, peraltro di identico contenuto, affidati a tre motivi ad entrambi ha resistito I Mattino S.p.A. già EDI.ME. S.p.A. con controricorso. Il ricorrente ha depositato altresì memoria illustrativa. Ragioni della decisione Deve, in primo luogo, disporsi ex art. 335 cod. proc. civ. la riunione dei ricorsi, di identico contenuto, proposti dal lavoratore nei confronti della medesima sentenza della Corte di appello di Napoli n. 41/2015. Con il primo motivo viene dedotta violazione e/o falsa applicazione di varie norme di legge artt. 111 Cost. 115, 116, 132, 384 cod. proc. civ. 118 disp. att. cod. proc. civ. 1175, 1345, 1375, 2697 cod. civ. 3 e 5 l. n. 604/1966 18 l. n. 300/1970 , nonché motivazione apparente e nullità della sentenza art. 360 n. 3 e n. 4 cod. proc. civ. , per avere la Corte di merito - qualificata la fattispecie come licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo - considerato sufficiente, ai fini della giustificazione del recesso, la verifica della situazione di crisi aziendale e della necessità di un contenimento dei costi attraverso la contrazione del numero dei giornalisti occupati, senza peraltro accertare, con onere probatorio a carico del datore di lavoro, se il posto occupato dal ricorrente fosse stato realmente soppresso e se non sussistesse la possibilità di impiegare altrove il lavoratore licenziato. Con il secondo motivo viene dedotta violazione e/o falsa applicazione di norme di legge artt. 111 Cost. 115, 116, 132 cod. proc. civ. 118 disp. att. cod. proc. civ. 1352, 1362 cod. civ. e di fonte collettiva art. 34 CNLG , nonché motivazione apparente e nullità della sentenza art. 360 n. 3 e n. 4 cod. proc. civ. , per avere la Corte erroneamente ritenuto generico, e quindi inammissibile, il motivo di appello relativo all’inefficacia del licenziamento in quanto non preceduto dall’informazione e consultazione del comitato di redazione e comunque per avere affermato, con violazione delle regole di ermeneutica, che il contratto collettivo non prevede che, in occasione dei licenziamenti, sia obbligatorio richiedere il parere preventivo di tale comitato. Con il terzo motivo viene dedotta violazione e/o falsa applicazione di norme di legge artt. 111 Cost. 115, 116, 132 cod. proc. civ. 118 disp. att. cod. proc. civ. 3, 5, 6 l. n. 604/1966 18 l. n. 300/1970 , nonché motivazione apparente e nullità della sentenza art. 360 n. 3 e n. 4 cod. proc. civ. , per avere la Corte posto a carico del lavoratore, anziché del datore di lavoro, la prova specifica della impossibilità di una sua diversa ricollocazione e altresì per non avere considerato che il decesso di un giornalista, avvenuto nel gennaio 1997 e cioè in epoca successiva alla verifica degli esuberi consolidata nel verbale di accordo in data 18/12/1996 , lasciava libero un ulteriore posto in redazione per il ricorrente. È fondato, e deve essere accolto, il primo motivo di ricorso. La Corte territoriale, nel ricondurre il recesso intimato al ricorrente con lettera del 27/1/1997 alla categoria del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ex art. 3, seconda parte, l. 15 luglio 1966, n. 604, ha, in primo luogo, osservato come lo stato di crisi, richiamato nella comunicazione del datore di lavoro, dovesse ritenersi, insieme alla conseguente necessità di un contenimento dei costi e di una riduzione del numero dei giornalisti occupati, adeguatamente comprovato dal decreto in data 9/2/1995 del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, che aveva autorizzato per il periodo dal 28/1/1995 al 27/1/1997 il trattamento di CIGS. La Corte territoriale ha, quindi, rilevato come dovesse ritenersi verificato nel caso di specie il presupposto oggettivo di un licenziamento ex art. 3 l. cit., e cioè la sussistenza di esigenze tecnico organizzative e produttive , e come a fronte dell’accertata situazione di crisi economica dell’azienda, il ridimensionamento del numero dei giornalisti occupati, ed in particolare la scelta aziendale di privarsi della professionalità del ricorrente risultassero del tutto coerenti e ragionevoli cfr. sentenza, p. 12 con la precisazione che la soppressione del posto di lavoro , la cui