Inidoneità professionale, manca la prova: licenziamento illegittimo

Risarcimento per l’ex dipendente della società che ha preso in gestione un asilo nido. Generico il richiamo a una presunta mancanza di un titolo previsto nel capitolato allegato al bando di gara.

Nuovo bando di gara per la gestione dell’asilo nido ospedaliero. La società che si aggiudica l’appalto rimuove una vecchia dipendente, ereditata dalla precedente gestione, perché priva della qualifica necessaria per il ruolo di educatrice. La scelta è però non giustificata e quindi illegittima, e la lavoratrice ha diritto a un risarcimento. Cassazione, sentenza n. 15975/17, sez. Lavoro, depositata oggi Titolo. In Tribunale viene ritenuto corretto l’operato della società, una volta accertata la impossidenza, da parte della lavoratrice, del titolo indicato dal capitolato richiamato nel bando di gara . Visione completamente opposta, invece, in Appello, dove i giudici condannano la società a risarcire l’ex dipendente, versandole le retribuzioni spettanti dal giorno del recesso fino a quello della scadenza contrattuale . Inutili si rivelano le ulteriori obiezioni proposte dai legali della società in Cassazione. Definitiva, quindi, la vittoria della lavoratrice. In premessa viene sottolineato che il difetto di una idoneità professionale prevista dal bando di gara dell’appaltante azienda ospedaliera per l’appalto diretto all’avviamento del personale del proprio asilo nido, lungi dal costituire causa di nullità del contratto di lavoro stipulato dall’appaltatore con il personale assunto, avrebbe nondimeno potuto agire sul sinallagma del rapporto, stipulato in difetto di quella idoneità, ove l’appaltante avesse imposto all’impresa contraente, nella propria veste di pubblica amministrazione, l’allontanamento del dipendente che, medio tempore assunto e occupato, si fosse rivelato essere di tale idoneità affatto privo . In questo caso, l’intervento dell’atto dell’amministrazione avrebbe imposto senza riserve, ed in ragione di esigenze di conformità del servizio a standard di rilievo pubblico quali quelli imposti nel bando per la selezione del personale da adibire all’asilo nido, di allontanare il dipendente del quale era emersa la carenza della veste tecnico-culturale-professionale richiesta dal bando per l’appalto del servizio . Comunicazione. Complessivamente, quindi, è indiscutibile , spiegano i giudici, che un provvedimento della pubblica amministrazione, che accerti la carenza di abilitazione od idoneità del lavoratore o che lo privi di una autorizzazione per l’esercizio delle mansioni svolte, abbia l’efficacia di costituire ragione di impossibilità sopravvenuta per il datore di lavoro di ricevere la prestazione o di giustificato motivo oggettivo per il licenziamento . In questa vicenda, però, manca la prova certa di una sopravvenuta attestazione della amministrazione appaltante in merito alla impossidenza originaria da parte della lavoratrice del titolo per il ruolo di educatrice . Su questo fronte i giudici sottolineano che non si dice quale comunicazione telefonica, verbale, informatica o scritta sia stata rilasciata, quando essa intervenne, quale contenuto essa avesse , essendosi limitata la società a dire che una qualche comunicazione venne da un responsabile dell’‘Ufficio per il personale’, senza neanche riportarne l’esatto tenore . Questa lacuna è decisiva, poiché manca finanche la esposizione delle ragioni del confronto tra requisiti di bando e titoli prospettiva dalla lavoratrice , e non viene prospettato l’intervento di un atto amministrativo idoneo a porre fine, con immediatezza e ante tempus , al rapporto di lavoro . Piuttosto, pare emergere, secondo i giudici, una sorta di ripensamento della società, sollecitato da una qualche induzione esterna , sicuramente inidoneo a risolvere, ex nunc e prima del termine contrattuale, il rapporto di lavoro in atto .