La maggiorazione retributiva per il lavoro notturno si applica anche ai lavoratori part time

In tema di lavoro a tempo parziale, il rispetto del principio di non discriminazione, di cui all'art. 4 d.lgs. n. 61/2000, attuativo della direttiva 97/81/Ce relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale, comporta che il lavoratore in regime di part-time non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno inquadrato nello stesso livello.

Lo afferma la Corte di Cassazione sezione lavoro con la sentenza n. 6087, pubblicata il 9 marzo 2017. Con riguardo in particolare al lavoro notturno, l'art. 11, comma 10, CCNL per i dipendenti da società e consorzi concessionari di autostrade e trafori del 16 febbraio 2000, che prevede la maggiorazione retributiva per il lavoro notturno, si applica anche ai lavoratori in regime part time che abbiano lo stesso livello di inquadramento e svolgano le stesse modalità di prestazione lavorativa del personale turnista a tempo pieno, in quanto la maggiore retribuzione per i lavoratori impiegati in turni continui e avvicendati non può essere esclusa in caso di diversità di sequenza oraria, che, tuttavia, contempli il lavoro notturno con caratteristiche di costanza, dovendosi ritenere che una diversa interpretazione contrasti con il principio di non discriminazione di cui all'art. 4 d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, attuativo della direttiva 97/81/CE. La vicenda esaminata. Una lavoratrice dipendente di un’azienda concessionaria di autostrade agiva in giudizio al fine di ottenere il pagamento delle differenze di retribuzione derivanti dalla diversa retribuzione oraria e dalla maggiorazione per il lavoro notturno, in misura pari a quella erogata ai lavoratori con contratto a tempo pieno. Il Tribunale del lavoro accoglieva la domanda, condannando di conseguenza l’azienda al pagamento delle differenze dovute. L’azienda proponeva appella ma la Corte d’appello lo rigettava, confermando la decisione di primo grado. Proponeva ricorso in Cassazione l’Azienda. Il principio di non discriminazione ex art. 4 d.lgs. n. 61/2000. Aspetto nodale della controversia esaminata dalla Corte riguarda l’applicazione dell’art. 4 d.lgs. 25 febbraio 2000 n. 61 norma che così recita Fermi restando i divieti di discriminazione diretta ed indiretta previsti dalla legislazione vigente, il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui all'art. 1, comma 3, per il solo motivo di lavorare a tempo parziale . La lavoratrice aveva dedotto in giudizio una diversa ed errata applicazione della retribuzione oraria e delle maggiorazioni per il lavoro notturno, erogate in misura inferiore rispetto a quanto corrisposto ai lavoratori full-time, inquadrate nel medesimo livello contrattuale. L’azienda a sua volta sostiene, proponendo sul punto motivi di impugnazione della sentenza d’appello, che per verificare il rispetto dell’art. 4 citato non è corretto limitarsi a comparare il lavoratore part-time con quello full-time inquadrato nello stesso livello, ma devono essere prese in considerazione anche altre caratteristiche della prestazione del lavoratore part-time e tenendo conto di queste deve essere individuato il lavoratore full-time compatibile. La Suprema Corte ribadisce il principio di non discriminazione. Secondo il Collegio di legittimità, l’interpretazione resa dall’azienda non è fondata ed è contraria ai principi di diritto già in precedenza elaborati dalla Suprema Corte. L'applicazione del principio di non discriminazione comporta che a il lavoratore a tempo parziale benefici dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione oraria la durata del periodo di prova e delle ferie annuali la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia infortuni sul lavoro, malattie professionali l'applicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro l'accesso ad iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro l'accesso ai servizi sociali aziendali i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dai contratti collettivi di lavoro i diritti sindacali, ivi compresi quelli di cui al titolo 3° della L. 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni b il trattamento del lavoratore a tempo parziale sia riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa l'importo della retribuzione feriale l'importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità. Resta ferma la facoltà per il contratto individuale di lavoro e per i contratti collettivi, di cui all'art. 1, comma 3, di prevedere che la corresponsione ai lavoratori a tempo parziale di emolumenti retributivi, in particolare a carattere variabile, sia effettuata in misura più che proporzionale. E dunque, secondo gli Ermellini, alla luce di tali disposizioni normative deve trarsi la conclusione che il rispetto del principio di non discriminazione, di cui al d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, art. 4, attuativo della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo - quadro sul lavoro a tempo parziale, per effetto del quale il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale, secondo tale disposizione, quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui all'art. 1, comma 