necessità il ricorrente aveva sottolineato ai fini di un legittimo licenziamento per g.m.o., doveva essere necessariamente inserita in un contesto di riorganizzazione aziendale complessivo e finalizzato ad arginare le perdite e ridurre i costi, quello appunto fotografato negli accordi in atti p. 13 . Peraltro, la fattispecie normativa astratta, di cui all’art. 3, seconda parte, l. n. 604, richiede a che la posizione di lavoro del destinatario del provvedimento datoriale risulti venuta meno, per effetto della soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui il dipendente era stato addetto, non essendo, tuttavia, necessario, ai fini della configurabilità del giustificato motivo oggettivo, che vengano soppresse anche tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, le quali ben possono essere solo diversamente ripartite ed attribuite all’interno del nuovo e diverso assetto organizzativo Cass. n. 21121/2004 e successive numerose conformi b che la soppressione del posto di lavoro sia riferibile, sul piano causale, a progetti o scelte datoriali - non sindacabili in sede giudiziale quanto ai profili di congruità e opportunità, purché connotati da effettività e assenza di simulazione Cass. n. 17887/2007 e successive numerose conformi diretti a incidere sulla struttura e sulla organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, senza che il datore debba necessariamente provare anche un andamento economico negativo dell’azienda, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa Cass. 25201/2016 conforme Cass. n. 10699/2017 c che non sia possibile una diversa collocazione del lavoratore all’interno dell’impresa ristrutturata o rimodulata nei suoi aspetti tecnico-organizzativi, essendo il relativo onere probatorio - al pari di quello avente ad oggetto gli elementi a e b sopra richiamati - a carico del datore di lavoro che può assolverlo anche mediante il ricorso a presunzioni Cass. 3040/2011 , escluso peraltro che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili Cass. n. 5592/2016 conf. Cass. 12101/2016 elemento, questo dell’impossibilità di reimpiego in altre posizioni di lavoro e/o con diverse mansioni, che, se pure normativamente inespresso nella formulazione testuale dell’art. 3 l. n. 604/1966, trova la sua giustificazione sia sul piano dei valori, nella prospettiva del licenziamento come extrema ratio all’interno di un ordinamento che tutela il lavoro già a livello costituzionale, limitando, per converso, l’iniziativa economica privata, ove il suo esercizio risulti in contrasto con la dignità umana art. 41, comma 2, Cost. sia come riflesso logico del carattere effettivo e non pretestuoso che deve accompagnare la scelta tecnico-organizzativa del datore di lavoro, la quale, siccome univocamente diretta al conseguimento delle ragioni proprie dell’impresa, non può riconoscere il condizionamento di finalità espulsive diversamente legate alla persona del lavoratore. A tali principi non si è conformata la sentenza impugnata, avendo la Corte di merito - sulla base di un’erronea equazione tra stato di crisi aziendale e giustificazione del licenziamento - omesso di verificare in concreto quale fosse il posto di lavoro occupato dal ricorrente e se tale posto di lavoro dovesse ritenersi effettivamente e specificamente soppresso in conseguenza dell’attuazione di programmi diretti alla riorganizzazione e al risanamento dell’impresa, trattandosi di elementi qualificanti la fattispecie legale, di cui all’art. 3 l. n. 604/1966, e non superabili, in una corretta interpretazione della norma, attraverso il riferimento alla scelta dimensionale e alla sua ragionevolezza. Il secondo e il terzo motivo restano assorbiti. L’impugnata sentenza della Corte di appello di Napoli n. 41/2015 deve, pertanto, essere cassata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla stessa Corte di appello in diversa composizione, la quale, nel procedere a nuovo esame della fattispecie, ferma la già operata qualificazione del recesso come licenziamento per giustificato motivo oggettivo, si atterrà ai principi di diritto sopra richiamati. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.