Ruba qualche litro di gasolio al datore di lavoro, il danno lieve non esclude il licenziamento

La valutazione della proporzionalità del licenziamento disciplinare rispetto al fatto addebitato al lavoratore si basa sulle ripercussioni della condotta sul rapporto di lavoro e sulla sua idoneità a mettere in dubbio la futura correttezza del lavoratore nello svolgimento delle sue mansioni, a prescindere dall’entità del danno arrecato.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8816/17 depositata il 5 aprile. Il caso. Il Tribunale di Palermo, così come la Corte d’appello, rigettava la domanda proposta da un dipendente di Trenitalia per l’annullamento del licenziamento disciplinare intimatogli quale conseguenza per aver sottratto diversi litri di gasolio da un carrello di manovra. Il lavoratore ricorre per la cassazione della pronuncia di seconde cure sostenendo la sproporzione tra il fatto illecito e la sanzione del licenziamento per la tenuità del danno patrimoniale cagionato alla società il gasolio sottratto aveva un valore di poco meno di 30 euro , anche in relazione alla lunga durata del rapporto di lavoro. Giusta causa del licenziamento. La doglianza, fermi restando i profili di inammissibilità relativi alla valutazione delle circostanze di fatto, è invece infondata per quanto attiene alla giusta causa del licenziamento. Il Collegio ribadisce infatti il principio per cui la tenuità del danno cagionato al datore di lavoro non è di per sé sufficiente ad escludere la lesione del rapporto fiduciario intercorrente tra le parti, con la conseguenza che, ai fini della valutazione della proporzionalità del licenziamento rispetto al fatto addebitato al lavoratore, assume rilevanza la ripercussione della condotta sul rapporto di lavoro e la sua idoneità a mettere in dubbio la futura correttezza del lavoratore nello svolgimento delle sue mansioni e ciò a prescindere dall’entità del danno arrecato. La sentenza impugnata ha dunque correttamente valorizzato l’oggettiva gravità della condotta del ricorrente in quanto sintomatica del suo concreto atteggiamento nei confronti dei propri obblighi lavorativi sotto il profilo dell’obbligo di fedeltà. Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 15 dicembre 2016 – 5 aprile 2017, n. 8816 Presidente Nobile – Relatore Spena Fatti di causa Con ricorso al Tribunale di Palermo del 17.8.2011 M.S. , già dipendente di Trenitalia con mansioni di tecnico di manovra, impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli in data 18.11.2010 per avere prelevato durante il turno lavorativo del giorno 3.11.2010 circa venti litri di gasolio dal carrello di manovra deduceva la alterazione momentanea delle proprie condizioni psichiche e, comunque, la mancanza di proporzionalità della sanzione. Il giudice del lavoro, con sentenza del 22.11.2012 nr. 4773/2012 , rigettava la domanda. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 3.4-4.6/2014 nr. 717/2014 rigettava l’appello del M. . La Corte territoriale rilevava che con l’unico motivo di gravame l’appellante lamentava la erroneità della valutazione del Tribunale in punto di proporzionalità della sanzione. Osservava che non era dubbia la adeguatezza della sanzione il fatto commesso costituiva reato in danno del patrimonio aziendale mentre era del tutto irrilevante la limitata entità del valore del bene sottratto. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.S. , articolando un unico motivo. Ha resistito con controricorso Trenitalia spa. Le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione Si dà atto che il collegio ha autorizzato l’estensore a redigere motivazione semplificata. Con l’unico motivo il ricorrente ha denunziato - ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cpc - violazione o falsa applicazione dell’articolo 2119 cc. in relazione alla statuizione proporzionalità tra illecito e sanzione espulsiva nonché di ininfluenza, ai fini della integrazione della giusta causa di licenziamento, della tenuità del danno patrimoniale cagionato. Ha dedotto che il giudizio sulla gravità dell’illecito non poteva prescindere dal rilievo della entità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro. Nella fattispecie di causa la sottrazione di venti litri di gasolio, il cui valore corrispondeva a circa 25-30 Euro, avrebbe potuto giustificare una sanzione conservativa anche in ragione della assenza di precedenti disciplinari gravi e della lunga durata del rapporto di lavoro 22 anni la condotta era imputabile ad una debolezza momentanea piuttosto che alla determinazione di agire in violazione degli obblighi contrattuali. Doveva altresì considerarsi che la qualifica del ricorrente - tecnico di manovra - non comportava il maneggio di carburante per cui la condotta non lasciava dubitare della correttezza del futuro adempimento. Il motivo è in parte inammissibile in parte infondato. È inammissibile nella parte in cui sottopone a questa Corte una nuova valutazione delle circostanze di fatto, in particolare in punto di intenzionalità della condotta di sottrazione del carburante. La Corte di merito nell’esercizio del suo potere discrezionale di ricostruzione del fatto storico, ha accertato la volontarietà della condotta nella sua più grave forma delle premeditazione si veda a pagina due della sentenza tali modalità di consumazione dell’illecito, da un lato, escludono la asserita occasionalità della condotta e, dall’altro, ne dimostrano la pianificazione su tale giudizio non può essere sollecitato un nuovo esame, che esula dalle funzioni di questa Corte di legittimità. Peraltro nella, fattispecie neppure sarebbe deducibile il vizio della motivazione, sussistendo la preclusione di cui all’articolo 348 ter commi 4 e 5 cpc, applicabile ratione temporis il ricorso d’appello è del 21.5.2013 , per la conformità dell’accertamento di fatto compiuto nei due gradi di merito. Il motivo è infondato per quanto attiene alla dedotta violazione dell’articolo 2119 cc. Questa Corte ha reiteratamente affermato ex plurimis, Cass. nr. 13168/2015 Cass. n. 19684/14, Cass. n. 16864/06 e Cass. n. 16260/04 che la tenuità del danno non è da sola sufficiente ad escludere la lesione del vincolo fiduciario e che ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso viene in considerazione non già l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti. La Corte territoriale nel valorizzare la oggettiva gravità della condotta di sottrazione di un bene aziendale, sotto il profilo della patente violazione dell’obbligo di fedeltà e la intensità del dolo non è dunque incorsa nell’errore di diritto denunziato. Le spese seguono la soccombenza. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’articolo 1 co 17 L. 228/2012 che ha aggiunto il comma 1 quater all’articolo 13 DPR 115/2002 - della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100 per spese ed Euro 3.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.