La compatibilità tra le mansioni svolte e lo stato di salute del lavoratore

Il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione incompatibile con le sue condizioni di salute e il lavoratore, qualora lo ritenga opportuno, ha il diritto di chiedere che tale compatibilità venga accertata attraverso la sorveglianza sanitaria.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 6771/17 depositata il 15 marzo. Il caso. La lavoratrice veniva assunta dall’azienda come operaia addetta all’imballaggio di accessori di metallo ma, nel corso degli anni, le erano state assegnate mansioni diverse e non compatibili con le sue condizioni di salute. Dopo un periodo di assoluto riposo, su certificazione sanitaria ella si rimetteva a disposizione dell’azienda, chiedendo una visita del medico competente. L’azienda le negava la visita, in quanto le mansioni espletate non era soggette alla sorveglianza sanitaria e valutava la sua assenza dal lavoro come ingiustificata e non corrispondendole più la retribuzione. La lavoratrice, vittoriosa in primo grado ma soccombente in appello, propone ricorso in Cassazione. Il diritto di chiedere l’accertamento della compatibilità delle mansioni con il proprio stato di salute. La Corte di Cassazione afferma che la sentenza impugnata viola le disposizioni contenute nell’art. 10, commi 2 e 3, l. n. 69/99 laddove sancisce che il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni e che quest’ultimo ha il diritto di chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con le proprie condizioni di salute. Non solo, il Collegio, ritiene che tale decisione contrasti con la direttiva UE n. 391/89 che all’art. 6, comma 1 stabilisce che il datore di lavoro deve prendere le misure necessarie per la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, comprese le attività di prevenzione dei rischi professionali, evitandoli e garantendo un maggior livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori. Infine, concludono gli Ermellini, la sentenza non rispetta neppure la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con l. n. 18/2009 laddove l’art. 25 vieta le discriminazioni sul lavoro in base alla disabilità e l’art. 27 promuove il pieno inserimento nel lavoro di persone affette da disabilità. Per tutti questi motivi, la Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’appello per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 dicembre 2016 – 15 marzo 2017, numero 6771 Presidente Bronzini – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Urbino, C.C. esponeva di essere stata avviata al lavoro ex lege numero 68/99 e di essere stata assunta dalla D.M.M. s.p.a. in data 2.4.03 come operaia addetta all’imballaggio di accessori di metallo lamentava di essere stata adibita, nel corso degli anni, anche a mansioni diverse e non compatibili con le sue condizioni di salute epilessia focale ed esiti di intervento per sindrome del tunnel carpale che i sanitari le prescrissero un periodo di assoluto riposo dal 18.11.10 al 13.12.10, periodo poi prorogato, sulla base di certificazione sanitaria, sino al 29.3.11 di essersi subito dopo messa a disposizione dell’azienda, chiedendo la visita del medico competente, visita che le fu tuttavia negata in quanto le mansioni espletate non erano soggette alla sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 del d.lgs numero 81/2008, con conseguente valutazione della sua assenza dal lavoro come ingiustificata. Esponeva che un iniziale procedimento disciplinare venne archiviato dall’azienda, che tuttavia non le corrispose più la retribuzione. Chiedeva dunque la riammissione in servizio con le mansioni di operaia addetta all’imballaggio, con condanna della società al pagamento delle retribuzioni ed al versamento dei contributi previdenziali sin dal 30.3.11. Il Tribunale accoglieva le domande, condannando peraltro la società alla riammissione in servizio previa verifica sanitaria dell’idoneità alla mansione. Avverso tale sentenza proponeva appello la società resisteva la lavoratrice. Con sentenza depositata il 22 gennaio 2013, la Corte d’appello di Ancona riformava la decisione impugnata, rigettando l’originaria domanda della lavoratrice. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso quest’ultima, affidato a cinque motivi. Resiste la società con controricorso. Motivi della decisione 1.-Con il primo motivo la C. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41, commi 1 e 2, lett. e-ter del d.lgs. numero 81/2008, laddove la sentenza impugnata ritenne non obbligatoria la sorveglianza sanitaria e la visita medica a favore della ricorrente, al rientro da un periodo di assenze per motivi di salute superiore a 60 giorni continuativi. Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente che la visita sanitaria richiesta fosse subordinata ad una valutazione discrezionale del medico competente e che comunque le mansioni assegnate alla lavoratrice non rientravano tra quelle oggetto di specifico rischio lavorativo ai sensi dell’art. 41 cit 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41, commi 1 e 2 lett. c , nonché 25 che tuttavia non viene sviluppato nel motivo del d.lgs numero 81 /08, laddove la corte territoriale ritenne non obbligatoria la sorveglianza sanitaria e la visita medica richiesta dalla ricorrente pur avendo la stessa evidenziato specifici rischi alla sua salute , oltre ad omesso esame di fatti decisivi discussi tra le parti e cioè che la ricorrente aveva più volte segnalato alla società DMM la natura delle sue affezioni e le conseguenti limitazioni psicofisiche, l’usura lavorativa legata alle mansioni effettivamente assegnatele, differenti da quelle iniziali assegnatele e da quelle oggetto del collocamento mirato ed anche contrarie alle prescrizioni sanitarie, tali da averle causato un aggravamento delle condizioni di salute . Lamenta che la