“Finti” contratti a progetto e licenziamento orale: assunta a tempo indeterminato

Due contratti a progetto, per due società diverse ma connesse nell’oggetto sociale, vengono dichiarati simulatori dalla Corte d’appello. In realtà ci si troverebbe dinanzi ad un contratto di lavoro subordinato, da tramutare in contratto a tempo indeterminato, in ottemperanza di varie pronunce della Corte di Cassazione e del disposto del d.lgs. n. 276/2003.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1744/17 depositata il 24 gennaio. Il caso. Una lavoratrice, dopo aver prestato lavoro come promotrice telefonica o informatica dei prodotti venduti da due società, adiva il giudice per il riconoscimento dell’unicità del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, nonostante la stipulazione di due contratti a progetto. Il giudice riteneva di dover accogliere la domanda della lavoratrice, in quanto in assenza di uno specifico programma o progetto opera la presunzione assoluta ex art. 69, comma 1 del d.lgs. n. 276/2003 rubricato Divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto” . Per giunta, l’estromissione della lavoratrice dalle aziende alla scadenza dei contratti equivaleva ad un licenziamento intimato oralmente . Avverso tale pronuncia ricorreva il datore di lavoro. Non è lavoro autonomo. Quest’ultimo riteneva che il giudice di merito avesse frainteso il rapporto di lavoro intercorrente con la lavoratrice, che era inquadrabile nella categoria del lavoro autonomo. Sul punto, però, la Corte di Cassazione chiarisce come tale doglianza tenda solo ad una reinterpretazione del quadro probatorio e dei fatti già esaminati nel giudizio di merito, il che, ovviamente non è concesso al giudice di legittimità. Dalle risultanze appena menzionate, tra l’altro, è stata accertata la funzione simulatoria dei due contratti a progetto, fenomeno al cui abuso il legislatore aveva voluto porre freno con la previsione dell’apparato sanzionatorio previsto dal summenzionato articolo del d.lgs. n. 276/2003. E, come già affermato dalla Cassazione in numerose occasioni, se manca un progetto, un programma di lavoro o una fase di esso, la conversione automatica in rapporti di lavoro subordinato non può essere evitata dal committente-datore di lavoro neppure provando che la prestazione lavorativa sia stata caratterizzata da una piena autonomia organizzativa ed esecutiva . Perciò la doglianza è dichiarata inammissibile e in ogni caso infondata . Il licenziamento orale. In secondo luogo, il ricorrente lamenta l’erronea valutazione del giudice di merito in ordine al licenziamento esso non sarebbe mai avvenuto, essendo semplicemente cessato il rapporto lavorativo alla scadenza del termine apposto nel contratto a progetto. Di nuovo prendendo spunto dal giudizio di merito, la Corte di Cassazione ha rilevato che l’estromissione della lavoratrice era riconducibile alla volontà delle società ed era stata determinata da un calo delle vendite e da errori commessi da quest’ultima. L’estromissione va quindi qualificata come recesso datoriale, espresso oralmente, e ne va fatta conseguire l’applicazione delle tutele contro i licenziamenti orali, da ritenere inefficaci in assenza di forma scritta. Per questi motivi il ricorso del datore di lavoro va rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 novembre 2016 – 24 gennaio 2017, numero 1744 Presidente Nobile – Relatore Boghetic Svolgimento del processo 1. Con sentenza depositata il 4.6.2012, la Corte d’appello di Genova ha respinto l’appello proposto dalle società M. & amp M. s.numero c. e M. Sistemi s.r.l. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Genova che aveva accolto la domanda di Ma.Ci. di riconoscimento di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall’8.6.2004 nonostante la stipulazione di due contratti a progetto, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e condanna al pagamento delle retribuzioni sino al ripristino del rapporto di lavoro. 2. La Corte ha ritenuto che l’attività di promozione telefonica o informatica dei prodotti venduti dalle due società coincidesse con l’oggetto sociale delle società stesse e che, di conseguenza, in assenza di uno specifico programma o progetto, operasse la presunzione da ritenersi assoluta di cui all’art. 69, comma 1, del d.lgs. numero 276 del 2003 inoltre, l’estromissione della lavoratrice dall’azienda al momento della scadenza del termine apposto al secondo contratto a progetto equivaleva a un licenziamento intimato oralmente, con conseguente applicazione degli artt. 2 L. numero 604 del 1966 e 18 L. numero 300 del 1970. Infine, la Corte ha ritenuto generica, per carenza di determinazione degli importi percepiti, la domanda di detrazione dell’ aliunde perceptum . 3. Avverso la sentenza entrambe le società propongono ricorso per cassazione articolato in quattro rectius tre motivi, cui resiste con controricorso la Ma. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo erroneamente indicato come primo e secondo le società ricorrenti denunziano violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. numero 276 del 2003, artt. 61 e 69 in relazione all’art. 360, primo comma, nnumero 3 e 5 c.p.c. . Le ricorrenti ritengono che la Corte d’appello, nella parte in cui ha disposto che, in difetto di prova dell’esistenza di un lavoro a progetto, il rapporto tra la società e il lavoratore deve essere considerato di natura subordinata a tempo indeterminato sin dalla data della sua costituzione, ha erroneamente ritenuto che la presunzione prevista dall’art. 69, comma 1, d.lgs. 276 fosse una presunzione assoluta di subordinazione e non relativa, così impedendo ad essa società di provare che il rapporto si era svolto in totale autonomia ed era pertanto inquadrabile nella diversa ipotesi di contratto di lavoro autonomo. Rilevano, inoltre, che l’attività di telemarketing devoluta alla lavoratrice non costituisse l’oggetto sociale delle società. 2. Con il secondo motivo erroneamente indicato come terzo le società ricorrenti denunziano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 della L. numero 604 del 1966 in relazione all’art. 360, primo comma, nnumero 3 e 5 c.p.c. avendo trascurato, la Corte territoriale, che il rapporto di lavoro è cessato alla scadenza del termine apposto al progetto, senza alcun licenziamento e risultando, pertanto, contrastante la motivazione della sentenza con la temporaneità riconosciuta al progetto dallo stesso giudice del merito. 3. Con il terzo motivo erroneamente indicato come quarto le società ricorrenti deducono vizio di motivazione in relazione all’art. 360, primo comma, numero 5 c.p.c. avendo, la Corte territoriale, trascurato l’istanza avanzata al giudice ex art. 210 c.p.c. di far produrre, all’Inps e al Centro per l’impiego, tutta la documentazione afferente alla Ma. . 4. Il Collegio ha autorizzato la redazione di motivazione semplificata come da decreto del Primo Presidente in data 14.09.2016. 5. Il primo motivo numerato come primo e secondo di ricorso è inammissibile e, in ogni caso, infondato. 5.1. Inammissibile nella misura in cui richiede una nuova valutazione delle deposizioni testimoniali. Alcune delle censure si traducono, invero, in critiche ed obiezioni avverso la valutazione delle risultanze istruttorie quale operata dal giudice del merito nell’esercizio del potere di libero e prudente apprezzamento delle prove a lui demandato dall’art. 116 cod. proc. civ. e si risolvono altresì nella prospettazione del risultato interpretativo degli elementi probatori acquisiti, ritenuto dallo stesso ricorrente corretto ed aderente alle suddette risultanze, con involgimento, così, di un sindacato nel merito della causa non consentito in sede di legittimità cfr. in motivazione, ex plurimis, Cass. 21 ottobre 2014 numero 22283 . Per consolidato orientamento di questa Corte, invero, tale sindacato è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione in termini, Cass. SS.UU. 25 ottobre 2013 numero 24148, Cass. 4 aprile 2014 numero 8008 . La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed accertato che lo stesso progetto allegato ai contratti di lavoro tra le parti sviluppo del mercato tramite utilizzo di apparecchiature informatiche e/o telefoniche - telemarketing consisteva essenzialmente nell’attività di incrementare le vendite e coincideva con un obiettivo aziendale generale vendita di macchinari e prodotti per l’ufficio , distinguendosi solamente per la modalità di svolgimento dell’attività di vendita tramite, per l’appunto, telefono o computer . 5.2. In ordine alla censura relativa alla genericità del progetto ed alla sanzione conseguente, come questa Corte ha già affermato, la specificità del progetto, programma o fase è l’elemento caratterizzante della differenza fra un genuino rapporto di lavoro a progetto e un contratto a progetto stipulato solo per celare un rapporto di lavoro subordinato Cass. numero 17448/2016 . Questa Corte cfr. sent. numero 9471/2016 ha rimarcato che il legislatore ha voluto porre un argine all’abuso della figura della collaborazione coordinata e continuativa, in considerazione della frequenza con cui giudizialmente ne veniva accertata la funzione simulatoria di rapporti di lavoro subordinato nello stesso senso, cfr. Cass. nnumero 17636/2016, 17448/2016, 15922/2013 . Questa finalità è stata realizzata dall’apparato sanzionatorio previsto dal d.lgs. numero 276 del 2003, art. 69, il quale, ai commi 1 e 2, disciplina due distinte ipotesi la prima ricorre allorché un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa venga instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso la seconda si verifica qualora venga accertato dal giudice che il rapporto, instaurato ai sensi dell’art. 61, si è venuto concretamente a configurare come un rapporto di lavoro subordinato. È stato affermato da questa Corte che, in mancanza di progetto, programma di lavoro o fase di