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 aprile – 27 giugno 2017, n. 15975 Presidente/Relatore Macioce Fatti di causa Con ricorso innanzi al Tribunale GdL di Roma, Sa. DI GI., educatrice assunta a tempo determinato sino a 31.12.2012 alle dipendenze della s.r.l. ESPERIA subentrata a precedente appaltante del Comune di Roma per l'Asilo Nido dell'Ospedale San Filippo Neri , impugnò il licenziamento ante tempus comminatole il 15.10.2010 per impossidenza della qualifica necessaria per svolgere i compiti di educatrice nella sede oggetto di appalto con il Comune. Il Tribunale respinse il ricorso ravvisando la legittimità del recesso ante tempus posto che si era accertata la impossidenza da parte della lavoratrice del titolo indicato dal capitolato richiamato nel bando di gara, a nulla rilevando che le precedenti appaltatrici Nuova IN e Logos PAF avessero valutato la sussistenza del requisito. Adita dalla Di Gi., la Corte di Appello di Roma con sentenza 27.10.2014 è andata di contrario avviso, riformando la sentenza di primo grado e statuendo l'obbligo risarcitorio di Esperia di versare le retribuzioni spettanti alla lavoratrice dal di del recesso a quello della scadenza contrattuale. Ha argomentato la Corte di merito nel senso che, indiscutibile che la carenza di titolo della lavoratrice impedisse alcun rinnovo del contratto alla sua scadenza, nondimeno la carenza del titolo non era sopravvenuta al contratto con Esperia ma era ben anteriore ed inerente al rapporto a termine con la precedente appaltatrice. Ha quindi affermato la Corte di Roma che la precedente valutazione operata dal primo gestore aveva creato un legittimo affidamento nella dipendente la quale era stata assunta anche dalla successiva appaltatrice di qui la conseguenza che una diversa valutazione non avrebbe potuto affatto interrompere ante tempus il rapporto. Per la cassazione di tale sentenza , ha proposto ricorso la socomma ESPERIA con atto notificato il 27.04.2015 ed articolato su due motivi, contestati dalla Di Gi. che si è difesa con controricorso. Entrambi i difensori hanno depositato memorie e discusso oralmente. Ragioni della decisione Ritiene il Collegio che le censure formulate nel ricorso non meritino di essere condivise e che, pertanto, il ricorso debba essere rigettato se pur la motivazione in diritto resa dalla Corte territoriale debba essere sottoposta a correzione. Con il primo motivo Esperia deduce omessa motivazione sul fatto decisivo per il quale non vi sarebbe stata una diversa valutazione della subentrante rispetto alla anteriore appaltatrice e stipulante il contratto a termine con la Di Gi., ma vi sarebbe stata la sopravvenuta comunicazione da parte del Comune - al quale essa società aveva inoltrato la documentazione rimessa dall'Ospedale - della inidoneità della Di Gi. e della necessità di intimarle licenziamento. Con il secondo motivo si contesta la pronunzia di tutela dell'affidamento della neo assunta sul rilievo che in materia esisteva ed esiste la clausola sociale nel cambio di appalti in base alla quale la riassunzione da Esperia era mero atto dovuto. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente perché propongono profili diversi della stessa questione, non sono condivisibili. A criterio del Collegio è certamente errata la valutazione operata dal giudice del merito in termini di creazione di una situazione di incolpevole affidamento i primi due rapporti a termine ed il secondo rapporto, convenuto con la Esperia, tutti essendo stati realizzati in assenza del titolo , tale da sanare sul piano soggettivo il vizio costitutivo. Ed infatti, il difetto di una idoneità professionale prevista dal bando di gara dell'appaltante Azienda Ospedaliera per l'appalto diretto all'avviamento del personale del proprio asilo nido, lungi dal costituire causa di nullità del contratto di lavoro stipulato dall'appaltatore con il personale assunto la nullità in discorso potendo discendere solo dalla violazione di normativa primaria avrebbe nondimeno potuto agire sul sinallagma del rapporto, stipulato in difetto di quella idoneità, ove l'appaltante avesse imposto all'Impresa contraente, nella propria veste di Pubblica Amministrazione, l'allontanamento del dipendente che, medio tempore assunto e occupato, si fosse rivelato essere di tale idoneità affatto privo. In tal caso, l'intervento dell'atto dell'Amministrazione, equivalente a vero e proprio factum principis, avrebbe imposto senza riserve, ed in