sentenza impugnata confuse le disposizioni di cui al comma 1, lett.a e quelle di cui al comma 2, lett. e ter dell’art. 41 e quelle di cui all’art. 25 del d.lgs numero 81/08 ritenne erroneamente che la richiesta di visita medica da parte della lavoratrice non comportasse un obbligo da parte del medico competente, e del datore di lavoro, di disporre la relativa sorveglianza sanitaria preventiva alla riammissione in servizio. In particolare, la pronuncia impugnata aveva applicato erroneamente l’art. 41, comma 1, e comma 2, lett. c d.lgs. numero 81/2008. Ed infatti, anche ammesso che l’attività della ricorrente rientrasse nella fascia cd. verde in tesi non soggetta alla sorveglianza sanitaria di cui ai commi 1 e 2, lett. e ter , lo stesso art. 41 dispone la obbligatorietà della sorveglianza sanitaria e della visita qualora vi sia correlazione da valutarsi ad opera dei medico competente tra la richiesta della lavoratrice e le sue condizioni di salute rischio di peggioramento sanitario , ovvero con gli specifici rischi professionali. 3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41, commi 1 e 2, nonché dell’art. 42 del d.lgs. numero 81/2008, anche in relazione agli artt. 1, 2 e 10 L. numero 68/99 ed alla Dir. 2000/78/CE, laddove la sentenza impugnata ritenne non obbligatoria la sorveglianza sanitaria e la visita medica in favore di lavoratore riconosciuto disabile e avviato al lavoro con collocamento mirato, oltre all’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio la sua disabilità e l’invalidità civile . 4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41 del d.lgs. numero 81 /2008, laddove la sentenza impugnata ritenne non obbligatoria la sorveglianza sanitaria e la visita medica in favore della lavoratrice su una base meramente formalistica riconducibilità delle mansioni alla cd. fascia verde , senza peraltro valutare tutte le mansioni svolte, che pure aveva chiesto di provare. 5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2087 e 1460 c.c., anche in relazione all’art. 32 Cost., all’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea 12.12.07 CDFUE , ed alla Dir. 89/391 CE concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori , nonché alle direttive 89/654-655-656 CE. Lamenta che la sentenza impugnata ritenne illegittima la mancata prestazione lavorativa e la correlata sospensione della retribuzione. Evidenzia che dalla disciplina nazionale e comunitaria discendeva l’illegittimità dell’espletamento delle mansioni affidatele, sicché la ricorrente ben si era astenuta dallo svolgimento dell’attività lavorativa ex art. 1460 c.c 5. I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati. Ed invero essi lamentano che la sentenza impugnata abbia erroneamente esaminato la disciplina a tutela del lavoratore inabile, esaminando solo la questione della previa sottoposizione alla visita medica e sorveglianza sanitaria previste dall’art. 41 del d.lgs numero 81/2008. La sentenza impugnata ha ritenuto che tali disposizioni siano applicabili solo nel caso in cui il lavoratore sia soggetto a sorveglianza sanitaria cui è intitolato il detto art. 41 , che sussiste, per quanto qui interessa, qualora il medico incaricato la ritenga correlata a specifici rischi lavorativi art. 41, comma 1, lett.b connessi ad attività particolari, elencate dalla Corte di merito pagg. 5 e 6 sentenza , tra cui a suo avviso non rientravano le mansioni di imballaggio di accessori in metallo secondo l’accertamento della corte distrettuale inserimento di minuteria metallica in apposite buste , come ritenuto dal sanitario attestazione del 26.4.11 . Non ha tuttavia valutato, pur facendone menzione a pag. 7 della sentenza, che la lavoratrice fu sottoposta a visita dal medico competente in base al d.lgs. numero 81/08 il 31 agosto 2012, documento allegato dalla C. , al numero 3 bis, nella memoria di costituzione in appello , con giudizio di inabilità alle mansioni assegnatele, così implicitamente ammettendo sia la sottoponibilità della ricorrente alla visita sanitaria, sia la sua incompatibilità con le mansioni assegnatele. Deve allora considerarsi che la sentenza impugnata ha violato le disposizioni di cui alla terza e quinta censura, e cioè l’art. 10 della L. numero 68/99 comma 2, secondo cui il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni, e comma 3, secondo cui il disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute , oltre che gli artt. 2087 c.c. e 32 Cost., ed inoltrefa Direttiva Europea numero 391/89, il cui art. 6, comma 1, stabilisce che il datore di lavoro prende le misure necessarie per la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, comprese le attività di prevenzione dei rischi professionali evitando i rischi e garantendo un miglior livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori. La sentenza contrasta altresì con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, resa a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia con legge 3 marzo 2009, numero 18, il cui art. 25 fa divieto di discriminazioni sul lavoro in base alla disabilità ed il cui art. 27 promuove il pieno inserimento nel lavoro di persone affette da disabilità. In particolare l’art. 25 raccomanda il diritto all’inclusione e l’accessibilità al lavoro alle persone con disabilità. L’art. 27 riconosce il diritto delle persone con disabilità al lavoro, su base di parità con gli altri, ivi compreso un ambito lavorativo che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilità, in condizioni di sicurezza e salubrità. 6. Il ricorso deve essere pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, affinché accerti le conseguenze del diritto della ricorrente al rifiuto di svolgere mansioni per cui sia risultata inidonea. La sentenza provvederà anche alla regolamentazione delle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bologna.