Postina in malattia, beccata a fare la cameriera: niente licenziamento

Accertata la condotta irregolare tenuta dalla donna. Ciò nonostante, i Giudici ritengono eccessivamente drastico il provvedimento adottato dall’azienda, non essendo la condotta della postina idonea a ledere il vincolo fiduciario con la società.

Costretta a casa, in malattia, per i postumi di un piccolo intervento chirurgico. La donna, dipendente di Poste Italiane, viene però beccata a lavorare per tre giorni come cameriera in una trattoria. Evidente l’irregolarità da lei compiuta, ma essa non è sufficiente, secondo i Giudici, per giustificarne il licenziamento Cassazione, sentenza n. 12902, sez. Lavoro, depositata oggi . Malattia. Decisivo il passaggio in appello, dove viene ordinata la reintegra della lavoratrice, dipendente di Poste Italiane e inquadrata come portalettere . Per i giudici la condotta tenuta dalla donna è certa, ma può essere punita con misure sanzionatorie di carattere conservativo , non certo col licenziamento . In sostanza, è stato accertato che la lavoratrice, pur risultando assente per malattia dopo un intervento chirurgico, è stata beccata a fare la cameriera ai tavoli di una trattoria per ben tre giorni, ma ciò, secondo i giudici, non ha scosso irrimediabilmente il rapporto fiduciario con l’azienda. Scorrettezza. Di parere completamente opposto, ovviamente, i legali di Poste Italiane, che in Cassazione sottolineano la gravità della scorrettezza compiuta dalla lavoratrice, tale, a loro avviso, da poter pregiudicare il recupero lavorativo e da ledere il vincolo società-dipendente. In questa ottica viene richiamato il fatto che la donna avrebbe potuto lavorare come portalettere, invece di assentarsi per malattia ed andare a fare la cameriera, col rischio di pregiudicare la guarigione ed arrecare un danno all’azienda . Queste obiezioni vengono però respinte dai magistrati del Palazzaccio, che mostrano di condividere la visione tracciata in appello. In parole povere, il comportamento della lavoratrice non è ritenuto davvero grave, poiché esso ha avuto ad oggetto solo due ore per tre giornate, in coincidenza con l’approssimarsi della ripresa dell’attività lavorativa , con l’aggiunta poi che la prognosi del periodo di malattia inizialmente diagnosticato non era stata procrastinata in conseguenza dell’attività prestata in trattoria . Per chiudere il cerchio, infine, viene anche richiamata la lettera di giustificazioni presentata dalla donna da quelle righe è emerso, secondo i giudici, che ella non era consapevole della contrarietà agli interessi dell’azienda della condotta a lei contestata. Tutti questi elementi, concludono i magistrati, portano ad escludere che la scorrettezza di cui si è resa protagonista la donna sia sufficiente per arrivare addirittura al licenziamento.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 30 gennaio – 23 maggio 2017, n. 12902 Presidente D’Antonio – Relatore Berrino Fatti di causa Si controverte del licenziamento per giusta causa intimato dalla società Poste Italiane s.p.a. a Mo. Pa. per avere la medesima svolto attività lavorativa in favore di altro datore di lavoro in periodo di assenza per malattia. Con sentenza del 3.7 - 18.9.2014, la Corte d'appello di Bologna, nel riformare la decisione del primo giudice che aveva respinto il ricorso della lavoratrice, ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento ed ordinato la reintegra dell'appellante dopo aver posto in rilievo che l'entità del fatto, complessivamente valutato, era tale da far ritenere giustificata solo l'applicazione di misure sanzionatorie di carattere conservativo e che non poteva ritenersi che la condotta contestata avesse potuto scuotere irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra le parti. Per la cassazione della sentenza ricorre la società Poste Italiane s.p.a. con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. Resiste con controricorso Mo. Pa Ragioni della decisione 1. Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2104 e 2119 cod. civ., nonché degli artt. 54 e 56 del ccnl di settore del 2007, dolendosi del giudizio espresso dalla Corte d'appello di Bologna in merito alla ritenuta mancanza di proporzione della sanzione del licenziamento inflitta a Mo. Pa. ed evidenzia, in contrario, la gravità del comportamento tenuto dalla dipendente, la quale, nonostante fosse assente per malattia, aveva svolto attività di cameriera ai tavoli all'interno della trattoria La Pepita nei giorni 28, 30 e 31 luglio 2009, pregiudicando, in tal modo, il recupero lavorativo e ledendo il vincolo fiduciario. Secondo la ricorrente la Corte territoriale non ha apprezzato nella sua reale entità tale comportamento, nel momento in cui ha ritenuto che fosse sproporzionata la sanzione irrogata, non considerando che l'espletamento di attività extra-lavorativa da parte della dipendente durante il suo stato di malattia era idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell'adempimento dell'obbligazione e a giustificare il recesso laddove si riscontrava che la stessa ritardava anche potenzialmente la guarigione ed il rientro in servizio, costituendo indice di scarsa attenzione della lavoratrice alla propria salute ed ai relativi doveri di cura. 2. Col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione della norma contrattuale di cui all'art. 56 del CCNL del 2007 sulle ipotesi di licenziamento senza preavviso, la difesa della ricorrente assume che la Corte di merito ha errato nel ritenere che la carenza di intenzionalità nella condotta tenuta dalla Mo. e la irrilevanza del danno alla società privavano di legittimità il licenziamento, dal momento che la natura dolosa della condotta era da considerare in re ipsa , in quanto la dipendente avrebbe potuto lavorare come portalettere per la società postale, sua datrice di lavoro, invece di assentarsi per malattia ed andare a svolgere attività di cameriera, col rischio di pregiudicare la guarigione ed arrecare un danno alla società. Pertanto, la Mo. aveva dimostrato di essere pienamente consapevole di compiere un'azione contraria ai principi di correttezza e buona fede, di violare le norme del contratto collettivo, di pregiudicare la guarigione e di arrecare un pregiudizio alla società. 