Assente per malattia e licenziato: ma il periodo di comporto è davvero stato superato?

Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale sono riconducibili alla nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 c.c Esse devono ritenersi computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro previsto in detto articolo.

Lo ribadisce il Collegio di Legittimità con sentenza n. 15972/17 depositata il 27 giungo. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, condannava l’INAIL a corrispondere al lavoratore, quale dipendente della società cooperativa, l’indennità giornaliera per inabilità temporanea in relazione al periodo di malattia. Inoltre, sempre la Corte territoriale, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato dalla società per il superamento del periodo di comporto e disponeva la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. La società ricorre per cassazione denunciando, fra l’altro, violazione e falsa applicazione dell’art. 2110 c.c. da parte della Corte territoriale laddove, senza accertare che la malattia fosse addebitabile alla responsabilità della datrice di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., ha ritenuto che l’assenza dal lavoro iniziata nel 2010 dovesse essere esclusa dal computo del periodo di comporto. Assenze sul lavoro. Gli Ermellini ritengono che tale doglianza sia fondata. Intendono, infatti, dare seguito al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale sono riconducibili all’ampia e generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 c.c., comprensiva anche di dette specifiche categorie di impedimenti dovuti a cause di lavoro . Pertanto, queste devono ritenersi computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro previsto nell’articolo sopra citato, la cui determinazione è rimessa alla legge, alle norme collettive, all’uso e all’equità. Inoltre, prosegue il Collegio, non è sufficiente, perché l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, che si tratti di malattia di origine professionale meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che in relazione a tale malattia e alla sua genesi sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c Responsabilità, questa, che deve collegarsi alla violazione da parte del datore di lavoro di obblighi di comportamento imposti dalla legge o dalle conoscenze tecniche-sperimentali del momento. Spetta, poi, al lavoratore l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento. Nella fattispecie, avendo la Corte d’Appello erroneamente ritenuto che il periodo di malattia iniziato nel 2010 dovesse essere escluso dal periodo di comporto in ragione dell’affermata origine professionale della malattia senza previ accertamenti, la S.C. accoglie tale motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte territoriale in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 aprile – 27 giugno 2017, n. 15972 Presidente Macioce – Relatore Torrice Fatto 1. La Corte di Appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’Inail a corrispondere a F.M. , dipendente della CDL Iride Società Cooperativa a r.l., l’indennità giornaliera per l’inabilità temporanea in relazione al periodo di malattia insorta il 15.3.2010 ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento, intimato il 7.2.2011, per superamento del periodo di comporto, dalla CDL Iride ed ha condannato quest’ultima alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento fino alla reintegrazione. 2. La Corte territoriale ha ritenuto che l’appello proposto dal F. conteneva specifica indicazione dei motivi di censura e delle richieste correttive della sentenza impugnata ed ha, conseguentemente, rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dalla società. Ritenuto provato, sulla scorta delle conclusioni assunte dal CTU, il nesso di causalità tra l’infortunio occorso al F. in data 8.2.2010 e la ricaduta, insorta il 15.3.2010, nella malattia a questo conseguita, ha affermato che questa non era computabile nel periodo di comporto e che trovava applicazione l’art. 18 della L. n. 300 del 1970 in quanto l’esclusione della qualità di socio era conseguenza del licenziamento. 3. Avverso tale sentenza CDL Iride Società Cooperativa a r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da successiva memoria, al quale hanno resistito con controricorso F.M. e l’Inail. Motivi Sintesi dei motivi. 4. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.comma ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Asserisce che la statuizione di rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’atto di appello è fondata su argomentazioni motivazionali tautologiche. 5. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.comma e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto, sulla scorta delle conclusioni assunte dal CTU, altamente probabile il nesso di causalità tra l’infortunio dell’8.2.2010 e la ricaduta nella malattia già indennizzata e deduce che l’ alta probabilità non potrebbe farsi coincidere con la dimostrazione della effettiva sussistenza del nesso di causalità. 6. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2110 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto, senza accertare se la malattia fosse addebitabile alla responsabilità di essa datrice di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., che l’assenza dal lavoro iniziata il 15.3.2010 doveva essere esclusa dal computo del periodo di comporto. 7. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 3 e dell’art. 2 della L. n. 142 del 2001 e dell’art. 2553 c.c Si duole che la Corte territoriale abbia accordato la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 della L. n. 300 del 1970 nonostante il F. , con delibera del 4.2.2011, fosse stato escluso come socio dalla cooperativa e nonostante l’avvenuta restituzione a quest’ultimo della quota di capitale sociale versato. Precisato di avere comunicato unitamente al licenziamento anche la delibera di esclusione dalla cooperativa, deduce che quest’ultima non sarebbe stata impugnata dal F. . 8. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.comma e dell’art. 18 della L. n. 300 del 1970. Lamenta che la Corte territoriale, ai fini della quantificazione della domanda risarcitoria, non aveva considerato che essa ricorrente aveva fatto affidamento sul fatto che la malattia insorta il 15.3.2010 era stata qualificata come comune sia dall’Inail che dal medico curante del lavoratore. Esame dei motivi. 9. Il primo motivo è infondato nella parte in cui denuncia violazione dell’art. 434 c.p.c 10. Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’art. 434, primo comma, c.p.c., nel testo introdotto dall’art. 54, comma 1, lettera c bis del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 e applicabile ratione temporis , in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum , circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata Cass. SSUU 10878/2015 Cass. 9166/2017, 2814/2016, 2143/2015 . 11. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati laddove ha rilevato che l’atto introduttivo del giudizio di appello conteneva articolata indicazione delle censure formulate nei confronti della sentenza impugnata e delle richieste correttive di detta pronuncia. Questa affermazione non risulta adeguatamente infirmata dalle argomentazioni svolte a corredo del motivo in esame, nel quale la ricorrente non ha specificato perché la sentenza impugnata sia in contrasto con l’art. 434 c.p.comma o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina Cass. 24028/2016, 635/2015, 20957/2014, 21611/2013, 328/2007 . 12. Il profilo è inammissibile nella parte in cui addebita alla sentenza vizi motivazionali. 13. Va osservato che l’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., nel testo sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b , del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134 applicabile ratione temporis perché la sentenza impugnata è stata pubblicata il 3.2.2015 consente tale denuncia nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia Cass. SSUU 8053/2014, 8054/2014 . Ebbene, la ricorrente non indica affatto quale sia il fatto storico decisivo che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare, ma denuncia tautologia della sentenza a fronte della esposizione di un percorso motivazionale che rende chiare e percepibili le ragioni sulle quali è fondata la statuizione di rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello. 14. È evidente che altro è se il ragionamento espresso sia conforme o meno al diritto, ma si tratta di questione diversa rispetto a quella che rende nulla la sentenza. Va al riguardo osservato che le Sezioni unite di questa Corte nelle sopra richiamate sentenze hanno affermato che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , di motivazione apparente , di contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili , di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile . Questa Corte ha precisato, inoltre, che di motivazione apparente o di motivazione perplessa e incomprensibile può parlarsi laddove essa non renda percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice Cass. SS.UU. 22232/2016, 8054/2014,8053/2014 . 15. Il secondo motivo è infondato nella parte in cui è denunciata violazione degli artt. 2697 c.comma e 115 c.p.c 16. La correlazione tra l’infortunio occorso al F. l’8.2.2010 e la malattia iniziata il 15.3.2010, pur costituendo un fatto ai fini della ripartizione dell’onere probatorio, richiedeva cognizioni extragiuridiche origine lavorativa o meno della ricaduta nella malattia conseguita all’infortunio del febbraio 2010 , in quanto tali estranee alla formazione professionale esigibile dal giudice. Essa, pertanto, ben poteva essere oggetto di consulenza tecnica al fine di valutare fatti che non avrebbero potuto essere verificati diversamente consulenza percipiente , Cass. 8717/2017, 1190/2015, 20695/2013, 6155/2009 . Va rilevato che la ricorrente non ha contestato che il F. avesse allegato la correlazione della malattia insorta il 15.3.2010 e l’evento infortunistico di origine lavorativa occorso nel precedente mese di febbraio dello stesso anno ma assume che detta correlazione non sarebbe stata provata dal lavoratore. 17. Il motivo è inammissibile laddove la ricorrente critica l’esito della consulenza tecnica d’ufficio senza evidenziare quali fatti e quali circostanze sarebbero stati trascurati e/o male interpretati dall’Ausiliare del giudice di merito o dallo stesso giudice e che, se invece fossero stati considerati, avrebbero escluso che la patologia del 15.3.2010 potesse essere qualificata come ricaduta ovvero recidiva della malattia conseguita all’infortunio occorso l’8.2.2010. La ricorrente, invero, nel dedurre che la Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare l’affermazione del CTU, secondo il quale il caso sottoposto al suo esame presentava notevoli elementi di incertezza, e non attestarsi sulle conclusioni formulate dallo stesso CTU, che aveva ritenuto che fosse altamente probabile che la patologia del 15.3.2010 potesse correlarsi all’infortunio occorso al F. in data 8.2.2010, sollecita il riesame del merito della controversia non ammissibile in sede di legittimità Cass. SSU 24148/2013, 8054/2014 Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007, 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005 . 