Lo spostamento del funzionario pubblico ad altro settore con organico ridotto ma a pari stipendio non è demansionamento

Nel settore del lavoro negli enti locali si applicano le regole privatistiche ma resta la particolarità del datore di lavoro pubblico sull’organizzazione del lavoro pesano dunque i vincoli della finanza pubblica e dell’importanza del pubblico interesse. E’ pertanto legittima l’assegnazione del dipendente ad altre funzioni considerate equivalenti dal contratto collettivo nazionale.

Con la sentenza n. 2011/17 depositata il 26 gennaio, la Corte di Cassazione ha affermato che è da escludersi il demansionamento per il funzionario pubblico con responsabilità, nel caso in esame si trattava di un ente locale, che viene trasferito ad un altro settore con un organico ridotto rispetto all’ufficio di provenienza, ma con lo stesso trattamento economico. Il contenzioso. La Corte d’appello aveva confermato il rigetto della domanda proposta nei confronti del Comune, avente ad oggetto il risarcimento dei danni che il ricorrente, dipendente pubblico con inquadramento in posizione D3, assumeva essergli derivati dal mutamento organizzativo disposto dal Comune nel 2002 in forza del quale era stato spostato dal settore Manutenzione e Ambiente, di cui era responsabile, al settore Protezione civile, Sicurezza del territorio e Tutela del patrimonio, sempre in funzione di preposto. La Corte distrettuale, premesso che nel 2002 il Comune aveva proceduto ad una riorganizzazione interna delle aree, creando un autonomo settore alla cui direzione aveva posto il funzionario ricorrente, ha osservato che non vi era stata né riduzione dello stipendio né variazione del carattere apicale della posizione ricoperta dallo stesso, mentre nessun rilievo potevano avere le circostanze addotte dall'appellante a sostegno del prospettato demansionamento, ossia la riduzione del budget di spesa in precedenza di cospicua entità e il ridotto organico dell'ufficio da 5-6 operai ad un solo addetto, ma con attribuzione dei coordinamento di un gruppo di 25 volontari per la protezione civile . Ha aggiunto che doveva piuttosto evidenziarsi l'importanza del neo-istituto Settore della Protezione civile, Sicurezza del territorio e Tutela del patrimonio, creato per la gestione degli interventi in caso di calamità naturali e in situazioni di pronto intervento, incidenti sulla salute e l'incolumità pubblica, a maggior ragione poi in un territorio come quello veneto, assai soggetto ad esondazione dei corsi d'acqua e a fenomeni alluvionali, anche gravi . Avverso la sentenza sfavorevole il funzionario pubblico è ricorso in Cassazione. Il funzionario pubblico censura la sentenza della Corte d’appello per avere omesso di individuare il contenuto delle mansioni svolte dal ricorrente in qualità di responsabile dell'Ufficio Manutenzione e Assetto del territorio e di porle a confronto con quelle successivamente attribuite, implicanti la gestione di un limitato portafoglio di spesa, la comprovata riduzione di orario e di impegno lavorativo, il coordinamento di una sola impiegata. L’analisi della Cassazione. Per i Giudici di legittimità il ricorso è palesemente infondato. La riconduzione della disciplina del lavoro pubblico alle regole privatistiche del contratto e dell'autonomia privata individuale e collettiva, con conseguente devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario, non ha eliminato la perdurante particolarità del datore di lavoro pubblico che, pur munito nella gestione degli strumenti tipici del rapporto di lavoro privato, per ciò che riguarda l'organizzazione del lavoro resta pur sempre condizionato da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria generale. In particolare va rilevato che il d.lgs. n. 165/2001 ha disciplinato interamente la materia delle mansioni all’art. 52, e, al comma 1, ha sancito il diritto del dipendente ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi testo anteriore alla sostituzione operata dal d.lgs. n. 150/2009, art. 62, comma 1 . La lettera del citato art. 52, comma 1, specifica un concetto di equivalenza formale”, ancorato cioè ad una valutazione demandata ai contratti collettivi, e non sindacabile da parte del giudice. Ne segue che, condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito in una precedente fase del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza cfr. SS.UU. n. 8740/08 , è principio costante nella giurisprudenza della Cassazione che, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, non si applica l'art. 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dal d.lgs. n. 165/2001, art. 52 come già detto, nel testo anteriore alla novella recata dai d.lgs, n. 150/2009, art. 62, comma 1, inapplicabile ratione temporis al caso in esame , che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della P.A., solo al criterio dell'equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo alla citata norma codicistica ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione. Le conclusioni. Per i Giudici di legittimità non è ravvisabile alcuna violazione dell'art. 52, d.lgs. n. 165/01, qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni. Restano, dunque, insindacabili tanto l'operazione di riconduzione in una determinata categoria di determinati profili professionali, essendo tale operazione di esclusiva competenza dalle parti sociali, quanto l'operazione di verifica dell'equivalenza sostanziale tra le mansioni proprie del profilo professionale di provenienza e quelle proprie del profilo attribuito, ove entrambi siano riconducibili nella medesima declaratoria. La Corte di Cassazione, pertanto, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 novembre 2016 – 26 gennaio 2017, n. 2011 Presidente Macioce – Relatore Blasutto Svolgimento del processo 1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 638/10, ha confermato il rigetto della domanda proposta da C.A. nei confronti del Comune di , avente ad oggetto il risarcimento dei danni che il ricorrente, dipendente pubblico con inquadramento in posizione D3, assumeva essergli derivati dal mutamento organizzativo disposto dal Comune nel 2002 in forza del quale era stato spostato dal settore Manutenzione e Ambiente, di cui era responsabile, al settore Protezione civile, Sicurezza del territorio e Tutela del patrimonio, sempre in funzione di preposto. 