Compiuta giacenza? La lettera di contestazione si presume conosciuta

Le dichiarazioni recettizie, come una lettera di contestazione rivolta al lavoratore, possono essere validamente portate a conoscenza del destinatario con la procedura della compiuta giacenza e, in virtù di questo meccanismo, si presumono conosciute dal destinatario.

Lo stabilisce la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 23260/17, depositata il 5 ottobre. Il fatto. Un dipendente delle Poste veniva licenziato per giusta causa. Nel dettaglio, la Corte d’Appello di Palermo – a differenza di quanto sostenuto dall’uomo – riteneva corretta la comunicazione della lettera di contestazione, stante l’attestazione di compiuta giacenza, pur non essendo stata prelevata dal destinatario. Il lavoratore ricorreva in Cassazione. Compiuta giacenza. Il dipendente lamenta di aver comunicato alla società datrice di lavoro di essere impossibilitato a ritirare la raccomandata in quanto malato. Per questo motivo non aveva potuto avere conoscenza della lettera di contestazione. La Corte di Cassazione respinge tale doglianza le dichiarazioni recettizie, come quella di cui si parla, possono essere validamente portate a conoscenza del destinatario con la procedura della compiuta giacenza. Il fatto che il lavoratore abbia ammesso di aver ricevuto l’avviso della raccomandata in giacenza sta ad indicare che egli ammette di essere venuto a conoscenza della comunicazione. In sostanza, le dichiarazioni recettizie, come quella del caso di specie, in virtù di questo meccanismo, si presumono conosciute dal destinatario. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 marzo – 5 ottobre 2017, numero 23260 Presidente Amoroso – Relatore Curcio Svolgimento del processo La corte d’Appello di Palermo ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Palermo che aveva respinto le domande di M.F. , dipendente di Poste Italiane spa con mansioni di addetto allo sportello, dirette a far accertare l’illegittimità di due sanzioni conservative, qualificando per giustificato motivo soggettivo il licenziamento pure impugnato, adottato per giusta causa dalla società datrice di lavoro. Il primo giudice aveva quindi condannato Poste italiane al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso. La Corte d’Appello ha respinto l’appello principale del ricorrente ed ha accolto l’appello incidentale della società, ritenendo la sussistenza di una giusta causa di licenziamento e pertanto ha condannato M. alla restituzione dell’indennità di preavviso percepita in esecuzione della sentenza di primo grado. In particolare la corte territoriale ha confermato quanto ritenuto dal primo giudice circa la corretta comunicazione della lettera di contestazione relativa alla prima sanzione conservativa inflitta, di cui il M. aveva chiesto dichiararsi la nullità per vizio di procedura, atteso che la lettera doveva considerarsi recapitata al lavoratore stante l’attestazione di compiuta giacenza, trattandosi di procedura di consegna ritualmente completatasi con il decorso della giacenza presso l’ufficio postale, pur non essendo stata prelevata dal destinatario. La corte di merito ha ritenuto che non poteva applicarsi nel caso in esame l’articolo 1335 c.comma perché non erano stati forniti elementi probatori idonei a vincere la presunzione normativa, in quanto il M. si era limitato a sostenere erroneamente che sarebbe stata necessaria la prova dell’effettiva consegna dell’atto, che proprio la procedura di notifica adottata esclude. Egualmente ha ritenuto la corte di confermare il giudizio del tribunale in relazione alla legittimità della seconda sanzione, non avendo il lavoratore fornito adeguata prova della sua impossibilità di farsi trovare disponibile alla visita medica domiciliare di controllo per ragioni a lui non imputabili, sia con riferimento al dedotto guasto dei citofoni che invece risultavano essere stati resi funzionanti per un intervento manutentivo anteriore alle ore 18, orario della visita , sia con riferimento alla sua impossibilità di sentire il citofono a causa della assunzione di psicofarmaci, che lo rendevano