Contratti per la distribuzione esclusiva di carburanti e recesso

In tema di contratti di affidamento in uso gratuito delle attrezzature fisse e mobili finalizzate alla distribuzione in esclusiva dei carburanti I contratti si rinnovano automaticamente, per un periodo di uguale durata, salvo comunicazione del mancato rinnovo da inviare al gestore, nei primi 6 mesi dell’ultimo anno contrattuale. Il mancato rinnovo dopo il primo periodo contrattuale dovrà essere accompagnato dall’esplicitazione da parte del concessionario dell’autorizzazione dei motivi che lo hanno indotto ad assumere tale decisione .

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 20909/17, depositata il 7 settembre. Il caso. La Corte d’Appello respingeva la domanda, di una società petrolifera, di accertamento della cessazione del contratto di comodato e somministrazione stipulato con controparte e alla conseguente condanna di quest’ultima al rilascio dell’impianto, al pagamento della penale e al risarcimento del danno. Avverso tale pronuncia il soccombente ricorreva in Cassazione. Mancato rinnovo del contratto. Nel caso di specie la Corte ritiene applicabile quanto disposto dal d.lgs. n. 32/98, art. 1, in materia di razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti congiuntamente all’accordo collettivo 29.07.1997. In particolare il sopracitato accordo collettivo prevede che in riferimento ai contratti di affidamento in uso gratuito delle attrezzature fisse e mobili finalizzate alla distribuzione in esclusiva dei carburanti. I contratti in questione avranno durata di 6 mesi e al momento della stipula del primo contratto è previsto un periodo di prova di durata di 6 mesi che andrà a sommasi alla durata minima. I contratti si rinnovano automaticamente, per un periodo di uguale durata, salvo comunicazione del mancato rinnovo da inviare al gestore, nei primi 6 mesi dell’ultimo anno contrattuale. Il mancato rinnovo dopo il primo periodo contrattuale dovrà essere accompagnato dall’esplicitazione da parte del concessionario dell’autorizzazione dei motivi che lo hanno indotto ad assumere tale decisione . Dal dettato normativo in esame emerge che l’obbligo motivazionale sia vigente in relazione al primo rinnovo contrattuale e non anche per i successivi, in ordine anche una logica di maggior esborso economico sostenuto dal gestore nel periodo iniziale dell’attività. Non avendo, il ricorrente, dimostrato la presenza di nessuna clausola contrattuale che limitasse l’obbligo di motivazione in ordine al recesso la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 giugno – 7 settembre 2017, numero 20909 Presidente Bronzini – Relatore Pagetta Fatti di causa 1. La Corte di appello di Roma, pronunziando sull’appello principale di C.G. e sull’appello incidentale di Shell Italia s.p.a., in parziale riforma della decisione di primo grado, confermata nel resto, ha respinto la domanda della società intesa all’accertamento della cessazione, alla naturale scadenza del 19.4.2007, del contratto di comodato e somministrazione stipulato con C.G. - contratto relativo all’impianto di distribuzione del carburante di cui alla scrittura privata 20.10.2000 - ed alla conseguente condanna di controparte al rilascio dell’impianto, al pagamento della penale ed al risarcimento del danno. 1.1. La decisione di appello, per quel che ancora rileva, è stata fondata sulla genericità delle ragioni indicate nella lettera di recesso della società, affidate all’espressione motivi commerciali , alla stregua delle quali non poteva ritenersi assolto l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 2 dell’accordo interprofessionale del 29/7/1997 per l’ipotesi di mancato rinnovo del contratto alla prima scadenza è stato, quindi, ritenuto che il rilevato difetto di esplicitazione delle ragioni della disdetta contrattuale non poteva essere sanato dalla mancata attivazione della procedura di conciliazione, prevista dal richiamato accordo collettivo da parte del gestore dell’impianto, atteso che essa, comunque, non era idonea a precludere al gestore la possibilità di far valere, in un secondo momento, le proprie ragioni nell’ordinario giudizio di cognizione in ordine alla pretesa risarcitoria della Shell ha osservato che la relativa domanda, salvo quella relativa alla penale, non era mai stata specificata, neppure in prime cure dove si faceva riferimento ad un comportamento, mai emerso all’esito dell’istruttoria, contrario ai doveri contrattuali assunti da controparte. 