È inefficace il licenziamento intimato senza specifica comunicazione dei motivi

Laddove il datore di lavoro intenda intimare il licenziamento al lavoratore ma si dimentichi di comunicare le motivazioni che fondano tale atto, al lavoratore è riconosciuto il risarcimento del danno da determinarsi secondo le regole previste per l’inadempimento delle obbligazioni.

Così ha deciso il Collegio di legittimità con sentenza n. 13378/17 depositata il 26 maggio. Il caso. La Corte d’appello di Roma rigettava il gravame proposto dalla società contro la sentenza del Tribunale di Tivoli laddove dichiarava inefficace, per mancata specifica comunicazione dei motivi richiesti, il licenziamento intimato alla lavoratrice. La società ricorre per cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione di legge circa il credito riconosciuto alla lavoratrice, in quanto comprensivo di tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella di riassunzione. Licenziamento senza comunicazione dei motivi. I Giudici del Palazzaccio rilevano l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il licenziamento affetto da uno dei vizi formali di cui all’art. 2 l. n. 604/1966 non produce effetti sulla continuità del rapporto di lavoro, senza che possa distinguersi tra i diversi vizi formali inficianti l’atto e, in particolare, senza che possa ritenersi applicabile al vizio della mancata comunicazione dei motivi del recesso richiesti dal lavoratore la disciplina sanzionatoria di cui all’art. 8 l. n. 604/1966 per la diversa ipotesi di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo . Il Collegio prosegue, poi, affermando che, in detti casi, deve essere riconosciuto il risarcimento del danno da determinarsi secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni . Per tutti questi motivi, la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 febbraio – 26 maggio 2017, n. 13378 Presidente Di Cerbo – Relatore Manna Fatti di causa Con sentenza pubblicata il 15.9.14 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame di C.M. Arcobaleno S.r.l. contro la sentenza n. 1532/12 con cui il Tribunale di Tivoli, dichiarato inefficace - per mancata specifica comunicazione dei motivi richiesti - il licenziamento intimato il 16.9.08 a L.D. , ha condannato la società a pagare alla lavoratrice il complessivo importo di Euro 75.631,65 pari alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento. Per la cassazione della sentenza ricorre C.M. Arcobaleno S.r.l. affidandosi ad un unico motivo, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civ L.D. resiste con controricorso. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata. Ragioni della decisione 1. Con unico motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 414 e 433 cod. proc. civ., 2, comma 2, legge n. 604 del 1966, 1219, 1223, 1224, 1227, 1362 e 2697 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha riconosciuto a credito della lavoratrice tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella di riassunzione, nonostante che, trattandosi d’un rapporto assistito da mera stabilità obbligatoria, si potesse liquidare soltanto un’indennità nella misura consentita dall’art. 8 legge n. 604 del 1966. Inoltre, prosegue il ricorso, la Corte territoriale ha omesso di esaminare i documenti da cui risulta che L.D. aveva, in realtà, rifiutato di essere riassunta dalla ricorrente, essendo stata già assunta da altra società, il che avrebbe dovuto essere considerato ai fini dell’applicazione dell’art. 1227 cod. civ 2. Il ricorso è infondato, ostandovi l’orientamento giurisprudenziale di questa S.C. consolidatosi fin da Cass. S.U. n. 508/99, secondo il quale il licenziamento affetto da uno dei vizi formali di cui all’art. 2 legge n. 604 del 1966 non produce effetti sulla continuità del rapporto di lavoro, senza che possa distinguersi tra i diversi vizi formali inficianti l’atto e, in particolare, senza che possa ritenersi applicabile al vizio della mancata comunicazione dei motivi del recesso richiesti dal lavoratore la disciplina sanzionatoria dettata dall’art. 8 legge n. 604/66 cit. per la diversa ipotesi di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo. Pertanto, sempre alla stregua della ricordata giurisprudenza, deve essere riconosciuto il risarcimento del danno da determinarsi secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni. Da ultimo, le censure sul difetto di prova del danno e sull’eventuale applicabilità dell’art. 1227 cod. civ. in relazione alla condotta della lavoratrice come descritta in ricorso sconfinano in valutazioni di merito, non spendibili in sede di legittimità. 3. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.