18. Il terzo motivo è fondato. 19. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, al quale va data continuità, le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale sono riconducibili, in linea di principio, all’ampia e generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 c.c., comprensiva anche di dette specifiche categorie di impedimenti dovuti a cause di lavoro, e sono, pertanto, normalmente computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro previsto nel citato art. 2110, la cui determinazione è da questa norma rimessa alla legge, alle norme collettive, all’uso o all’equità. È stato precisato che non è sufficiente, perché l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, che si tratti di malattia di origine professionale, meramente connessa cioè alla prestazione lavorativa, ma è necessario che in relazione a tale malattia e alla sua genesi sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.comma Cass. 24028/2016, 26037/2014, 7037/2011, 5413/2004, 3351/1996 . 20. Questa Corte ha anche affermato che l’art. 2087 c.comma non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, e che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi Cass. 22710/2015, 18626/2013, 2038/2013, 13956/2012 . 21. In particolare è stato ritenuto che gli oneri probatori spettanti al datore di lavoro ed al lavoratore sono diversamente modulati nel contenuto a seconda che le misure di sicurezza omesse siano espressamente e specificamente definite dalla legge o da altra fonte ugualmente vincolante , in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici, oppure debbano essere ricavate dallo stesso art. 2087 c.c., che impone l’osservanza del generico obbligo di sicurezza nel primo caso, riferibile alle misure di sicurezza cosiddette nominate , la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore, ossia nel riscontro dell’insussistenza dell’inadempimento e del nesso eziologico tra quest’ultimo e il danno nel secondo caso, relativo a misure di sicurezza cosiddette innominate , la prova liberatoria a carico del datore di lavoro è invece generalmente correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore di lavoro l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge o altra fonte equiparata , siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standards di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe Cass. 34/2016, 15082/2014, 19826/2013, 8855/2013 . 22. La Corte territoriale ha disatteso i principi innanzi richiamati perché ha ritenuto che il periodo di malattia iniziato il 15.3.2010 dovesse essere escluso dal periodo di comporto in ragione della affermata origine professionale della malattia senza compiere alcun accertamento in ordine alla addebitabilità della ricaduta/recidiva della malattia conseguita all’infortunio sul lavoro dell’8.2.2010 alla responsabilità della società datrice di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., e senza indagare se quest’ultima omise di adottare le misure necessarie per la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del F. . 23. La sentenza va, pertanto, cassata e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione che dovrà, alla luce delle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, fare applicazione del seguente principio di diritto In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l’infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. . 24. Il quarto motivo è inammissibile. 25. La ricorrente, in violazione delle disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, Cass. SSUU 8077/2012 e 22726/2011 Cass. 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010 , ha, infatti, omesso di riprodurre nel ricorso la delibera di esclusione del F. , gli atti relativi alla comunicazione di quest’ultima e i documenti attestanti la avvenuta restituzione al lavoratore della quota di capitale sociale, atti ai quali la ricorrente attribuisce valore decisivo per escludere la possibilità di applicare la tutela reintegratoria reale di cui all’art. 18 L. 300 n. 1970 . 26. Il quinto motivo, correlato al quantum della statuizione di condanna al risarcimento del danno, resta assorbito dall’accoglimento del terzo motivo. 27. Sulla scorta delle considerazioni svolte vanno rigettati il primo ed il secondo motivo, va dichiarato inammissibile il quarto motivo e, in accoglimento del terzo motivo, assorbito il quinto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, che, dovrà, alla luce delle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, fare applicazione del seguente principio di diritto In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l’infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. e dovrà provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Rigetta il primo ed il secondo motivo. Dichiara inammissibile il quarto motivo. Accoglie il terzo motivo e dichiara assorbito il quinto motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.