3. Col terzo motivo la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 112, 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118, comma 1, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, in relazione all'art. 3 della legge n. 604/66 art. 360 n. 3 c.p.c , nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360 n. 5 c.p.c . Secondo la difesa della società la sentenza sarebbe viziata in quanto la Corte d'appello avrebbe omesso di pronunciarsi sull'eccezione spiegata in via gradata nella memoria difensiva, afferente la possibilità per il giudicante - semmai avesse ritenuto che non potesse ricorrere la giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c. - di qualificare il licenziamento quanto meno come licenziamento per giustificato motivo soggettivo, per cui sotto tale aspetto non aveva valutato in maniera approfondita il caso in esame. 4. Osserva la Corte che i tre motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Anzitutto, non può non rilevarsi che in entrambi i primi due motivi i denunziati vizi di violazione di legge sono prospettati come tali solo formalmente nelle relative intestazioni, mentre in realtà essi involgono una pura rivisitazione del merito della questione sotto l'apparente censura della violazione e falsa applicazione delle summenzionate norme del codice civile e di quelle collettive, senza indicazioni specifiche sul modo in cui la Corte di merito si sarebbe in concreto discostata dall'interpretazione delle norme asseritamente mal interpretate ed applicate. Infatti, la lamentata inosservanza delle norme riguardanti i doveri di correttezza e buona fede nell'adempimento della prestazione lavorativa e la doglianza riflettente la non corretta applicazione del principio di proporzionalità della sanzione si infrangono contro l'adeguata e corretta motivazione offerta dalla Corte di merito nell'illustrazione del proprio convincimento sulla mancanza di proporzione della sanzione adottata rispetto al fatto oggetto di contestazione disciplinare. 5. La Corte bolognese ha, invero, rilevato, con apprezzamento di fatto immune da rilievi di legittimità, che la condotta contestata aveva avuto ad oggetto solo due ore per tre giornate in coincidenza con l'approssimarsi della ripresa dell'attività lavorativa dopo un intervento chirurgico per dito a scatto , che dalla lettera di giustificazioni non risultava che la Mo. avesse posto in essere la condotta contestata con la consapevolezza della contrarietà della stessa agli interessi datoriali, che la prognosi del periodo di malattia inizialmente diagnosticato non era stata procrastinata in conseguenza dell'attività prestata presso la trattoria, che non risultava che la dipendente avesse precedenti disciplinari e che il grado di affidamento richiesto dalle mansioni esecutive non poteva che essere valutato in misura meno intensa, per cui in assenza di una intenzionalità offensiva della condotta incriminata, che aveva avuto durata breve, e in mancanza di precedenti disciplinari, non poteva pervenirsi alla conclusione che il comportamento complessivamente valutato fosse idoneo a scuotere irrimediabilmente il vincolo fiduciario. Da tutto ciò la Corte d'appello ha tratto la logica conseguenza che si rivelava senz'altro più appropriata nella fattispecie una sanzione di carattere conservativo rispetto a quella espulsiva in concreto applicata. Orbene, come questa Corte ha avuto occasione di precisare Cass. sez. lav. n. 17625 del 5.8.2014 , lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolente simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l'attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore, ferma restando la necessità che, nella contestazione dell'addebito, emerga con chiarezza il profilo fattuale, così da consentire una adeguata difesa da parte del lavoratore. in senso conforme v. anche Cass. sez. lav. n. 21253 del 29.11.2012, n. 14046 dell'1.7.2005 e n. 17128 del 3.12.2002 . Nella fattispecie la Corte territoriale ha, invece, accertato che non si era avuto alcun prolungamento del periodo di malattia in conseguenza del lavoro esterno svolto dall'appellante, per cui alcun ostacolo si era manifestato alla ripresa del servizio. 6. Quanto alla lamentata omessa pronunzia sull'eccezione subordinata di cui al terzo motivo è sufficiente rilevare che tale vizio non sussiste, dovendosi ritenere implicitamente respinta la relativa richiesta di valutazione della sussistenza di un giustificato motivo soggettivo del licenziamento alla luce dell'ampia motivazione resa in merito all'accertato comportamento della lavoratrice, considerato suscettibile di essere stigmatizzato al massimo con l'applicazione di una sanzione di natura conservativa e non certo espulsiva, come quella adottata attraverso l'atto di recesso ritenuto illegittimo. Si è, infatti, precisato Cass. Sez. 2, n. 10001 del 24/6/2003 che qualora ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie non è configurabile il vizio di omessa pronuncia di cui all'art. 112 cod. proc. civ., che si riscontra soltanto allorché manchi una decisione in ordine a una domanda o a un assunto che renda necessaria una statuizione di accoglimento o di rigetto. 7. E', invece, inammissibile la prospettazione del vizio di motivazione, di cui all'ultima parte del terzo motivo, in quanto svolta in maniera non conforme al nuovo dettato normativo di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. Invero, alla luce della nuova versione della norma di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c. applicabile ratione temporis nella fattispecie, si è statuito Cass. Sez. 6 - 3, n. 12928 del 9/6/2014 che in tema di ricorso per cassazione, dopo la modifica dell'art. 360, primo comma, n. 5 , cod. proc. civ. ad opera dell'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili. Orbene, tali condizioni non sono ravvisabili nel caso in esame, avendo la Corte territoriale vagliato attentamente, nei termini sopra riassunti, il materiale istruttorio ai fini della valutazione del fatto oggetto dell'addebito disciplinare. 8. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. Ricorrono i presupposti, ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4200,00, di cui Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso art. 13.