non del tutto vigile. Infine la Corte distrettuale ha ritenuto la particolare gravità, idonea a ledere la fiducia, del fatto sanzionato con il licenziamento, consistito nell’effettuazione di due operazioni di prelevamento, di Euro 2500,00 ciascuna, su libretto di risparmio postale in favore di persona diversa dal titolare, senza previa esibizione del titolo e senza successiva annotazione sullo stesso. In particolare la corte ha ritenuto rilevanti le dichiarazioni confessorie rese stragiudizialmente dal M. agli ispettori procedenti, contenute in documento prodotto da Poste in giudizio, in contrasto con le dichiarazioni rese successivamente, con riferimento alla commissione da parte di terzi delle due operazioni per essere la sua la sua postazione accessibile da parte di terzi durante la pausa pranzo. Ha proposto ricorso per cassazione M. , affidato a tre e motivi. Ha resistito la società con controricorso. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo di gravame si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’articolo 1335 c.comma e dell’articolo 57 del ccnl del settore, come anche degli articolo 137, 115,116 c.p.c., con riferimento all’articolo 360 comma 1, numero 3 c.p.c., per avere la corte di merito errato nel ritenere la validità della procedura di contestazione della prima sanzione inflitta, in quanto sarebbe stata validamente portata a conoscenza del destinatario la lettera di contestazione, che risultava rivenuta mediante la procedura di recapito postate per compiuta giacenza e quindi restituita al mittente. Il M. sostiene di essersi trovato nell’ impossibilità, senza sua colpa, di avere conoscenza della lettera di contestazione a lui diretta, nonostante avesse aver comunicato alla datrice di lavoro la sua impossibilità di ritirare la raccomandata in quanto malato. Il motivo è inammissibile, perché non si sottrae ad un giudizio di carenza di autosufficienza, non avendo il ricorrente trascritto il contenuto dei documenti, certificati medici e la comunicazione che deduce aver inviato alla datrice di lavoro, comprovanti lo stato di malattia e l’impossibilità a recarsi presso l’ufficio postale per il ritiro della raccomandata. Tali atti non sono stati neanche depositati con il ricorso, mancando peraltro l’indicazione precisa della loro collocazione nel fascicolo di ufficio. Sul punto è consolidata la giurisprudenza di questa corte sull’inammissibilità e improcedibilità del motivo, per violazione degli articolo 366 c.1 numero 6 e 369 comma 1 numero 4 c.p.comma quando non si indicano gli atti processuali su cui si il ricorso si fonda e non si trascrivono nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza al fine di renderne possibile l’esame cfr per tutte Cass. numero 8569/2013, Cass. numero 195/2016 . Il motivo è comunque infondato. Ed infatti le dichiarazioni recettizie, quali quella oggetto di causa regolate dall’articolo 1335 cod. civ., possono validamente essere portate a conoscenza del destinatario con la procedura della cd compiuta giacenza , così che per poter vincere la presunzione legale, è necessario un fatto o una situazione che spezzi od interrompa in modo duraturo il collegamento tra il destinatario ed il luogo di destinazione della comunicazione e che tale situazione sia incolpevole, cioè non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza Cfr. Cass. 20482/2011 . Se quindi, in base a quanto stabilito nell’articolo 1335 c.c., la dichiarazione di volontà di una parte si presume conosciuta dal destinatario nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, l’avvenuta compiuta giacenza ma la stessa ammissione del lavoratore di aver ricevuto l’avviso della raccomandata in giacenza, così ammettendo che detta comunicazione è giusta nella sua sfera di disponibilità, hanno perfezionato la conoscenza della comunicazione e quindi della contestazione disciplinare, a cui egli non ha risposto. 