La produzione in giudizio della lettera di licenziamento priva di firma equivale a sottoscrizione

La produzione in giudizio di una lettera di licenziamento priva della firma di chi avrebbe dovuto sottoscriverla equivale a sottoscrizione, purché a produrla sia la parte stessa nel giudizio pendente nei confronti del destinatario della lettera di licenziamento.

Così si è espressa la Suprema Corte con sentenza n. 12103/17 depositata il 16 maggio. Il caso. Soccombente in primo e in secondo grado, la lavoratrice ricorre per cassazione avverso la sentenza che confermava la legittimità del suo licenziamento, deducendo che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto convalidabile o, comunque, ratificabile, la lettera di licenziamento prodotta in giudizio che, a sua parere, doveva considerarsi atto inesistente. L’inesistenza dedotta dalla ricorrente poggia sulla testimonianza della legale rappresentante della società che, interrogata come teste dalla Corte, aveva negato di aver firmato la lettera. La produzione in giudizio equivale alla sottoscrizione. La Cassazione rileva il costante insegnamento giurisprudenziale secondo cui la produzione in giudizio di una scrittura privata ad substantiam , quale il caso della lettera di licenziamento, priva della firma di chi avrebbe dovuto sottoscriverla, equivale a sottoscrizione solo qualora sia la parte stessa a produrla in giudizio nei confronti del relativo destinatario, ove si tratti di atto recettizio, quale il licenziamento. In virtù di detto insegnamento, la Suprema Corte afferma il principio di diritto secondo cui la produzione in giudizio di una lettera di licenziamento priva di sottoscrizione alcuna o munita di sottoscrizione proveniente da persona diversa dalla parte che avrebbe dovuto sottoscriverla equivale a sottoscrizione, purché tale produzione avvenga ad opera della parte stessa nel giudizio pendente nei confronti del destinatario della lettera di licenziamento . Pertanto, a nulla rileva nella fattispecie che la legale della società abbia negato di aver sottoscritto la lettera. La Corte rigetta così il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 febbraio – 16 maggio 2017, n. 12106 Presidente Di Cerbo – Relatore Manna Fatti di causa Con sentenza 23-26.9.13 il Tribunale di Torino rigettava, per quel che rileva in questa sede, l’impugnativa di licenziamento intimato il 3.3.11 per giustificato motivo oggettivo proposta da L.M.V. nei confronti di Golder Italia S.r.l Con sentenza pubblicata in data 8.4.14 la Corte d’appello di Torino riformava la sentenza di prime cure solo in ordine alla quantificazione delle spese di lite e rigettava nel resto il gravame di L.M.V. , che oggi ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a due motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ Golder Europe Service Centre S.r.l. già Golder Italia S.r.l. resiste con controricorso. In data 19.1.2017 quindi dopo la comunicazione dell’avviso dell’odierna udienza, avvenuta il 12.1.2017 la ricorrente ha revocato il mandato al proprio difensore avv. L.T., poi sostituito dall’avv. P.C Ragioni della decisione 1.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1398 e 1399 cod. civ., per avere la sentenza impugnata ritenuto convalidabile o ratificabile un atto inesistente come la lettera di licenziamento della lavoratrice, su cui figurava l’apparente firma della allora legale rappresentante della società G.P. costei, sentita come teste, aveva negato di aver sottoscritto la lettera medesima. Pertanto, essendo all’evidenza falsa tale sottoscrizione, la lettera di licenziamento doveva considerarsi contrariamente a quanto supposto dalla Corte di merito come inesistente e, in quanto tale, non suscettibile di convalida o ratifica. 1.2. Il motivo - la cui rilevanza deriva dal rilievo che ex art. 2 legge n. 604 del 1966 il licenziamento non comunicato per iscritto è inefficace o nullo, secondo la giurisprudenza cfr. Cass. n. 18087/07 - è infondato, sia pure previa correzione nei termini che seguono ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ. della motivazione resa dalla Corte territoriale. Nel caso di specie la stessa sentenza impugnata dà atto della apparente firma G.P. sulla lettera di licenziamento, da cui è dato arguire che effettivamente l’apparente sottoscrittrice dell’atto non lo abbia, in realtà, firmato. In tal senso deve intendersi anche il tenore di ricorso e controricorso in esame. Dunque, come sostenuto dall’odierna ricorrente, nel caso in oggetto ci si trova in una situazione diversa da quella della ratifica ex art. 1399 cod. civ. dell’atto proveniente dal falsus procurator o dal soggetto che abbia ecceduto i limiti delle facoltà conferitegli. Nondimeno, nel caso di specie, compulsando gli atti a fini di mera verifica del fatto processuale, risulta che la società oggi controricorrente aveva prodotto in sede di merito la lettera di licenziamento. Ne consegue che deve trovare applicazione il costante insegnamento giurisprudenziale secondo cui la produzione in giudizio di una scrittura privata richiesta ad substantiam , come avviene per la lettera di licenziamento , priva di firma da parte di chi avrebbe dovuto sottoscriverla, equivale a sottoscrizione, a condizione che tale produzione avvenga - appunto - ad opera della parte stessa cfr., ex aliis, Cass. n. 13548/06 Cass. n. 3810/04 Cass. n. 2826/2000 nel giudizio pendente nei confronti dell’altro contraente o, deve ritenersi in caso di atto unilaterale inter vivos e a contenuto patrimoniale la cui disciplina è equiparata ex art. 1324 cod. civ., in quanto compatibile, a quella dei contratti , nei confronti del relativo destinatario se si tratta di atto recettizio e tale è il licenziamento . Questo, dunque, il principio di diritto La produzione in giudizio d’una lettera di licenziamento priva di sottoscrizione alcuna o munita di sottoscrizione proveniente da persona diversa dalla parte che avrebbe dovuto sottoscriverla equivale a sottoscrizione, purché tale produzione avvenga ad opera della parte stessa nel giudizio pendente nei confronti del destinatario della lettera di licenziamento medesima . 2.1. Con il secondo motivo di ricorso ci si duole di omessa motivazione, da parte della Corte territoriale, della quantificazione delle spese del giudizio di primo grado, pur ridotte rispetto alla statuizione del Tribunale. 2.2. Il motivo va disatteso perché anche la giurisprudenza più rigorosa in tema di motivazione del quantum di spese legali liquidate in sentenza cfr., da ultimo e per tutte, Cass. n. 20604/15 contra, da ultimo e per tutte, Cass. n. 20289/15, che non prevede obbligo di motivazione quando la liquidazione avvenga tra il minimo e il massimo di tariffa suppone pur sempre che sia stata depositata una nota spese e che il giudice se ne sia in tutto o in parte discostato. Lo stesso precedente giurisprudenziale invocato in ricorso Cass. n. 19269/05 è ben chiaro nell’evidenziare che il giudice, in mancanza del deposito della nota delle spese ex art. 75 disp. att. cod. proc. civ., non è tenuto ad indicare specificamente le singole voci delle spese medesime e, quindi, a sostituirsi sostanzialmente ex officio all’attività procuratoria della parte. Nel caso in oggetto la ricorrente, lungi dal trascrivere la nota spese avversaria, non chiarisce neppure se la società l’avesse effettivamente depositata e se e in che misura la sentenza abbia comunque violato i limiti massimi di tariffa. 3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.