Locazione di immobili: è attività commerciale ai fini previdenziali?

Il presupposto per l’iscrizione alla Gestione commercianti è lo svolgimento di un’attività commerciale da parte dell’interessato, non sussistente nel caso di una società di persone dedita all’attività di locazione di immobili di sua proprietà e alla riscossione dei canoni di locazione.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20236/17 depositata il 21 agosto. Il caso. La pronuncia in oggetto definisce la controversia sorta tra una lavoratrice e l’INPS, avente ad oggetto l’opposizione della donna all’avviso di addebito per pagamento di contributi alla Gestione commercianti emesso dall’Istituto. I giudici di primo e secondo grado accoglievano l’opposizione dichiarando non dovute le somme portate nell’avviso di addebito, decisioni a cui segue il ricorso per cassazione presentato dall’INPS. Natura dell’attività. Richiamando il consolidato orientamento in materia, i Supremi Giudici ricordano che il presupposto per l’iscrizione alla Gestione commercianti è lo svolgimento di un’attività commerciale da parte dell’interessato, condizione non sussistente nel caso di specie posto che la donna ricopriva il ruolo di amministratore in una società di persone dedita all’attività di locazione di immobili di sua proprietà e alla riscossione dei canoni di locazione, attività che ai fini previdenziali non può qualificarsi come commerciale. In tale contesto non assume rilevanza in sé il contenuto dell’oggetto sociale, ma l’attività concretamente svolta e, dunque, diviene irrilevante che ad esercitare l’attività di godimento di un bene sia una società commerciale, salvo che si dia prova che costituisca attività commerciale di intermediazione immobiliare . Constatando infine che il giudice di merito ha correttamente applicato tali principi al caso di specie, la Corte rigetta il ricorso dell’INPS.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 21 giugno – 21 agosto 2017, n. 20236 Presidente Curzio – Relatore Doronzo Fatto e diritto Rilevato che 1. P.S. ha proposto opposizione contro l’avviso di addebito avente ad oggetto il pagamento di contributi da versare alla Gestione commercianti dell’Inps per gli anni 2005-2013 2. Il Tribunale di Bologna ha accolto l’opposizione e, per l’effetto, ha dichiarato non dovute le somme portate nell’avviso di addebito 3. la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 5/8/2015, ha rigettato l’appello dell’Inps, ritenendo insussistenti i requisiti per l’iscrizione della P. nella Gestione commercianti ha osservato la Corte che la società Fer Menetti s.n.c. di V.M. & amp c., di cui l’opponente era socia amministratrice, aveva cessato l’attività commerciale e dal 1/1/2003 si era limitata alla gestione dei beni aziendali, concessi in locazione a terzi 3. l’Inps propone ricorso per la cassazione di tale sentenza la P. deposita procura al solo fine di partecipare alla discussione orale 4. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata. 5. il Collegio dispone la redazione della motivazione in forma semplificata. Considerato che 1. con il ricorso in esame l’Inps deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1, comma 202, 203 e 208 l. n. 662/1996 e 3 L. n. 45/1986 2. il ricorso è inammissibile ex art. 360 bis, n. 1, cod.proc.civ. anche alla luce di Cass. Sez. Un. 21/3/2017, n. 7155 , in quanto il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare l’orientamento espresso in fattispecie del tutto sovrapponibili al caso in esame cfr. Cass. ord., 11/2/2013, n. 3145 Cass. 6.9.2016 n. 17643 Cass. 25/8/2016, n. 17328 3. presupposto per l’iscrizione alla gestione commercianti, in forza dell’art. 1, comma 203, della L. n. 662 del 1996, che ha modificato l’art. 29 della L. n. 160 del 1975, e dell’art. 3 della L. n. 45 del 1986, è lo svolgimento da parte dell’interessato di attività commerciale 4. la società di persone che svolge un’attività volta alla locazione di immobili di sua proprietà e alla riscossione dei canoni di locazione non svolge un’attività commerciale ai fini previdenziali, a meno che essa non si inserisca in una più ampia di prestazione di servizi quale l’attività di intermediazione immobiliare Cass. ord., 11/2/2013, n. 3145 Cass. n. 17643/2016, cit. Cass. ord., 16/12/2016, n. 25017 5. non rileva di per sé il contenuto dell’oggetto sociale, ma si deve considerare lo svolgimento in concreto di un’attività commerciale Cass. n. 25017/2016, cit. 6. diviene dunque irrilevante che ad esercitare l’attività di godimento del bene sia una società commerciale Cass. n. 3145/2013, cit. , salvo che si dia prova che costituisca attività commerciale di intermediazione immobiliare Cass. n. 845 del 2010 7. l’eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento, in implicito contrasto con il disposto dell’art. 2248 c.c., non può trovare una sanzione indiretta nel riconoscimento di un obbligo contributivo di cui difettino i presupposti propri, per come sopra ricostruiti 8. la verifica della sussistenza di requisiti di legge è compito del giudice di merito, fermo restando che l’onere probatorio grava sull’ente previdenziale, tenuto a provare i fatti costitutivi dell’obbligo contributivo cfr. ex multis Cass., 20/4/2002, n. 5763 Cass., 6/11/2009, n. 23600 9. la Corte territoriale, in coerenza con i principi regolatori della materia, ha espresso il suo convincimento con motivazione adeguata ed immune da vizi, rilevando che l’attività svolta dalla società era limitata al godimento dell’immobile di cui era proprietaria, e non anche all’attività di intermediazione 10. dal rigetto del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, in considerazione della limitata attività difensiva svolta dalla parte intimata 11. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna l’Inps al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1000,00 per compensi professionali e Euro 100 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.