I contributi figurativi non sono utili per il conseguimento del diritto alla pensione d’anzianità

La Cassazione rileva che mentre i contributi derivanti da prestazione di attività lavorativa sono utili sia per la misura della pensione, sia per il diritto, i contributi figurativi, non sono utili ai fini del conseguimento del diritto alla pensione di anzianità.

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 18192/17, depositata il 24 luglio. Il caso. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava il diritto di una contribuente al cumulo integrale del trattamento pensionistico di anzianità con il reddito di lavoro autonomo. L’INPS, che aveva negato il diritto al cumolo, a causa della carenza della ricorrente di un’anzianità contributiva pari o superiore a 37 anni ne aveva 35 , oltre all’età anagrafica di 58 anni, ricorreva in Cassazione. L’Istituito denunciava la violazione dell’art. 44 l. n. 289/02 e art. 72 l. n. 388/00. Il quadro normativo. La Cassazione rileva che, in merito alle modalità di computo dell’anzianità contributiva, è da esaminarsi il quadro normativo vigente disciplinato dall’art. 72 l. n. 388/00 che disciplina il cumulo tra pensione e reddito da lavoro e l’art. 44 l. n. 289/02 che disciplina l’abolizione del divieto di cumulo tra pensioni di anzianità e redditi di lavoro. In merito la Corte afferma che i contributi figurativi costituiscono una sorta di copertura fittizia per periodi in cui si è verificata una interruzione o una riduzione dell’attività lavorativa, con conseguente non versamento dei contributi obbligatori. In questi casi la legge individua tassativamente le ipotesi nelle quali i contributi figurativi possono essere accreditati d’ufficio o su domanda del lavoratore. Il cumulo tra pensione e reddito da lavoro. Va rilevato a riguardo che, mentre i contributi derivanti da prestazione di attività lavorativa sono utili sia per la misura della pensione sia per il diritto, i contributi figurativi, non sono utili ai fini del conseguimento del diritto alla pensione di anzianità. Per cui, la disciplina relativa ai contributi figurativi è da ritenersi una regola eccezionale, consistente nel ritenere utili, ai fini pensionistici, periodi per i quali non sono stati versati contributi assicurativi, per cui andrà applicata nei soli casi previsti. Nella fattispecie in esame, l’art. 44 non contiene la specificazione che i contributi da prendere in considerazione siano quelli effettivi, ma d’altra parte non contiene neppure un’esplicita affermazione della possibilità di includere i contributi figurativi nel calcolo dell’anzianità utile per godere del cumulo tra pensione d’anzianità e il reddito da lavoro autonomo. Deve quindi condividersi, secondo la Corte, l’argomentazione sostenuta dall’INPS, secondo la quale, per pensione di anzianità dovrà intendersi quella costituita dalla sola contribuzione effettiva e che, pertanto, quando l’art. 44 l. n. 289/02 richiama, ai fini della deroga al divieto di cumulo della pensione di anzianità con i redditi da lavoro, un’anzianità contributiva di 37 anni non può che riferirsi ai contributi utili ai fini del conseguimento della stessa pensione di anzianità oggetto della norma . Per questi motivi la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda originaria della contribuente.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 aprile – 24 luglio 2017, n. 18192 Presidente Mammone – D’Antonio Fatti di causa La Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale, ha dichiarato il diritto di C.C. al cumulo integrale del trattamento pensionistico di anzianità con il reddito di lavoro autonomo. L’Inps aveva negato il diritto al cumulo in quanto aveva affermato che esso richiedeva necessariamente il possesso di un’anzianità contributiva pari o superiore a 37 anni, oltre all’età anagrafica di 58 anni al momento del pensionamento, ipotesi non sussistente per la ricorrente che,al momento del pensionamento, godeva di un anzianità effettiva di soli 35 anni non potendosi computare i contributi figurativi. Secondo la Corte, invece, la ricorrente al momento del pensionamento aveva i requisiti previsti dall’articolo 44, comma 1, della legge 289 del 2002 in quanto la normativa vigente, nell’indicare il requisito dell’anzianità contributiva di 37 anni,non distingueva tra contributi effettivi e contributi figurativi, tra contribuzione utile ai fini del diritto alla pensione e contribuzione utile ai fini della misura del trattamento di quiescenza, essendo sufficiente che la contribuzione complessiva fosse pari o superiore a 37 anni e restando irrilevante che la contribuzione figurativa fosse stata di fatto considerata o meno per il conseguimento della pensione,diversamente il legislatore lo avrebbe dovuto precisare. Avverso la sentenza ricorre l’Inps con un motivo. Resiste la C. . Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cpc. Ragioni della decisione Con un unico motivo l’Inps denuncia violazione dell’art. 44 della legge n. 289 del 2002 e dell’art. 72 della legge n. 388 del 2000. Censura l’affermazione della Corte d’appello secondo cui la ricorrente,al momento del pensionamento, aveva i requisiti previsti dall’articolo 44, comma 1, della legge 289 del 2002 e,cioè,il requisito anagrafico di 58 anni e quello contributivo di 37 anni e 7 mesi dovendosi, in quest’ultimo, essere ricompresi i contributi figurativi di cui aveva beneficiato. Osserva, con riferimento alla pensione di anzianità di cui godeva la ricorrente, che l’articolo 13 della legge n. 903 del 1965 richiede espressamente che la contribuzione sia effettiva e che, pertanto, quando l’articolo 44 citato richiama, ai fini della deroga al divieto di cumulo della pensione di anzianità con i redditi da lavoro, un’anzianità contributiva di 37 anni non può che riferirsi ai contributi utili ai fini del conseguimento della stessa pensione di anzianità oggetto della norma. Il motivo è fondato. Le argomentazioni formulate dall’Istituto previdenziale risultano maggiormente rispondenti al complessivo dettato legislativo. L’art. 72 della L. n. 388/2000, che disciplina il cumulo tra pensione e reddito da lavoro, ha previsto in generale che A decorrere dal 1 gennaio 2001 le pensioni di vecchiaia e le pensioni liquidate con anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, anche se liquidate anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e dipendente . L’art. 44 della L. n. 289/2002 Abolizione del divieto di cumulo tra pensioni di anzianità e redditi da lavoro ha modificato parzialmente la disciplina prevedendo al primo comma che A decorrere dal 10 gennaio 2003, il regime di totale cumulabilità tra redditi da lavoro autonomo e dipendente e pensioni di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, previsto dall’articolo 72, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, è esteso ai casi di anzianità contributiva pari o superiore ai 37 anni a condizione che il lavoratore abbia compiuto 58 anni di età . Il secondo comma ha poi disciplinato l’ipotesi di coloro che alla data del 1/12/2002 siano già pensionati di anzianità e nei cui confronti trovino applicazione i regimi di divieto parziale o totale di cumulo. A favore di questi ha previsto la possibilità di accedere al regime di totale cumulabilità di cui al comma 1 a decorrere dal 10 gennaio 2003 versando un importo pari al 30 per cento della pensione lorda relativa al mese di gennaio 2003 . La questione sottoposta all’esame di questo Collegio attiene alle modalità di computo dell’anzianità contributiva pari a 37 anni che,unitamente all’età di 58 anni, consente la cumulabilità integrale della pensione di anzianità con i redditi da lavoro autonomo e cioè se possa o meno computarsi la contribuzione figurativa di cui ha beneficiato la ricorrente. Nella specie è pacifico che la C. è stata collocata a riposo sulla base di 35 anni di anzianità contributiva effettiva utili ai fini del diritto a pensione, nonché contribuzione figurativa per malattia e disoccupazione utile ai fini della misura della pensione, ma non del diritto. È noto che i contributi figurativi costituiscono una sorta di copertura fittizia per periodi in cui si è verificata una interruzione o una riduzione dell’attività lavorativa e di conseguenza non c’è stato il versamento dei contributi obbligatori da parte del datore di lavoro, né del lavoratore restando totalmente a carico della gestione previdenziale. La legge individua tassativamente le ipotesi nelle quali i contributi figurativi, possono essere accreditati d’ufficio per i periodi durante i quali i lavoratore