Per versare i contributi non serve conoscere il nome dei lavoratori

Il datore di lavoro non può pretendere di sottrarsi al versamento dei contributi dovuti semplicemente sostenendo di non conoscere il nominativo dei lavoratori che ha utilizzato a tal fine basta individuare il numero dei lavoratori impiegati e la base imponibile dei contributi per i periodi di utilizzazione.

A stabilirlo è la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 17355/17, depositata il 13 luglio. Il fatto. L’Inps impugnava la sentenza con cui, in primo grado, era stata accolta l’opposizione di una srl contro un verbale di accertamento redatto da alcuni ispettori dell’Istituto di Previdenza per il recupero dei contributi previdenziali relativi a lavoratori assunti per il tramite di altri soggetti, violando il divieto di intermediazione di manodopera. La Corte d’Appello di Brescia dà ragione all’INPS e afferma la sussistenza di un rapporto di fornitura di manodopera tra un gruppo consortile di imprese associate e la srl che, quindi, ricorre in Cassazione. Quando c’è intermediazione di manodopera? La Corte di Cassazione conferma la natura apparente del contratto di appalto intercorso tra la ricorrente e il gruppo consortile a cui non faceva capo una reale struttura imprenditoriale e alcun rischio di impresa né era presente personale qualificato che si occupasse, nelle varie aziende, di impartire direttive alla manodopera inviata. Un caso di intermediazione di manodopera a tutti gli effetti, dunque. Per versare i contributi il nome dei lavoratori non serve. La srl contesta, inoltre, la mancata indicazione, nella sentenza d’Appello, delle generalità dei lavoratori cui si riferiscono i contributi omessi. Anche questa censura non è condivisibile per prima cosa, i lavoratori assunti dal gruppo consortile e inviati nelle varie imprese erano assicurati all’INPS che, pertanto, può ricostruire le vicende dei rapporti da loro intrattenuti col somministratore abusivo tramite i libri matricola e paga. A ciò si aggiunge che i contributi vanno computati sul dovuto e non su quanto percepito dal lavoratore, se inferiore al minimale. Ne consegue che il datore di lavoro non può pretendere di sottrarsi al versamento dei contributi dovuti semplicemente sostenendo di non conoscere il nominativo dei lavoratori che ha utilizzato a tal fine basta individuare il numero dei lavoratori impiegati e la base imponibile dei contributi per i periodi di utilizzazione. Alla luce di quanto detto la Suprema Corte respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 febbraio – 13 luglio 2017, numero 17355 Presidente D’Antonio – Relatore Doronzo Fatti di causa 1. Con sentenza pubblicata il 22 febbraio 2011, la Corte d’appello di Brescia ha accolto l’impugnazione proposta dall’Inps contro la sentenza resa dal giudice di primo grado che, su ricorso della Elettroorobica s.r.l., aveva accolto l’opposizione da questa proposta contro il verbale di accertamento del 6/2/2007, redatto da ispettori dell’Inps e avente per oggetto il recupero dei contributi previdenziali relativi a lavoratori assunti per il tramite di altri soggetti, in violazione del divieto di intermediazione di manodopera. 2. La Corte territoriale ha ritenuto che tra il Gruppo consortile di imprese associate e la società appellante fosse intercorso un rapporto di fornitura di manodopera, e non già un contratto di appalto. Quanto alla impossibilità di individuare i nominativi dei lavoratori inviati, la Corte ha ritenuto irrilevante tale circostanza, in ragione del fatto che presso la gestione Inps dei lavoratori dipendenti risultano comunque aperte le varie posizioni dei lavoratori sulle quali confluiranno i contributi, peraltro calcolati sulla base dei minimali per il più basso livello retributivo. Contro la sentenza, la società propone ricorso per cassazione fondato su quattro motivi, cui resiste l’Inps con controricorso. Ragioni della decisione A. Preliminarmente, deve rigettarsi l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione sollevata dal controricorrente. Risulta dallo stesso