3, del citato decreto contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, contratti collettivi territoriali stipulati dai medesimi sindacati e contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali, di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 19 e successive modificazioni , esclude che la suddetta comparazione possa eseguirsi in base a criteri diversi da quello contemplato dalla norma con esclusivo riferimento all'inquadramento previsto dalle fonti collettive, per cui non possono valere criteri alternativi di comparazione, quale quello del sistema della turnazione continua ed avvicendata seguita dai lavoratori a tempo pieno. Il richiamo operato dall’azienda ricorrente a quest'ultimo sistema di turnazione a sostegno delle proprie censure appare infondato. E corretta viene a porsi la decisione della corte d’appello, impugnata dal datore di lavoro. Dai principi sopra enunciati è derivato il rigetto del ricorso proposto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 novembre 2016 – 9 marzo 2017, n. 6087 Presidente Di Cerbo – Relatore Esposito Svolgimento del processo 1.La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 10/12/2012 confermò la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda avanzata da A.S. - dipendente di Autostrade per l’Italia in virtù di contratto a tempo indeterminato a prestazione part time a 80 ore mensili, articolate su turni giornalieri di 8 ore ciascuno per un minimo di 10 giorni al mese e 120 giorni l’anno - con la quale costei, esponendo che al personale part time era corrisposta una retribuzione oraria inferiore a quella dovuta al personale dipendente a tempo pieno, aveva chiesto la condanna della società al pagamento delle differenze maturate con le maggiorazioni per il lavoro notturno. 2. A fondamento della decisione la Corte territoriale rilevò che il rispetto del principio di non discriminazione di cui al D.Lgs. 25 febbraio 2000 n. 61 art. 4, per effetto del quale il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi , esclude che per la suddetta comparazione possano valere criteri alternativi di comparazione, diversi da quello contemplato dalla norma con esclusivo riferimento all’inquadramento del lavoratore. Ritenne, inoltre, che non fosse fondato il rilievo della società, secondo il quale i lavoratori a tempo pieno alle sue dipendenze non potevano essere presi come termine di paragone nell’applicazione del concetto di lavoratore a tempo pieno comparabile in ragione del fatto che essi svolgevano turni continui e avvicendati, poiché la norma, nel prevedere espressamente che per lavoratori a tempo pieno comparabili dovessero intendersi quelli inquadrati nello stesso livello secondo i criteri di classificazione dei contratti collettivi, esclude che ci si possa riferire a circostanze di fatto diverse, quali quelle inerenti alle caratteristiche della continuità e dell’avvicendamento dei turni. 2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società sulla base di quattro motivi, illustrati con memorie. La A. resiste con controricorso. Il collegio ha autorizzato, come da decreto del Prima Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata. Motivi della decisione 1. Va esaminata preliminarmente la questione proposta con il controricorso dalla lavoratrice, la quale deduce l’inammissibilità del ricorso per l’omessa formulazione dei quesiti di diritto a mente dell’art. 366 bis c.p.c La stessa è infondata. La norma invocata, abrogata con la legge 69/2009, non trova applicazione al ricorso in argomento, poiché la sentenza impugnata risulta depositata successivamente all’entrata in vigore della legge menzionata, la quale, all’art. 58 ultimo comma, prevede, in deroga alla disciplina generale, l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 47 della stessa legge contemplante anche l’abrogazione dell’art. 366 bis, relativo al quesito di diritto alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato . successivamente alla data di entrata in vigore della legge . Vengono, quindi, di seguito esaminati i motivi di ricorso. 2.Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 4 comma 1 e dell’art. 1 comma 3 del D.Lgs. 61 del 2000 art. 360 n. 3 c.p.c. .Rileva che per verificare il rispetto dell’art. 4 del d.lgs. non è corretto limitarsi a comparare il lavoratore part time con il lavoratore full time inquadrato nello stesso livello del medesimo contratto collettivo, ma, in ragione dell’espresso richiamo all’art. 1 comma 3 dello stesso d.lgs., devono essere prese in considerazione anche le altre caratteristiche tra cui le modalità temporali della prestazione del lavoratore part time tenendo conto di queste deve essere individuato il lavoratore fuil time compatibile. 3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio art. 360 n. 5 c.p.c. . Rileva che, avendo la Corte d’appello comparato il trattamento della ricorrente con quello del lavoratore full time che opera in turni continui e avvicendati, ha omesso di valutare e considerare le sostanziali differenze tra le due tipologie di contratto. Osserva che il trattamento di miglior favore è stato riconosciuto a tale peculiare figura in ragione della maggiore gravosità dei turni, che vengono realizzati per tutto l’anno durante l’intero arco della settimana, senza alcun distinguo per la domenica e per i turni notturni. 