2 Con un secondo articolato motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.comma in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.comma e contestualmente un’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo ex articolo 360 numero 5 c.p.c con riferimento sia alla sanzione disciplinare irrogata a seguito di contestazione in cui si addebitava al M. l’assenza da casa il giorno dell’arrivo alle ore 18 del medico per la visita fiscale, disposta dalla datrice di lavoro, sia poi con riferimento al licenziamento comminatogli successivamente. 3 Quanto alla prima parte del motivo relativo alla sanzione disciplinare, secondo il ricorrente la corte d’appello avrebbe omesso di valutare i numerosi documenti prodotti e la dichiarazione del sindacalista che attestava che egli era sotto l’effetto di farmaci che ne inibivano l’autodeterminazione, come si evinceva anche dai certificati medici prodotti, che indicavano tali farmaci. Avrebbe poi non considerato la Corte che egli solo successivamente era stato in grado di risalire al’episodio contestatogli ed alla circostanza che in tale giornata vi era stato un intervento di operai sui citofoni, disabilitati a causa di un guasto, come comprovato da una ricevuta della ditta intervenuta, regolarmente prodotta come doc.17., sebbene ebbene nel documento fosse stato dichiarato che alle ore 17,30 era stata constatata la disfunzione, mentre la riparazione era avvenuta successivamente. 4 Quanto alla seconda parte del motivo, con riferimento al licenziamento ed alla relativa contestazione afferente ad operazioni di prelevamento di danaro su un libretto di risparmio effettuate da persona diversa dal titolare, lamenta il ricorrente che la corte non abbia considerato che egli non avrebbe mai potuto accedere direttamente tale libretto di risparmio non avendo accesso al numero di origine dello stesso, nato in altra agenzia, mentre avrebbe potuto accedervi il collega D. , sindacalista da lui conosciuto, che aveva compiuto altre operazioni simili. Tali operazioni inoltre sarebbero state effettuate quando egli era sotto psicofarmaci, cosi allontanandosi spesso dall’agenzia numero . Infine non sarebbe certo sfuggito a Poste che l’ultima operazione sul libretto era stata effettuata dal D. e non da lui. Secondo il ricorrente quindi avrebbe errato il Tribunale e poi la corte nel non approfondire chi avesse potuto effettuare l’operazione al terminale dalla sua postazione, lasciata aperta. 5 Il motivo è inammissibile. Ed infatti a parte la confusa impostazione del motivo che ha riguardato due provvedimenti distinti, la sanzione disciplinare e il licenziamento, ma trattati in realtà in un unico contesto, peraltro senza che fossero ben evidenziate, attraverso la trascrizione delle relative contestazioni disciplinari, i due specifici addebiti, il ricorrente fa riferimento alla formulazione del vizio motivazionale di cui al numero 5 dell’articolo 360 c.p.comma antecedente a quella applicabile al presente giudizio. La sentenza impugnata infatti è stata emessa nel settembre 2014, epoca in cui la censura in esame avrebbe dovuto riguardare soltanto l’omesso esame da parte della corte di merito di fatti decisivi che erano stato oggetto di discussione tra le parti. 6 Ebbene nel caso in esame la Corte ha esaminato i fatti oggetto della contestazione disciplinare relativa al licenziamento, le risultanze istruttorie, come anche delle dichiarazioni del M. , di natura confessoria, rese agli ispettori procedenti nell’ambito della procedura disciplinare ed ha ritenuto che tali fatti fossero provati. Non può dunque rinvenirsi alcun vizio motivazionale costituito dal mancato esame di un fatto decisivo, non potendo più rilevare la non particolare ampiezza delle argomentazioni motivazionali della sentenza su ogni aspetto dell’istruttoria testimoniale che tuttavia non abbia il carattere di decisività che la nuova disposizione legislativa richiede. Il ricorrente propone in realtà una diversa lettura delle prove testimoniali finalizzata a richiedere una diversa valutazione dei fatti, operazione preclusa in questa sede. Il ricorso deve pertanto essere respinto con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%5 ed oneri di legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater DPR numero 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13.