Sanzionato il dipendente part-time che utilizza la mensa aziendale

Legittimo il provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore. A lui, da contratto, era concessa solo la pausa caffè. Il servizio mensa, invece, era previsto solo per i dipendenti full-time.

Niente servizio mensa” per il lavoratore con contratto part-time. A sancirlo i Giudici, ritenendo legittima la sanzione disciplinare decisa da un’azienda nei confronti del dipendente beccato a utilizzare la mensa presente in sede Cassazione, sentenza n. 4661/17, sez. Lavoro, depositata il 23 febbraio . Pausa. Punto di svolta è il giudizio d’appello. Lì, in opposizione a quanto deciso in Tribunale, viene sancita la legittimità del provvedimento disciplinare adottato da un’azienda nei confronti del dipendente beccato a usufruire ripetutamente della mensa durante l’orario di lavoro, pur non prevedendo, il contratto di lavoro a tempo parziale, né pause né il godimento del servizio previsto invece per i dipendenti a tempo pieno. Per i Giudici è evidente la scorrettezza del comportamento tenuto dal lavoratore, che, contravvenendo a un preciso divieto contrattuale , ha fruito in maniera sistematica di un servizio a lui precluso . Unico diritto del dipendente, come da contratto, è quello alla cosiddetta pausa caffè, con una durata massima, però, di soli 15 minuti. E secondo i Giudici è impensabile che egli, quotidianamente, abbia potuto consumare un pasto in appena 900 secondi. Logico, quindi, dedurre, concordano anche i magistrati della Cassazione, che il lavoratore abbia approfittato della mensa, non prevista, però, dal suo contratto a tempo parziale. Ciò ha significato un ulteriore non previsto dispendio per l’azienda, che si era accollato il costo esclusivamente per i dipendenti full-time . Legittimo perciò il provvedimento disciplinare deciso dalla società.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 ottobre 2016 – 23 febbraio 2017, n. 4661 Presidente Di Cerbo – Relatore Esposito Svolgimento del processo 1.Con sentenza del 5 maggio 2011, la Corte d'appello di Firenze, in riforma della decisione del giudice di primo grado, rigettò la domanda avanzata da C. C., dipendente di Enel distribuzione s.p.a., nei confronti della predetta società e volta alla declaratoria di nullità del provvedimento disciplinare allo stesso comminato in ragione dell'avere ripetutamente usufruito del servizio mensa durante l'orario di lavoro, pur non prevedendo il contratto di lavoro - a tempo parziale - pause di lavoro e il godimento del servizio. 2.Rilevava la Corte territoriale la scorrettezza del comportamento del lavoratore, il quale, contravvenendo a un preciso divieto contrattuale, aveva pacificamente fruito in maniera sistematica di un servizio precluso nel corso dell'orario di lavoro. Concludeva affermando che la sanzione era legittima e proporzionata alla gravità del fatto. 3.Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il C. sulla base di un unico motivo. La società resiste con controricorso e depositando memorie ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1.Si premette che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata. 2. Con l'unico motivo il ricorrente deduce art. 360 c. V c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Osserva che la motivazione addotta appare insufficiente e contraddittoria, poiché si basa in chiave logico-deduttiva esclusivamente sulla supposta impossibilità di consumare un pasto in 15 minuti. Rileva che, una volta ammessa la legittimità della pausa caffè, era necessario dimostrare che per tutte le pause in contestazione il ricorrente avesse consumato un pasto o ecceduto rispetto ai quindici minuti consentiti. 3.Il motivo non merita accoglimento. In primo luogo è da rilevare che la censura non è conforme alla formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. nel testo vigente ratione temporis D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 , difettando l'indicazione del fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione al quale sarebbe riscontrabile l'omissione, l'insufficienza o la contraddittorietà della motivazione. In secondo luogo la doglianza non tiene conto di circostanze decisive poste dalla Corte territoriale a fondamento della decisione, connotate da logicità il riferimento è alle argomentazioni in punto di dispendio di spesa correlato alla fruizione del servizio mensa, in relazione al quale il datore di lavoro si è accollato contrattualmente un ulteriore costo esclusivamente per i dipendenti full time. 4. Sulla base delle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.