ricorso pag. 30 , oltre che dallo stesso controricorso, che la sentenza della corte d’appello è stata notificata all’odierna ricorrente in data 30 marzo 2011. Il ricorso per cassazione è stato avviato per la notifica, mediante consegna all’ufficiale giudiziario, il 30 maggio 2011 e la notificazione si è perfezionata in pari data. Vi è stato dunque il rispetto del termine breve per impugnare previsto dall’art. 325 cod.proc.civ., considerato che il sessantesimo giorno, ossia il 29 maggio 2011, cadeva di domenica e trovando applicazione l’art. 155, comma 4, cod.proc.civ., a norma del quale se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno successivo non festivo . 1. Con il primo motivo la società lamenta la violazione dell’art. 1 della L. legge 23 ottobre 1960, numero 1369, rilevando che l’attività svolta dagli operatori del Gruppo consortile era quella tipica di facchinaggio, lecita ai sensi dell’art. 3 e 5, lett. g della citata legge. 1.1. Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata afferma che i lavoratori inviati dal Gruppo consortile all’odierna ricorrente come ad altre imprese venivano utilizzati nell’attività di produzione o in attività accessorie promiscuamente ai dipendenti delle società utilizzatrici, e che, nel caso in esame, i lavoratori inviati dal consorzio erano stati impegnati in operazioni normalmente eseguite dai dipendenti della Elettroorobica, impiegati in quel periodo in altre attività disimballaggio e collocazione dei materiali in prossimità della linea di montaggio di quadri elettrici . In nessuna parte della sentenza vi è cenno ad attività di facchinaggio, né la ricorrente deduce in quale atto, in che termini ed in quale fase del processo tale circostanza sarebbe stata sottoposta alla cognizione del giudice del merito. Sotto questo profilo, il motivo è affetto da genericità non rispettando il disposto dell’art. 366, comma 1, numero 4 e 6, cod.proc.civ., ed è pertanto inammissibile. 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio e si duole del giudizio della Corte circa la natura fittizia dei contratti di appalto tra il Gruppo consortile ed essa ricorrente in mancanza di accertamenti diretti nei suoi confronti nonché sul tipo di attività in concreto svolta dai lavoratori, essendosi l’attività accertativa limitata alle attività del Consorzio. 2.1. Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto meramente apparente il contratto di appalto intercorso tra la ricorrente e il Gruppo consortile, in ragione dell’inesistenza in capo al consorzio di una reale struttura imprenditoriale, dell’assenza di un rischio di impresa e di personale qualificato che si occupasse, nelle varie aziende, di impartire direttive alla manodopera inviata ha altresì accertato, anche attraverso la prova testimoniale assunta, la natura subordinata dei rapporti di lavoro tra la Elettroorobica s.r.l. e i lavoratori inviati, attese le modalità con cui questi venivano richiesti e impiegati nell’attività aziendale. La motivazione è senz’altro sussistente, non si ravvisano le insufficienze lamentate, né infine sono riscontrabili incongruenze. 3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ. e censura la sentenza nella parte in cui ha attribuito alla Elettroorobica l’onere della prova. 3.1. Il motivo non può trovare accoglimento. L’affermazione - che pur si legge nella sentenza impugnata, secondo cui in caso di azione di accertamento negativo è onere della parte istante offrire la prova contraria della subordinazione - è in contrasto con i principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui nel giudizio promosso dal contribuente per l’accertamento negativo del credito previdenziale, incombe all’INPS l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa contributiva Cass. 6/09/2012, numero 14965 . 3.2. Il principio vale anche quando l’Istituto previdenziale è convenuto in un giudizio di accertamento negativo poiché, in tema di riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, con la conseguenza che la sussistenza del credito contributivo dell’INPS, preteso sulla base di verbale ispettivo, deve essere comprovata dall’Istituto con riguardo ai fatti costitutivi Cass. 10/11/2010, numero 22862 . 