4. Con la terza doglianza la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 4 comma 2 del D.Lgs. 61 del 2000 art. 360 n. 3 c.p.c. . Rileva l’erronea interpretazione da parte della Corte del secondo comma dell’art. 4 D.Lgs. 61 dei 2000, posto che la corretta attività ermeneutica della norma richiede che si debba partire necessariamente dal contenuto della disposizione di cui alla lettera a , che attribuisce al lavoratore part time il diritto alla medesima retribuzione oraria di un lavoratore full time, mentre la norma non dispone che il lavoratore part time non riceva un trattamento meno favorevole per quanto riguarda la retribuzione globale. Osserva che una lettura coordinata delle due disposizioni conduce ad affermare che il secondo comma del citato art. 4 debba essere interpretato nel senso che sia garantita al lavoratore part time la stessa retribuzione oraria del lavoratore full time. Il legislatore, quindi, avrebbe imposto l’equiparazione con riferimento alla sola retribuzione, consentendo che il lavoratore full time possa teoricamente anche ricevere una remunerazione complessivamente maggiore. La comparazione, pertanto, non poteva essere compiuta avendo riguardo alla retribuzione complessiva mensile che percepisce il lavoratore full time, perché quest’ultima tiene conto dell’impegno a tempo pieno del dipendente in favore di un solo datore. 5. Con l’ultimo motivo la ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio art. 360 n. 5 c.p.c. . Rileva che la Corte territoriale ha confermato anche il preteso diritto della A. alle maggiorazioni di cui all’art. 11, comma 10 CCNL, disattendendo le circostanze in punto di fatto che erano state poste in rilievo dalla società e cioè che la turnazione cui era soggetta la ricorrente era diversa da quella che caratterizza i turni continui e avvicendati. 6. Le censure esposte possono essere trattate congiuntamente in ragione dell’intima connessione. La prima e la terza propongono sotto il profilo della violazione di legge, la seconda e la quarta sotto quello del vizio di motivazione un’interpretazione delle norme richiamate difforme da quella offerta dai giudici del merito. Le ultime due censure menzionate, per come prospettate, non denunciando l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, devono essere ritenute inammissibili, in quanto non rispondenti ai criteri di formulazione di cui al nuovo 360 n. 5 c.p.comma Quanto alla prima e alla terza doglianza, va rilevato che la decisione della Corte territoriale rispecchia l’orientamento costantemente espresso in materia dalla giurisprudenza di legittimità, in forza del quale In tema di lavoro a tempo parziale, il rispetto del principio di non discriminazione, di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 61 del 2000, attuativo della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo - quadro sul lavoro a tempo parziale, comporta che il lavoratore in regime di part-time non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, che va individuato esclusivamente in quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui all’articolo 1, comma 3 dello stesso decreto contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, contratti collettivi territoriali stipulati dai medesimi sindacati e contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali, di cui all’art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni . Ne consegue che, ai fini della suddetta comparazione, non sono ammissibili criteri alternativi, quale quello del sistema della turnazione continua ed avvicendata seguita dai lavoratori a tempo pieno in tal senso Cass. n. 17726 del 29/08/2011, Rv. 618838 - 01 . Per quanto, poi, specificamente attiene alla comparazione con il lavoratori turnisti a tempo pieno in relazione alle maggiorazioni per lavoro notturno, questa Corte ha chiarito, altresì, che L’art. 11, comma 10, del c.c.n.l. per i dipendenti da società e consorzi concessionari di autostrade e trafori del 16 febbraio 2000, che prevede la maggiorazione retributiva per il lavoro notturno, si applica anche ai lavoratori in regime part time che abbiano lo stesso livello di inquadramento, e svolgano le stesse modalità di prestazione lavorativa del personale turnista a tempo pieno, in quanto la maggiore retribuzione per i lavoratori impiegati in turni continui e avvicendati non può essere esclusa in caso di diversità di sequenza oraria, che, tuttavia, contempli il lavoro notturno con caratteristiche di costanza, dovendosi ritenere che una diversa interpretazione contrasti con il principio di non discriminazione di cui all’art. 4 del d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, attuativo della direttiva 97/81/CE. Cass. N. 24333 del 2014 Rv. 633671 - 01, conf. Cass. Sez. L, Sentenza n. 20843 del 15/10/2015, Rv. 636941 - 01 . 7. In base alle svolte argomentazioni il ricorso deve essere integralmente rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore del difensore della A. , avv. Antonio Pelaggi, il quale ne ha fatto espressa richiesta in sede di controricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.