Tira una testata al collega…è licenziamento per giusta causa

Qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa, consistente in una pluralità di fatti, ciascuno di essi autonomamente costituisce una base idonea per giustificare la sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse non provi che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, essi sono tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 18836/17, depositata il 28 luglio. Il caso. La Corte d’Appello, in continuità con quanto disposto dal Tribunale di primo grado, respingeva l’impugnativa di licenziamento disciplinare sollevata dal lavoratore. La Corte riteneva sussistente l’addebito al lavoratore consistente nell’aver aggredito un collega dapprima verbalmente e successivamente con un colpo di testa inferto al volto. Tale comportamento integrava la giusta causa di licenziamento per lesione immediata del vincolo fiduciario. Avverso tale pronuncia il lavoratore ricorre in Cassazione. Licenziamento per giusta causa. In relazione alla doglianza secondo la quale, il lavoratore era stato licenziato per una serie di addebiti, mentre i giudici di merito ne avevano ritenuto fondato solo uno, secondo la Cassazione, è da applicarsi il principio secondo il quale qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa, consistente in una pluralità di fatti, ciascuno di essi autonomamente costituisce una base idonea per giustificare la sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse non provi che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, essi sono tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro . Non era neppure onere del datore di lavoro provare che aveva licenziato il dipendente per le sole condotte addebitate, ma era al contrario onere del lavoratore dimostrare che le condotte integrassero un giusto licenziamento solo se congiuntamente esaminate, nel caso di specie è da ritenersi, inoltre, che, anche una sola delle stesse, sia idonea a giustificare il recesso. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 aprile – 28 luglio 2017, n. 18836 Presidente Nobile – Relatore Amendola Fatti di causa 1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 11.2.2015, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento disciplinare del 26 marzo 2009 proposta da P.L. nei confronti di Carpoint Spa. La Corte territoriale ha ritenuto, conformemente al primo giudice, sussistente l’addebito contestato al lavoratore, consistente nell’avere aggredito dapprima verbalmente, poi fisicamente con un colpo di testa inferto al volto , un collega, suscitando la reazione di questi, che lo aveva spintonato, forse anche per allontanarlo da sé . Ha ritenuto, pertanto, integrata la giusta causa di licenziamento con lesione irrimediabile del vincolo fiduciario, perché il contrasto che sfoci nell’aggressione fisica, oltre che verbale, non può non incidere sulla vita aziendale, in quanto idoneo a scuotere la serenità e la normalità dei rapporti di colleganza tra i lavoratori e di collaborazione tra questi e il datore di lavoro . 2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso P.L. con due motivi. Ha resistito la società con controricorso. Parte ricorrente ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c., irritualmente corredata dalla fotocopia di atti processuali la cui produzione non è consentita da detta disposizione cfr. ad ex. Cass. n. 26670 del 2014, in motivazione . 3. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la stesura della motivazione in forma semplificata. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 112 c.p.c., 1175, 1375, 2106, 2119, 139 CCNL e 7 l. n. 300 del 1970, criticando la sentenza impugnata per non aver rilevato che il P. era stato licenziato per un complesso di addebiti, mentre i giudici del merito ne avevano ritenuto fondato solo uno. Lamenta che in nessun punto degli atti difensivi di primo grado si afferma che ciascuno dei fatti contestati, considerati singolarmente e non congiuntamente, poteva/doveva essere considerato idoneo a costituire giusta causa di risoluzione del rapporto . Sostiene che la Corte di Appello avrebbe violato il principio della immodificabilità della contestazione e della domanda . Il motivo è privo di fondamento, avendo la Corte di Appello correttamente applicato il principio secondo cui qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa, consistente non in un fatto singolo ma in una pluralità di fatti, ciascuno di essi autonomamente costituisce una base idonea per giustificare la sanzione, a meno che colui che ne abbia interesse non provi che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, essi sono tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro ne consegue che, salvo questo specifico caso, ove nel giudizio di merito emerga l’infondatezza di uno o più degli addebiti contestati, gli addebiti residui conservano la loro astratta idoneità a giustificare il licenziamento Cass. n. 454 del 2003 Cass. n. 24574 del 2013 Cass. n. 12195 del 2014 . Non era dunque il datore di lavoro a dover provare che aveva licenziato solo per il complesso delle condotte addebitate, bensì era la parte che ne aveva interesse, e cioè il lavoratore, a dover provare che solo presi in considerazione congiuntamente, per la loro gravità complessiva, i singoli episodi fossero tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro mentre la Corte territoriale ha correttamente valutato che anche l’unico addebito ritenuto effettivamente sussistente manteneva la sua idoneità a giustificare il recesso. 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione artt. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., 2119 c.c., 139 CCNL, 7 l. 300/70 , censurando la metodologia con cui le prove raccolte nei gradi di merito sono state poste a fondamento della decisione, con riguardo soprattutto alla comparazione e al giudizio di attendibilità che, invece, non sono stati affatto compiuti . Il motivo è inammissibile perché censura la ricostruzione della vicenda storica come concordemente effettuata nel doppio grado di giudizio, denunciando inadeguatezza motivazionali non più sindacabili nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., senza rispettare gli enunciati prescritti da Cass. SS.UU. n. 8053 e 8054 del 2014 principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici . 3. Conclusivamente il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo. Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.