3.3. Tuttavia, l’erroneità dell’affermazione in diritto non è tale da condurre alla cassazione della sentenza, giacché è evidente che essa è stata fatta ad abundantiam, per corroborare il giudizio circa la natura subordinata dei rapporti di lavoro, al quale la Corte era già pervenuta sulla base delle emergenze istruttorie in atti accertamenti compiuti in sede ispettiva dall’Inps e prova testimoniale . 3.4. Il valore non decisivo dell’affermazione si evince con chiarezza dal suo tenore, e in particolare dall’uso della locuzione in ogni caso e in ogni caso poiché è stata proposta un’azione di accertamento negativo dalla Elettroorobica, l’onere della prova contraria gravava su quest’ultima così a pag. 5 della sentenza , e dalla sua collocazione, tra parentesi e dopo l’esaurimento del ragionamento decisorio sulla natura subordinata dei rapporti di lavoro. 3.5. La natura di mero obiter dictum del passaggio argomentativo lo priva di ogni influenza sul dispositivo essendo improduttivo di effetti giuridici, sicché esso non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse Cass. 22/11/2010, numero 23635 Cass. 5/6/2007, numero 13068 Cass. 28/3/2006, numero 7074 da ultimo, Cass. 22/10/2014, numero 22380 . 4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2697 cod.civ., nella parte in cui la sentenza non ha tratto dalla mancata indicazione delle generalità dei lavoratori, cui si riferiscono i contributi omessi, l’insussistenza del diritto dell’Inps. Il motivo è infondato. Come risulta dalla sentenza impugnata, sono stati identificati i lavoratori che hanno lavorato nei periodi oggetto di accertamento per il Gruppo consortile. La mancanza di una specifica indicazione del numero e del nominativo dei lavoratori inviati in forza dei singoli contratti di appalto alle varie imprese utilizzatrici, tra cui l’odierna ricorrente, è stata ritenuta dalla Corte territoriale irrilevante, in ragione della correttezza delle modalità di calcolo dei contributi, effettuato dall’Inps sulla base degli importi delle fatture al netto di iva emesse dal Gruppo consortile in favore della società Elettroorobica, divisi per la tariffa media oraria applicata al cliente e desunta dai tariffari reperiti presso la sede del Gruppo consortile , sì da determinare il numero di ore lavorate sulla base di tale monte ore sono state poi applicate le retribuzioni orarie previste dal CCNL di settore per l’operaio di livello più basso. Posto che, in ogni caso, i contributi vanno computati sul dovuto e non su quanto percepito dal lavoratore , se inferiore al minimale, e rilevato che i contributi sono stati correlati alla retribuzione minima per la qualifica più bassa prevista della contrattazione collettiva, appare del tutto inammissibile per difetto di interesse la censura prospettata per il vero genericamente sotto il profilo del quantum dalla ricorrente, giacché è pacifico - e comunque non risulta neppure dedotto - che la ricorrente non avrebbe potuto pagare contributi inferiori rispetto a quelli calcolati dall’Inps. Inoltre, come si è detto, i lavoratori assunti dal Gruppo consortile, e di volta in volta inviati alle varie imprese, sono stati nominativamente individuati in quanto dipendenti della impresa fornitrice e per questo assicurati all’INPS anche in virtù dei principi di obbligatorietà, indisponibilità ed automaticità del rapporto previdenziale . Ne consegue l’infondatezza della tesi, riassunta nel quesito di diritto formulato al termine del motivo, secondo cui l’INPS procederebbe ad incamerare i contributi in oggetto in maniera indistinta senza che si conoscano i nomi dei beneficiari tale operazione, in presenza di totale omissione del datore di lavoro reale come qui si è verificata sia nel pagamento dei contributi, sia nella trasmissione delle necessarie informazioni , può essere facilmente compiuta dall’Inps, attraverso la ricostruzione delle vicende dei rapporti che ciascun lavoratore intratteneva con il