esso art. 69, comma 1, citato , la conversione automatica in rapporti di lavoro subordinato non può essere evitata dal committente-datore di lavoro neppure provando che la prestazione lavorativa sia stata caratterizzata da una piena autonomia organizzativa ed esecutiva Cass. nnumero 17636/2016, 17448/2016, 17127/2016, 9471/2016, 15922/2013 . È, pertanto, corretta la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha fatto discendere dall’accertamento della mancanza di un programma di lavoro specifico la trasformazione ope legis del lavoro nominalmente a progetto in rapporto di lavoro subordinato sin dalla data della sua costituzione, a nulla rilevando le concrete modalità di svolgimento del rapporto in tal senso, Cass., nnumero 17127/2016, 12820/2016 . 6. Il secondo motivo erroneamente numerato come terzo non è fondato. In linea generale, in caso di scadenza di un contratto di lavoro per esaurimento del progetto o scadenza del termine, la prestazione lavorativa cessa in ragione dell’esecuzione che le parti danno al contratto. Ciò perché il datore di lavoro e il lavoratore adeguano i loro comportamenti a quella che appare la regola del rapporto, senza esprimere perciò alcuna volontà diretta a produrre l’effetto estintivo, cosicché natura meramente ricognitiva è da attribuire all’eventuale comunicazione alla controparte della cessazione del rapporto da una certa data o all’estromissione di fatto del lavoratore dall’azienda in termini, Cass. 26 maggio 2003 numero 8352 . In tali casi, l’estromissione del lavoratore dal contesto aziendale e l’eventuale disdetta comunicata dal datore di lavoro non configurano una fattispecie di recesso. Nel caso di specie, peraltro, la Corte territoriale, ha rilevato che - come emerso dal libero interrogatorio della lavoratrice reso al giudice di prime cure - l’estromissione dal contesto aziendale risultava riconducibile alla volontà delle società ed era stata determinata da un calo delle vendite e da errori commessi dalla lavoratrice stessa pag. 2 della sentenza impugnata , e che non erano state dedotte né le dimissioni della lavoratrice né la risoluzione consensuale del rapporto pag. 4 della sentenza . Ha, pertanto, qualificato detta estromissione quale recesso datoriale, espresso in forma orale, e ne ha fatto correttamente conseguire - dovendosi considerare il rapporto di lavoro di natura subordinata a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione, in applicazione dell’art. 69, comma 1, d.lgs. numero 276 del 2003 - l’applicazione del regime di tutela avverso i, licenziamenti orali. Invero, la censura relativa alla estromissione della lavoratrice a seguito di naturale scadenza del secondo contratto a progetto è stata prospettata, dalle società, con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui le parti ricorrenti avrebbero dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto del contratto a progetto stipulato con la Me. , fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, numero 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, numero 4 Cass. 12 febbraio 2014, numero 3224 Cass. SU 11 aprile 2012, numero 5698 Cass. SU 3 novembre 2011, numero 22726 . La soluzione è conforme all’orientamento consolidato di questa Corte, concernente il regime precedente la novella introdotta dalla legge numero 92 del 2012 , secondo cui il licenziamento intimato oralmente è radicalmente inefficace, per inosservanza dell’onere della forma scritta, imposto dall’art. 2 della legge 15 luglio 1966, numero 604, novellato dall’art. 2 della legge 11 maggio 1990, numero 108, e, come tale, è inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro. Ne consegue che la radicale inefficacia del licenziamento orale prescinde dalla natura stessa del recesso, trovando applicazione l’ordinario regime risarcitorio, con obbligo di corrispondere, trattandosi di rapporto di lavoro in atto, le retribuzioni non percepite a causa dell’inadempimento datoriale cfr. da ultimo Cass. nnumero 15106/2012, 16955/2007 . 7. Il terzo motivo è inammissibile. Questa Corte ha da tempo posto il principio secondo cui il rigetto da parte del giudice di merito dell’istanza di disporre l’ordine di esibizione in giudizio documenti ritenuti indispensabili dalla parte non è sindacabile in sede di legittimità, perché, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova del fatto non sia acquisibile aliunde e l’iniziativa non presenti finalità esplorative, la valutazione della relativa indispensabilità è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile neppure sotto il profilo del difetto di motivazione cfr. da ult. Cass. nnumero 9471/2016, 23120 del 2010 . 8. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza come dettato dall’art. 91 c.p.c P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna le società, in solido tra loro, al rimborso delle spese di lite a favore della controricorrente liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.