Il lavoratore a progetto riceve le direttive dal gestore del supermercato? C’è la subordinazione

Indipendentemente dagli accordi contrattuali tra la società committente e la società dove il collaboratore a progetto svolge la sua attività, se quest’ultimo è concretamente sottoposto al potere direttivo ed organizzativo, il rapporto deve essere qualificato come lavoro subordinato.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1997, depositata il 26 gennaio 2017. Il caso. La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso dal collaboratore assunto con contratti a progetto da una società commerciale per svolgere il servizio di take away presso il supermercato gestito da un’altra società. I giudici di merito, in entrambi i gradi di giudizio, hanno ritenuto che in realtà, nella fattispecie, non si fosse in presenza di un contratto di merchandising avente ad oggetto l’esposizione di prodotti negli spazi del supermercato – come risultante dagli accordi tra le due società – ma che il gestore del supermercato avesse agito come effettivo datore di lavoro, dirigendo e controllando il lavoratore in luogo della società committente. Contro la pronuncia della Corte territoriale ha presentato ricorso per cassazione il gestore del supermercato, eccependo l’insussistenza dei presupposti per l’affermazione della natura subordinata del rapporto nonché l’insufficienza della motivazione, sostenendo che gli elementi valorizzati in sentenza fossero del tutto compatibili con l’assetto contrattuale emergente dagli accordi tra le due imprese. Qualificazione del rapporto di lavoro il contratto di merchandising non conta se ci sono gli elementi della subordinazione. La pronuncia in commento ricorda che, per costante giurisprudenza, la qualificazione del rapporto spetta al giudice di merito, purché sia idoneamente motivata. Nella fattispecie, la Corte d’appello ha ritenuto che, in realtà, nonostante gli accordi tra le due società, si fosse svolto un rapporto di lavoro di natura subordinata tra la committente ed il gestore del supermercato ricorrente in relazione al servizio di take away negli spazi commerciali di quest’ultimo poiché erano i dirigenti del supermercati a dare le direttive di lavoro, stabilendo quali erano i prodotti in offerta ed il relativo prezzo, effettuando i controlli ed impartendo disposizioni, oltre a stabilire i turni e le pause, lamentandosi per le inosservanze, mentre nessuno dell’altra società si è mai presentato a verificare alcunché o a regolare i tempi dello svolgimento del lavoro. Gli elementi accertati nel giudizio di merito ed indicati nella sentenza impugnata sono certamente idonei alla riconduzione del rapporto in questione allo schema di cui all’art. 2094 c.c , posto che tali elementi denotano un assoggettamento del lavoratore al potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro tipico di tale figura contrattuale. Se non c’è l’autonomia, il lavoratore non è a progetto”. Come noto, l’autonomia del collaboratore nello svolgimento dell’attività lavorativa e la gestione della stessa in funzione del risultato sono elementi essenziali della natura autonoma del lavoro a progetto il committente – e, a maggior ragione, un terzo – non ha alcuna possibilità di ingerenza ed è ininfluente il tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa, in quanto è determinante la realizzazione del progetto di lavoro convenuto. Pertanto, la giurisprudenza di merito ha affermato che, attesa l’indifferenza del tempo impiegato dal collaboratore nell’attività lavorativa, l’obbligazione derivante dal contratto a progetto non può essere di durata cfr. Tribunale di Modena, 21 febbraio 2006 . Se la motivazione è adeguata, la Cassazione non ammette alcuna rivalutazione del fatto. In presenza di una sentenza congruamente e logicamente motivata in ordine alla qualificazione del rapporto, coerente con la giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte censura il ricorso presentato dal gestore del supermercato in quanto i motivi in esso contenuti tendono sostanzialmente ad una rivalutazione del fatto”, come tale inammissibile nel giudizio di cassazione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 ottobre 2016 – 26 gennaio 2017, n. 1997 Presidente Di Cerbo – Relatore Bronzini Svolgimento del processo La Corte di appello di Milano riteneva confermando la sentenza definitiva del Tribunale Milano la sussistenza di una interposizione fittizia tra la Coop Lombardia Soc. Coop a.r.l., e C. R. assunta con contratti a progetto dalla Am Promotion s.r.l. dal 1999 per essere impiegata per il servizio di take away nel supermercato di Mirabello di Cantò gestito dalla detta Coop. La Corte di appello, come il Tribunale, rilevava che non ci si trovasse in realtà in presenza di un contratto di merchandising avente per oggetto l'esposizione dei prodotti di salumeria negli spazi del supermercato come dedotto dalla Coop. e come risultante