somministratore abusivo in base ai documenti obbligatori libri matricola e paga e considerando gli appalti intervenuti nel corso del tempo coi vari utilizzatori tenuti al versamento dei contributi. Si tratta di un’operazione da effettuarsi alla luce della concezione solidaristica riconosciuta da Cass. 1589/2004 e riaffermata anche dalle Sezioni Unite numero 12269/2004 cui è improntato il sistema previdenziale sotto molteplici aspetti criterio di ripartizione, assenza di sinallagmaticità, natura giuridica dei contributi, minimi e massimi pensionistici, ecc. e tenendo conto del rapporto giuridico intercorrente esclusivamente tra lo stesso istituto previdenziale ed i lavoratori assicurati. È stata infatti affermata dalla giurisprudenza di questa Corte Sez. U., 18/12/2009, numero 26641 Sez. U., 2/7/2007, numero 14953 la tesi secondo cui, in relazione al rapporto giuridico previdenziale con l’INPS, L’antica concezione sulla natura trilaterale del rapporto assicurativo intercorrente tra assicurante, assicurato ed ente assicuratore Cass. 18 luglio 1979 numero 4227 è attualmente superata dalle convergenti dottrina e giurisprudenza Cass. 3 luglio 2004 numero 12213 , che individua tre rapporti bilaterali quello tra datore di lavoro ed ente previdenziale per la provvista finanziaria attraverso i contributi quello tra il lavoratore ed ente previdenziale per le prestazioni quello del lavoratore con il datore di lavoro, stante l’interesse del primo all’adempimento dell’obbligazione contributiva. Ciò a causa della necessaria distinzione del rapporto assicurativo, che ha esclusiva fonte nella legge, dal rapporto di lavoro, che ha fonte in un atto negoziale o in un provvedimento amministrativo, e la conseguente natura soltanto incidentale degli accertamenti relativi al secondo Cass. Sez. Unumero 5 febbraio 1991 numero 1076 13 luglio 1993 numero 7704 . In forza di tale principio, deve escludersi che le vicende di un rapporto bilaterale si ripercuotano sempre automaticamente sull’altro e, per quanto qui rileva, che l’adempimento tecnico amministrativo di imputazione dei contributi in favore dei lavoratori nei confronti di lavoratori non individuati, ma individuabili possa incidere sull’esistenza dell’obbligazione datoriale che sta a monte. Questa conclusione è confortata anche da evidenti ragioni logico sistematiche, a carattere costituzionale artt. 3 e 38 Cost. , non potendo dubitarsi, infatti, della totale irrazionalità di un sistema che riconoscesse al datore di lavoro di potersi sottrarre all’assolvimento dei contributi dovuti solo sostenendo di non conoscere il nominativo dei lavoratori che ha utilizzato. Alla luce di tali principi, la questione dell’imputazione soggettiva dei contributi ai singoli lavoratori da parte dell’INPS non rileva nel rapporto contributivo con il datore di lavoro, il quale - una volta individuato il numero dei lavoratori impiegati e la base imponibile dell’obbligazione contributiva per i periodi di utilizzazione - non ha titolo ed interesse a lamentare la mancata identificazione nominativa dei beneficiari di contributi che è comunque obbligato a versare nella misura discendente dalla legge. Infine, non è applicabile al caso in esame la sentenza di questa Corte numero 8253 del 29/7/1999, che fa riferimento ad una fattispecie in cui non si conoscevano la misura dell’imponibile contributivo complessivo né il numero dei soci, né i loro nominativi, né i compensi percepiti da ciascuno mentre nel caso in esame tutti i suddetti elementi sono noti, essendo soltanto sconosciuti - ma, come già detto, soltanto nell’immediato - quali tra i lavoratori forniti dal datore interposto e già identificati dall’INPS abbiano lavorato per l’impresa ricorrente nel singolo rapporto. In forza di queste ragioni, il ricorso deve essere rigettato. L’opinabilità della questione, attestata dal diverso esito dei giudizi di merito e dalla mancanza di precedenti specifici di questa Corte, sorregge la pronuncia di compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso compensa tra le parti le spese del presente giudizio.