2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Shell Italia s.p.a. nelle more poi denominatasi Kri S.p.a. sulla base di due motivi. 3. L’intimato ha resistito con tempestivo controricorso successivamente illustrato con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente denunzia violazione, errata o falsa applicazione dell’art. 1 d. lgs 11 febbraio 1998 numero 32 nonché degli artt. 2 e 3 dell’accordo interprofessionale 29.7.1997. Censura, in sintesi, la decisione argomentando che dalla lettura coordinata delle previsioni richiamate si evince, chiaramente, che l’obbligo del concessionario recedente, di esplicitazione delle ragioni inducenti alla risoluzione contrattuale era da porre in relazione alla facoltà del gestore di domandare chiarimenti e tentare la conciliazione della controversia in quella sede, facoltà, questa, pacificamente non esercitata dall’interessato. Evidenzia che tale lettura costituiva quella più consona ed adeguata alle necessità operativa delle aziende destinatarie della normativa, trattandosi di aziende esercenti imprese petrolifere nel mercato internazionale, particolarmente competitivo, a fronte del quale si imponeva la esigenza di massima riservatezza in merito ad iniziative commerciali tattiche e strategiche. 2. Con il secondo motivo deduce violazione errata o falsa applicazione dell’art. 12 Preleggi, degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., nell’interpretazione dell’art. 1 d. lgs numero 32/1998, degli artt. 2 e 3 accordo interprofessionale concessionari - gestori impianti per l’autotrazione in data 29.7.2007 e degli artt. 6 e 23 del contratto inter partes. Censura la decisione per non essersi attenuta all’interpretazione letterale e logica dell’art. 1 d. lgs numero 32/1998, come integrato dal rinvio legislativo agli artt. 2 e 3 dell’accordo interprofessionale, in consonanza con l’art. 6 comma 1 del contratto individuale. Assume l’errore della sentenza impugnata per avere riconosciuto al gestore il pieno diritto di disdetta solo se accompagnata da circostanziata e verificabile motivazione, così finendo con l’assimilare il rapporto in oggetto con quello di lavoro dipendente rappresenta, inoltre, che la possibilità di disdetta era espressamente contemplata dal contratto individuale. 3. Entrambi i motivi, esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati. 3.1. Il Decreto legislativo 11 febbraio 1998, numero 32 Razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti, a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera c , della legge 15 marzo 1997, numero 59. Ecologia all’art. 1, rubricato Norme per liberalizzare la distribuzione dei carburanti, comma sei, stabilisce che La gestione degli impianti può essere affidata dal titolare dell’autorizzazione ad altri soggetti, di seguito denominati gestori, mediante contratti di durata non inferiore a sei anni aventi per oggetto la cessione gratuita dell’uso di tutte le attrezzature fisse e mobili finalizzate alla distribuzione di carburanti per uso di autotrazione, secondo le modalità e i termini definiti dagli accordi interprofessionali stipulati fra le associazioni di categoria più rappresentative, a livello nazionale, dei gestori e dei titolari dell’autorizzazione. Gli altri aspetti contrattuali e commerciali sono regolati in conformità con i predetti accordi interprofessionali. I medesimi accordi interprofessionali si applicano ai titolari di autorizzazione e ai gestori essi sono depositati presso il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato che ne assicura la pubblicità. Gli accordi interprofessionali di cui al presente comma prevedono un tentativo obbligatorio di conciliazione delle controversie contrattuali individuali secondo le modalità e i termini ivi definiti. Il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, su richiesta di una delle parti, esperisce un tentativo di mediazione delle vertenze collettive. L’accordo collettivo 29.7.1997, pacificamente destinato a regolare la fattispecie in esame, evocato dall’odierna ricorrente nelle parti di pertinenza, al punto 2 prevede, con riferimento ai contratti di affidamento in uso gratuito delle attrezzature fisse e mobili finalizzate alla distribuzione in esclusiva dei