Come e quando si applica la disciplina retributiva del trasfertismo

La Corte di Cassazione si pronuncia sulla questione del calcolo dei contributi dovuti sulle indennità corrisposte dal datore di lavoro ai dipendenti che prestano la loro opera al di fuori della sede dell’impresa, rilevando che la stessa ha dato luogo, nel tempo, a un rilevante contenzioso e a numerosi e contrastanti interventi di legittimità. Per questo rimette la causa alle Sezioni Unite.

A stabilirlo è la Suprema Corte di Cassazione a nella sentenza n. 9731/17, depositata il 18 aprile. La fattispecie. La Corte d’appello di Torino condannava il titolare di una ditta individuale a pagare all’INPS i contributi dovuti sulle somme corrisposte ai suoi dipendenti a titolo di indennità di trasferta. L’uomo ricorre in Cassazione lamentando che i contributi da corrispondere fossero stati commisurati al 50% del valore dell’indennità nonostante la stessa non fosse corrisposta quando l’attività veniva prestata presso la sede dell’impresa o presso cantieri in un raggio di 20 km dal comune dove l’impresa ha la sede art. 51. T.U. n. 917/1986 . Disciplina del trasfertismo quando si applica? La Corte di Cassazione ricorda che l’art. 51 citato, per poter essere applicato, richiede semplicemente che l’indennità sia corrisposta a fronte dell’obbligo contrattuale assunto dal dipendente di espletare le proprie attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi. Sono irrilevanti, invece, le modalità di erogazione dell’indennità in questione. In particolare, gli Ermellini sottolineano che per l’applicazione della disciplina retributiva e contributiva del c.d. trasfertismo occorre la contestuale presenza di tre requisiti 1. la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro 2. lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente 3. la corresponsione al dipendente, per lo svolgimento del suo lavoro in luoghi sempre diversi, di un’indennità o di una maggiorazione della retribuzione in misura fissa , senza che conti se lo stesso si sia effettivamente recato in trasferta. Nel corso del tempo, tuttavia, la disciplina in questione è stata oggetto di molteplici interpretazioni, una delle quali ha portato a ritenere che l’art. 51 di cui si tratta ritiene irrilevante, per individuare chi è il soggetto trasfertista, la modalità continuativa o meno di corresponsione delle indennità di cui si parla, attribuendo – invece – rilievo all’obbligo contrattuale assunto dal dipendente di espletare il proprio lavoro in luoghi sempre variabili e diversi e non in una sede prestabilita. Alla luce di quanto detto e ritenuto che la questione del calcolo dei contributi dovuti sulle indennità corrisposte dal datore di lavoro ai dipendenti che prestano la loro opera al di fuori della sede dell’impresa ha dato luogo, nel tempo, a un rilevante contenzioso e a numerosi e contrastanti interventi di legittimità, la Corte rimette la causa alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 gennaio – 18 aprile 2017, n. 9731 Presidente D’Antonio – Relatore Cavallaro Rilevato in fatto che, con sentenza depositata l’11.10.2010, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato V.N. , n.q. di titolare dell’omonima ditta individuale, a pagare all’INPS i contributi dovuti sulle somme corrisposte ai propri dipendenti a titolo di indennità di trasferta nella misura di cui all’art. 51, comma 6, T.U. n. 917/1986 che la Corte,, per quanto qui rileva, ha ritenuto che la ditta, che in quanto esercente lavori di impiantistica in cantieri itineranti corrisponde ai propri dipendenti nei giorni di presenza e di svolgimento di attività al di fuori del comune dove ha sede un’indennità di trasferta non eccedente i limiti di cui all’art. 48 ora 51 , T.U. n. 917/1986, fosse tenuta a commisurare i contributi dovuti all’INPS su tale indennità nella misura dovuta per le indennità corrisposte ai lavoratori c.d. trasfertisti, in luogo del minore o nullo importo dovuto invece per le indennità corrisposte ai lavoratori in caso di trasferta che contro tale pronuncia ha proposto ricorso V.N. , con due motivi di censura, illustrati con memoria, con i quali ha lamentato, rispettivamente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 51, T.U. n. 917/1986, per avere la Corte di merito ritenuto che i contributi dovuti sull’indennità corrisposta ai propri dipendenti dovessero essere assoggettati al regime di cui al comma 6 dell’art. 51 cit., e dunque commisurati al cinquanta per cento del valore dell’indennità, nonostante che detta indennità non venisse corrisposta allorché essi prestavano la propria attività presso la sede dell’impresa ovvero presso cantieri situati entro un raggio di 20 km dal comune dove l’impresa stessa ha sede, e la violazione e falsa applicazione dell’art. 26 CCNL 27.11.1997 per i dipendenti di imprese metalmeccaniche artigiane, per non avere la Corte territoriale considerato che esso esclude la natura retributiva dell’indennità di trasferta corrisposta ai lavoratori che prestino la propria opera fuori dalla sede dell’impresa che l’INPS ha resistito con controricorso, eccependo tra l’altro l’improcedibilità del ricorso, limitatamente al secondo motivo, per mancato deposito del contratto collettivo invocato a sostegno della censura. Considerato in diritto che questa Corte ha già avuto modo di stabilire che l’art. 51, comma 6, T.U. n. 917/1986, non richiede per la sua applicazione che le indennità e le maggiorazioni ivi previste siano corrisposte in maniera fissa e continuativa e anche indipendentemente dalla effettuazione della trasferta e dal tipo di essa, rilevando unicamente che si tratti di erogazione corrispettiva dell’obbligo