ragione di esigenze di conformità del servizio a standard di rilievo pubblico quali quelli imposti nel bando per la selezione del personale da adibire all'asilo nido , di allontanare il dipendente del quale era emersa la carenza della veste tecnico-culturale-professionale richiesta dal bando per l'appalto del servizio. E pare appena il caso di rammentare come sia indiscutibile che un provvedimento della Pubblica Amministrazione che accerti la carenza di abilitazione od idoneità del lavoratore o che lo privi di una autorizzazione per l'esercizio delle mansioni svolte abbia l'efficacia di costituire ragione di impossibilità sopravvenuta per il datore di lavoro di ricevere la prestazione o di giustificato motivo oggettivo per il licenziamento ove non esistano mansioni diverse da quelle per lo svolgimento delle quali era imposto il titolo revocato . In tal senso si ricordano ex multis Cass. 6363 del 2000 e 7531 del 2010. Orbene, venendo al caso che occupa, alla lettura del ricorso che riproduce in modo letterale il contenuto della difesa depositata in primo grado emerge come esso sia non coerente con la statuizione di appello che censura e, ancor più, sia del tutto generico e non autosufficiente nell'addurre il fatto che afferma aver prospettato in primo grado ma che non deduce di aver riprodotto in appello art. 346 c.p.c . Se infatti la sentenza di appello, accogliendo il gravame della lavoratrice, si è mossa sulla linea valutativa della permanenza in capo alla Di Gi. del titolo abilitativo alla mansione di educatrice che aveva all'inizio perché esso evidentemente venne valutato all'atto della assunzione e del passaggio alle dipendenze di Esperia, e se in questa prospettiva la sentenza ha fatto ricorso alla errata considerazione di un affidamento idoneo a costituire equivalente di una carenza originaria del titolo, la opposta prospettazione del ricorso è quella di una sopravvenuta attestazione della Amministrazione appaltante di impossidenza originaria del titolo per il ruolo di educatrice. Prospettazione che censura la sentenza per non aver considerato che quella attestazione era stata rappresentata ed era un dato decisivo. Ma se è così, va posto l'assorbente rilievo per il quale la circostanza del factum principis appare meramente enunciata con generica e tautologica affermazione non si dice quale comunicazione telefonica, verbale, informatica o scritta sia stata rilasciata, quando essa intervenne, quale contenuto essa avesse, limitandosi la socomma Esperia a dire che una qualche comunicazione venne da tale sig. Lo. responsabile dell'XI dipartimento Ufficio del personale senza neanche riportarne l'esatto tenore. E ciò pur ammettendo che la Di Gi. aveva inoltrato alla originaria appaltatrice i propri titoli e che ESPERIA li aveva trasmessi al competente ufficio . Il dato, quindi, carente di riferimenti temporali e funzionali, e più di tutto carente della esposizioni delle ragioni del confronto tra requisiti di bando e titoli prospettati dalla Di Gi., non evidenzia in alcun modo, con la necessaria autosufficienza, l'intervento di un atto amministrativo idoneo a porre fine -con immediatezza ed ante tempus - al rapporto di lavoro con la Di Gi Emerge, al più, una sorta di ripensamento della Esperia sollecitato da una qualche induzione esterna , inidoneo, come tale, a risolvere ex nunc e prima del termine contrattuale, il rapporto di lavoro in atto. Alla stregua delle esposte ragioni, e corretta in diritto la decisione del giudice di appello, si rigetta il ricorso regolando le spese secondo il criterio della soccombenza e provvedendo alla chiesta distrazione. Segue altresì l'attestazione di cui all'art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115/2002. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla refusione delle spese in favore della controricorrente, e per essa dell'avv. Pa. D'Ur., spese che determina in Euro 3.200 di cui Euro 200 per esborsi , oltre spese generali nel 15% ed oltre ad accessori di legge. Dà atto della sussistenza ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115/2002 dei presupposti perché la parte ricorrente versi l'ulteriore importo di c.u. pari a quello già versato.