carburanti, dei locali di ricovero del gestore nonché dei locali magazzino, richiamati al punto 1, che Tali contratti avranno durata sei anni. Al momento della stipula del primo contratto è previsto un periodo di prova della durata di sei mesi che andrà a sommarsi alla durata minima. I contratti si rinnovano automaticamente, per un periodo di uguale durata, salvo comunicazione del mancato rinnovo da inviare al gestore, nei primi sei mesi dell’ultimo anno contrattuale. Il mancato rinnovo dopo il primo periodo contrattuale dovrà essere accompagnato dall’esplicitazione da parte del concessionario /titolare dell’autorizzazione dei motivi che lo hanno indotto ad assumere tale decisione. In tal caso, su richiesta del gestore verrà avviato un tentativo di conciliazione al quale il concessionario /titolare dell’autorizzazione è tenuto ad aderire, da esperirsi all’interno della costituenda Camera della Professione . Al punto 5 dell’Accordo si prevede, inoltre, che Il mancato rinnovo alla prima scadenza contrattuale dovrà contenere l’indicazione della possibilità che il gestore ha di rivolgersi alla Camera della Professione . Durante il tentativo di conciliazione, a cui i concessionari /titolari dell’autorizzazione non potranno sottrarsi, le parti non assumeranno alcuna iniziativa giudiziaria. 3.2. Tanto premesso si osserva che dal chiaro tenore letterale delle disposizioni collettive, alle quali rinvia il decreto legislativo per la regolazione dei profili contrattuali e commerciali, diversi da quello attinente alla durata, fissata dalla legge inderogabilmente in sei anni, non è dato in alcun modo evincere, come, invece, sostenuto da parte ricorrente, che la verifica relativa alla esplicitazione delle ragioni alla base della disdetta, si collochi necessariamente ed esclusivamente nell’ambito della procedura conciliativa e solo in tale ambito possa essere fatta valere. 3.3. L’accordo collettivo in questione configura, infatti, l’obbligo di motivazione del mancato rinnovo contrattuale alla prima scadenza come requisito sostanziale di validità della disdetta intimata pertanto, non vi sono ragioni per affermare che la relativa violazione non possa essere denunziata, come avvenuto nel caso di specie, nell’ambito del processo ordinario di cognizione, attivabile indipendentemente dal previo ricorso alla procedura conciliativa la quale, peraltro, alla stregua dell’Accordo in esame, punto 5, costituisce una mera facoltà per il gestore dell’impianto, una volta ricevuta la comunicazione della disdetta di controparte. 3.4. In ordine alle censure sviluppate con il secondo motivo, è innanzitutto da premettere che parte ricorrente non allega, né tanto meno dimostra mediante riproduzione della eventuale pertinente clausola inserita nel contratto individuale che, in base all’accordo inter partes, il titolare della concessione /autorizzazione poteva recedere, dopo il primo rinnovo contrattuale, senza specificare le ragioni di tale scelta, dovendosi ritenere operante, quindi, la disciplina dettata dall’accordo collettivo che prescrive la esplicitazione dei motivi del mancato rinnovo. La previsione di siffatto obbligo motivazionale, sussistente, alla stregua dell’Accordo collettivo, solo per il caso di disdetta intimata dopo il primo periodo contrattuale e, quindi, non anche per la disdetta intimata dopo il primo rinnovo, appare, del resto, giustificata, in un’ottica di bilanciamento degli opposti interessi delle parti, dalla esigenza di maggior tutela del gestore in relazione agli specifici e maggiori oneri verosimilmente affrontati nella fase iniziale di gestione dell’impianto. Nella medesima prospettiva si spiega, del resto, la volontà delle parti collettive di sollecitare soluzioni conciliative mediante previsione dello specifico obbligo del recedente di rendere edotto il gestore, in relazione alla sola ipotesi di mancato rinnovo alla prima scadenza contrattuale, della possibilità di rivolgersi alla Camera della Professione per l’esperimento del tentativo di conciliazione. 4. In base alle considerazioni che precedono, rilevato che nessuna censura viene rivolta alla sentenza impugnata, per avere ritenuto l’obbligo in oggetto, non assolto dal mero riferimento ai motivi commerciali indicati nella lettera di disdetta, il ricorso deve essere respinto. 5. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.