contrattuale assunto dal dipendente di espletare normalmente le proprie attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, quindi al di fuori di una qualsiasi sede di lavoro prestabilita, e restando irrilevanti le modalità di erogazione dell’indennità cfr. in tal senso Cass. nn. 396 e 3824 del 2012, 22796 del 2013 che in argomento è adesso intervenuto l’art. 7-quinquies, d.l. n. 193/2016 conv. con L. n. 225/2016 , il quale, nel dettare disposizioni in materia di Interpretazione autentica in materia di determinazione del reddito di lavoratori in trasferta e trasfertisti , ha disposto, al comma 1, che Il comma 6 dell’articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 , debba interpretarsi nel senso che i lavoratori rientranti nella disciplina ivi stabilita sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni a la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro b lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente c la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta , precisando poi, al comma 2, che Ai lavoratori ai quali, a seguito della mancata contestuale esistenza delle condizioni di cui al comma 1, non è applicabile la disposizione di cui al comma 6 dell’articolo 51 del testo unico di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al comma 5 del medesimo articolo 51 che il legislatore, prevedendo che i tre requisiti della mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro , dello svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente e della corresponsione al dipendente di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta , debbano essere presenti contestualmente , ai fini dell’applicazione della disciplina retributiva e contributiva del c.d. trasfertismo, ha all’evidenza inteso disattendere l’orientamento fatto proprio da questa Corte nelle sentenze dianzi citate, secondo cui, all’opposto, l’art. 51, comma 6, T.U. n. 917/1986, non richiederebbe per la sua applicazione che le indennità e le maggiorazioni ivi previste siano corrisposte in maniera fissa e continuativa e anche indipendentemente dalla effettuazione della trasferta e dal tipo di essa cfr. espressamente in tal senso Cass. n. 396 del 2012 che, tuttavia, l’intervento del legislatore, ancorché autodefinitosi di interpretazione autentica del testo dell’art. 51, comma 6, T.U. n. 917/1986, pare attribuire a quest’ultimo un significato che non poteva in alcun modo essere incluso nel novero dei suoi significati possibili, dal momento che la disposizione asseritamente interpretata contempla Le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità , e, da un punto di vista grammaticale, l’impiego della locuzione congiuntiva anche se ha valore concessivo, indicando un fatto nonostante il quale si verifica ugualmente l’azione descritta nella proposizione reggente ossia, nel caso di specie, che dette indennità e maggiorazioni concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare che, essendo il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse ritenuto decisivo dall’art. 12 prel. c.c. ai fini dell’interpretazione della legge v. in tal senso Cass. n. 1111 del 2012, ove ampi riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte , sembra doversi concludere che il testo dell’art. 51, comma 6, cit., non consente se non di ritenere irrilevante, ai fini dell’individuazione della nozione di trasfertista, la modalità continuativa o meno di corresponsione delle indennità in questione, per attribuire rilievo all’obbligo contrattuale assunto dal dipendente di espletare normalmente le proprie attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi e quindi al di fuori di una qualsiasi sede di lavoro prestabilita così, espressamente, ancora Cass. n. 396 del 2012 che, potendo essere riconosciuto carattere interpretativo soltanto a quelle disposizioni che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo v. tra le più recenti Corte cost. n. 314 del 2013 , l’attribuzione di senso operata dall’art. 7-quinquies, d.l. n. 193/2016 conv. con L. n. 225/2016 , nei confronti dell’art. 51, comma 6, T.U. n. 917/1986, pare avere valore innovativo, avendo nei fatti il significato di sopprimere la locuzione congiuntiva anche se , che figura nella disposizione interpretata che la possibilità che il legislatore adotti disposizioni di interpretazione autentica, che è ammessa in linea generale non solo ove sussistano situazioni di incertezza nell’applicazione del diritto o siano insorti contrasti giurisprudenziali ma anche in presenza di indirizzi giurisprudenziali omogenei, trova comunque un limite nella circostanza che la scelta imposta per vincolare il significato ascrivibile alla legge anteriore rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario v. ex plurimis Corte cost. nn. 15 del 2012, 271 del 2011, 209 del 2010, 525 del 2000 , dovendo altrimenti ritenersi che la disposizione asseritamente interpretativa non abbia valore che per l’avvenire, giusta la previsione generale di cui all’art. 11 prel. c.c. che la questione del calcolo dei contributi dovuti sulle indennità corrisposte dal datore di lavoro ai dipendenti che prestano la loro opera al di fuori della sede dell’impresa ha dato luogo, nel tempo, ad un rilevante contenzioso, che ha visto susseguirsi plurimi e contrastanti interventi del legislatore e di questa stessa Corte, di talché, apparendo la questione di massima di particolare importanza ex art. 374, comma 2, c.p.c., il Collegio reputa opportuno disporre la rimessione della presente controversia al Primo Presidente, affinché valuti la sua assegnazione alle Sezioni Unite. P.Q.M. La Corte rimette il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.