2. La Corte distrettuale, premesso che nel 2002 il Comune di aveva proceduto ad una riorganizzazione interna delle aree, creando un autonomo settore alla cui direzione aveva posto il geom. C. , ha osservato che non vi era stata né riduzione dello stipendio né variazione del carattere apicale della posizione ricoperta dal funzionario, mentre nessun rilievo potevano avere le circostanze addotte dall’appellante a sostegno del prospettato demansionamento, ossia la riduzione del budget di spesa in precedenza di cospicua entità e il ridotto organico dell’ufficio da 5-6 operai ad un solo addetto, ma con attribuzione del coordinamento di un gruppo di 25 volontari per la protezione civile . Ha aggiunto che doveva piuttosto evidenziarsi l’importanza del neo-istituto Settore della Protezione civile, Sicurezza del territorio e Tutela del patrimonio, creato per la gestione degli interventi in caso di calamità naturali e in situazioni di pronto intervento, incidenti sulla salute e l’incolumità pubblica, a maggior ragione poi in un territorio come quello veneto, assai soggetto ad esondazione dei corsi d’acqua e a fenomeni alluvionali, anche gravi . 3. Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto ricorso affidato ad un motivo. Resiste il Comune di con controricorso. 4. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Con unico motivo si denuncia violazione dell’art. 2103 c.c. e vizio di motivazione art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. per avere la Corte di appello omesso di individuare il contenuto delle mansioni svolte dal ricorrente in qualità di responsabile dell’Ufficio Manutenzione e Assetto del territorio e di porle a confronto con quelle successivamente attribuite, implicanti la gestione di un limitato portafoglio di spesa, la comprovata riduzione di orario e di impegno lavorativo, il coordinamento di una sola impiegata. Ove il raffronto richiesto dall’art. 2103 c.c. fosse stato effettuato, il demansionamento sarebbe emerso con certezza. 2. Il ricorso è palesemente infondato. 3. La riconduzione della disciplina del lavoro pubblico alle regole privatistiche del contratto e dell’autonomia privata individuale e collettiva, con conseguente devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario, non ha eliminato la perdurante particolarità del datore di lavoro pubblico che, pur munito nella gestione degli strumenti tipici del rapporto di lavoro privato, per ciò che riguarda l’organizzazione del lavoro resta pur sempre condizionato da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria generale. In questa ottica il d.lgs. n. 165 del 2001 ha disciplinato interamente la materia delle mansioni all’art. 52, e, al comma 1, ha sancito il diritto del dipendente ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi testo anteriore alla sostituzione operata dal d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 62, comma 1 . La lettera del citato art. 52, comma 1, specifica un concetto di equivalenza formale , ancorato cioè ad una valutazione demandata ai contratti collettivi, e non sindacabile da parte del giudice. Ne segue che, condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità specifica che il lavoratore possa avere acquisito in una precedente fase del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A 3.2. A partire dalla sentenza resa dalle Sezioni Unite n. 8740/08, è principio costante nella giurisprudenza di questa Corte che, in materia di pubblico impiego contrattualizzzato, non si applica l’art. 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 come già detto, nel testo anteriore alla novella recata dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 62, comma 1, inapplicabile ratione temporis al caso in esame - che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della P.A., solo al criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo alla citata norma codicistica ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione Cass. n. 17396/11 Cass. n. 18283/10 Cass. sez.un. n. 8740/08 v. più recentemente, Cass. n. 7106 del 2014 e n. 12109 e n. 17214 del 2016 . Dunque, non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165/01 qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni. Restano, dunque, insindacabili tanto l’operazione di riconduzione in una determinata categoria di determinati profili professionali, essendo tale operazione di esclusiva competenza dalle parti sociali, quanto l’operazione di verifica dell’equivalenza sostanziale tra le mansioni proprie del profilo professionale di provenienza e quelle proprie del profilo attribuito, ove entrambi siano riconducibili nella medesima declaratoria. 3.3. Condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita, evidentemente ritenendosi che il riferimento all’aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico cfr. Cass. n. 11835 del 2009 . 3.4. Tale nozione di equivalenza in senso formale, mutuata dalle diverse norme contrattuali del pubblico impiego, comporta che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente l’equivalenti, sono esigibili e l’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro. 3.5. Resta comunque salva l’ipotesi che la destinazione ad altre mansioni comporti il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa. Trattasi di questione che, tuttavia - giova rimarcare - esula dall’ambito delle problematiche sull’equivalenza delle mansioni, configurandosi nella diversa ipotesi della sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego Cass. n. 11835 del 2009, n. 11405 del 2010, nonché Cass. n. 687 del 2014 . 4. Alla stregua della sentenza impugnata, risulta positivamente accertato che la direzione dell’unità denominata Settore 07 Protezione civile, Sicurezza del territorio e Tutela del Patrimonio del Comune di corrispondesse ad una posizione organizzativa di categoria D. Pertanto, escluso il diritto del dipendente pubblico a permanere in un determinata posizione alla stregua di una verifica in senso sostanziale della equivalenza, la preposizione a tale unità organizzativa non costituisce violazione dell’art. 52 d.lgs. n. 165/01. 5. In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.