dagli accordi tra le due società ma che la Coop. appellante avesse agito come effettivo datore di lavoro il Tribunale aveva stabilito la sussistenza del rapporto a tempo indeterminato tra le parti di tipo subordinato dal primo contratto a progetto escludendo il periodo in cui la lavoratrice aveva dedotto di aver lavorato senza contratto . La Corte territoriale osservava che era emerso che erano i dirigenti del supermercato a dare le direttive di lavoro stabilendo quali erano i prodotti in offerta ed il relativo prezzo, effettuando i controlli ed impartendo disposizioni, oltre a stabilire i turni e la pause, lamentandosi per le inosservanze, mentre nessuno dell'altra società si era mai presentato a verificare alcunché o a regolare i tempi dello svolgimento del lavoro come riferito dai testi. La Corte di appello accoglieva in parte l'appello della Coop. limitando la some spettante a 38.098,56 Euro tenuto conto dell'importo delle somme effettivamente corrisposte alla lavoratrice. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso principale la Coop Lombardia con due motivi resiste la lavoratrice con controricorso che ha proposto ricorso incidentale con due motivi cui resiste controparte con controricorso. La Coop. Lombardia ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza. Motivi della decisione La Corte rilevato che con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione dell'art. 2094 cc. e dell'art. 1 L. n. 1369/1960, degli artt. 1 e 10 L. n. 196/1997 e degli artt. 20 e 27 D.Lgs. n. 276/2003 non sussistendo nel caso in esame i presupposti, come fissati dalla giurisprudenza della Corte di legittimità, per affermare la natura subordinata del rapporto e con il secondo motivo si allega l'illogicità, contraddittorietà ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata in quanto gli elementi valorizzati in sentenza erano del tutto compatibili con l'assetto contrattuale come emergente dagli accordi tra le due imprese e non comprovavano l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la Coop. ricorrente rilevato che i due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto vertono sulle medesime questioni ritenuto che per costante giurisprudenza la qualificazione del rapporto spetta al Giudice di merito purché sia idoneamente motivata e che sul punto la Corte di appello confermando peraltro quanto già stabilità dal giudice di prime cure ha ritenuto che in realtà, nonostante gli accordi tra le società ricordate in premessa, si fosse svolto un rapporto di lavoro di natura subordinata tra la R. e la Coop. ricorrente in relazione al servizio di take away nel supermercato di Mirabello di Cantù gestito dalla detta Coop. poiché era emerso che erano i dirigenti del supermercato a dare le direttive di lavoro stabilendo quali erano i prodotti in offerta ed il relativo prezzo, effettuando i controlli ed impartendo disposizioni, oltre a stabilire i turni e la pause, lamentandosi per le inosservanze, mentre nessuno dell'altra società si era mai presentato a verificare alcunché o a regolare i tempi dello svolgimento del lavoro come riferito dai testi osservato che si tratta di elementi certamente idonei alla riconduzione del rapporto di cui è causa allo schema di cui all'art. 2094 cc. posto che tali elementi denotano un assoggettamento del lavoratore al potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro tipico di tale figura contrattuale rilevato che in realtà i motivi tendono ad una rivalutazione del fatto come tale inammissibile in questa sede, posto che la Corte di appello ha congruamente e logicamente motivato la conferita qualificazione del rapporto che appare coerente con la giurisprudenza di legittimità, osservato che con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in quanto era stata detratta l'intera somma percepita dalla lavoratrice dedotta nel ricorso mentre si doveva detrarre solo la somma percepita ma relativa al periodo per il quale era stato riconosciuto il rapporto tra le parti ritenuto che il motivo difetta di autosufficienza in quanto non riporta nessuno degli elementi documentali che sarebbero rilevanti per accertare la fondatezza della doglianza non solo non viene ricostruita la prospettazione della parte in primo grado, ma neppure in appello e che quindi appare inammissibile osservato che con il secondo motivo del ricorso incidentale si allega la violazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. dell'art. 92 c.p.c. per avere il Giudice di appello compensato un terzo delle spese del doppio grado rilevato che il motivo di cui sopra appare infondato posto che, avendo la Corte di appello ridotto la condanna del datore di lavoro, ben poteva per una parte compensare le spese del doppio grado e che, quindi, il principio della soccombenza, appare rispettato rigetta entrambi i ricorsi e, stante la reciproca soccombenza, compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.