fruisce della indennità di mobilità, di cassa integrazione, di disoccupazione, per i periodi di godimento delle prestazioni di invalidità quali assegno ordinario di invalidità e pensione seppur a determinate condizioni , o su domanda del lavoratore, senza alcun costo per l’assicurato. L’accredito di questi eventi è, pertanto,obbligatorio in quanto discende da una specifica disposizione di legge. In altri casi i contributi figurativi possono essere accreditati, invece,a domanda dell’interessato per es. il servizio militare, il congedo per maternità,ed altre ipotesi specificamente previste . L’accredito, in questo caso, ha natura facoltativa in quanto spetta all’assicurato decidere se chiedere l’accredito di tali eventi sul proprio conto assicurativo. Va, altresì sottolineato che mentre i contributi derivanti dalla prestazione di attività lavorativa sono utili sia per la misura della pensione, sia per il diritto, i contributi figurativi, ad eccezione del servizio militare ed altri specificamente previsti, invece,non sono utili ai fini del conseguimento del diritto alla pensione di anzianità. La disciplina relativa ai contributi figurativi costituisce una regola eccezionale, consistente nel ritenere utili,ai fini di pensione,periodi per i quali non sono stati versati contributi assicurativi, sicché non può che applicarsi nei soli casi da esso stesso previsti in tal senso, con riferimento ai coltivatori diretti, Cass., 26 gennaio 1990, n. 491 . Ciò del resto risponde ad una regola generale nell’ambito dell’ordinamento previdenziale, secondo cui vi deve essere corrispondenza della posizione assicurativa allo svolgimento della prestazione lavorativa, per cui non è possibile un incremento della prima, ancorché già costituita, quando manchi la prestazione lavorativa Cass., 4 aprile 2001, n. 5027 Cass., 17 novembre 1997, n. 11411 . Nella fattispecie in esame se, da un lato, l’art. 44 citato non contiene la specificazione che i contributi da prendere in considerazione siano solo quelli effettivi dall’altro lato neppure contiene un’esplicita affermazione della possibilità di includere i contributi figurativi nel calcolo dell’anzianità utile per godere del cumulo tra la pensione d’anzianità e il reddito da lavoro autonomo. Risulta significativo e dirimente l’argomento esposto dall’Inps secondo cui la pensione di anzianità cui l’art. 44 citato si riferisce non può che essere quella che,secondo l’articolo 13 della legge n. 903 del 1965, è costituita dalla sola contribuzione effettiva e che, pertanto, quando l’articolo 44 citato richiama, ai fini della deroga al divieto di cumulo della pensione di anzianità con i redditi da lavoro, un’ anzianità contributiva di 37 anni non può che riferirsi ai contributi utili ai fini del conseguimento della stessa pensione di anzianità oggetto della norma. In sostanza la ricorrente è stata collocata a riposo con un’anzianità di 1856 settimane, inferiore a quella prevista dalla legge per godere del cumulo integrale tra detta pensione ed il reddito da lavoro. Tale argomento non è superabile attraverso il solo richiamo all’assenza nella norma di cui all’ad 44 citato di ulteriori specificazioni dovendosi in generale escludere una totale equiparazione tra contributi effettivi e quelli figurativi. Ulteriore significativo argomento è quello desumibile dal secondo comma dell’art. 44 citato che disciplina l’ipotesi di coloro che alla data del 1/12/2002 siano già pensionati di anzianità e nei cui confronti trovino applicazione i regimi di divieto parziale o totale di cumulo. A favore di questi la norma prevede la possibilità di accedere al regime di totale cumulabilità di cui al comma 1 a decorrere dal 10 gennaio 2003 versando un importo pari al 30 per cento della pensione lorda relativa al mese di gennaio 2003 . Anche sotto tale profilo la tesi sostenuta dall’Istituto previdenziale appare maggiormente rispondente alla normativa. Per le considerazioni che precedono il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originaria domanda della C. . Stante la novità della questione trattata e l’assenza di precedenti specifici, sussistono giusti motivi per compensare le spese di causa. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originaria domanda della C. . Spese compensate dell’intero processo.