I trattamenti economici integrativi devono essere previsti dai corrispondenti CCNL

L’attribuzione di trattamenti economici integrativi a favore dei dipendenti pubblici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 210/17 depositata il 9 gennaio. La vicenda. La Corte d’appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado con la quale veniva accertato il diritto ai alcuni dipendenti del Consiglio di Stato alla riliquidazione dell’assegno personale erogato ai sensi dell’art. 62 l. n. 193/1964 in ragione del conglobamento dell’indennità integrativa speciale dello stipendio come previsto dal CCNL. Il Consiglio di Stato e il Segretario Generale della Giustizia Amministrativa hanno impugnato al sentenza con ricorso in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 62 l. n. 193/1964. Contesto normativo. La disposizione invocata dai ricorrenti prevede che al personale di segreteria e ausiliario del Consiglio di Stato è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile, pari a quattro aumenti periodici biennali nella misura del 2,50 per cento ciascuno dello stipendio iniziale della qualifica di appartenenza . Tali erogazioni venivano successivamente soppresse dalla l. n. 734/1973. Stipendio base e integrazioni. La questione posta all’attenzione dei giudici di legittimità non riguarda la rivendicazione dei lavoratori circa l’elargizione dell’assegno personale, ma la sua quantificazione posto che a seguito della revisione del CCNL avvenuta nel 2003 l’indennità integrativa speciale è inglobata nella voce stipendio tabellare, con il conseguente aumento dell’ammontare della base di calcolo rappresentata dallo stipendio e degli aumenti periodici biennali calcolati in misura percentuale sullo stesso. La Corte sottolinea sul punto come la esplicita soppressione degli assegni personali pensionabili previsti dall’art. 62, l. n. 193/1964 ad opera dell’art. 33 l. n. 734/1973, non consente di riconoscere fondamento alla pretesa dei dipendenti pubblici in quanto è venuto a mancare il fondamento normativo della stessa. La circostanza è confermata dall’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 165/2001 secondo cui l’attribuzione dei trattamenti economici ai dipendenti pubblici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi, mentre le disposizioni normative che attribuiscono aumenti retributivi non previsti dai contratti cessano di avere efficacia all’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza deve essere cassata. Inoltre, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte provvede nel merito e respinge la domanda dei ricorrenti originari.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 ottobre 2016 – 9 gennaio 2017, n. 210 Presidente Macioce – Relatore Amendola Svolgimento del processo 1.- Con sentenza del 2 agosto 2011 la Corte di Appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui ha dichiarato il diritto di M.P. e di altri dipendenti del Consiglio di Stato indicati in epigrafe alla riliquidazione dell’assegno personale loro erogato ai sensi dell’art. 62 della legge 10 aprile 1964 n. 193 in ragione del conglobamento della indennità integrativa speciale nello stipendio a far data dal gennaio 2003 in applicazione di quanto stabilito dall’art. 20, comma 3, del CCNL 2002 - 2005, con condanna del Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa al pagamento delle conseguenti differenze retributive. 2.- Per la cassazione di tale sentenza il Consiglio di Stato ed il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa hanno proposto ricorso con quattro motivi. Hanno resistito con controricorso gli intimati in epigrafe, depositando altresì memoria ex art. 378 c.p.c Non hanno svolto attività difensiva V.A. , A. R., B. C., C. C., G. C., L. M., P. M.P., R. S., R. C., S. M., S. P., S. C., P. D.S., G. F., A. F., L. F., L. P. G., M. G. R Motivi della decisione 3.- I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati violazione e falsa applicazione di legge in quanto l’assegno previsto dall’art. 62 della l. n. 193 del 1964 è stato soppresso per effetto dell’art. 33 della legge 15 novembre 1973 n. 734 primo motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 62 della l. n. 193 del 1964, nonché degli artt. 20 e 21 del CCNL 2002 - 2005, in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c., in quanto la disposizione in esame, nel riconoscere un beneficio eccezionale ad una particolare categoria di dipendenti pubblici, sarebbe di stretta interpretazione per cui il richiamo allo stipendio non può essere inteso in riferimento a istituti diversi da quello avuto presente all’epoca della sua emanazione, senza riguardo alcuno alla composizione in esso di titoli geneticamente e storicamente autonomi come la IIS e dunque assolutamente estranei alla ratio legis sottesa alla descritta configurazione dell’emolumento secondo motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 62 della l. n. 193 del 1964, nonché degli artt. 20 e 21 del CCNL 2002 - 2005, dell’art. 15 della l. n. 177 del 1976, dell’art. 43 del DPR n. 1092 del 1973, in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c. ed all’art. 3 Cost. si argomenta che il richiamo contenuto nella norma istitutiva dell’emolumento allo stipendio iniziale costituisce un rinvio statico alla nozione di stipendio esistente al momento dell’introduzione dell’emolumento, ovviamente monetariamente adeguato nel tempo, ma senza alcuna possibilità di comprendere in esso titoli genericamente e storicamente autonomi, come la IIS che il conglobamento nello stipendio previsto dalla contrattazione collettiva non vuole significare che la IIS perda la sua autonoma identificazione, tanto da non incidere sul trattamento pensionistico e sul trattamento economico all’estero e da restare voce distintamente indicata in busta paga che la tesi accolta dalla Corte territoriale produrrebbe un effetto distorsivo sul sistema pensionistico che non consente la computabilità dell’IIS o comunque di una sua quota nel trattamento di quiescenza del personale civile dello Stato, mentre l’incremento dell’assegno personale dovuto al computo dell’IIS nello stipendio produrrebbe come effetto quello di incidere anche sul trattamento pensionistico terzo motivo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata la quale non avrebbe chiarito l’iter logico in base al quale, in presenza degli elementi già evidenziati nei precedenti motivi, sarebbe pervenuta ad affermare la rilevanza dell’IIS nella base di computo dell’indennità di cui all’art. 62 della l. 193 del 1964 quarto motivo . 4.- Il Collegio reputa il ricorso fondato nei sensi espressi dalla motivazione che segue. Appare indispensabile una preliminare ricognizione delle fonti legislative ritenute rilevanti nella fattispecie. Con la legge 10 aprile 1964, n. 193, disciplinante l’ Ordinamento delle carriere del personale di segreteria e ausiliario del Consiglio di Stato , all’art. 62 si stabiliva che Al personale cui si riferisce la presente legge, in servizio presso il Consiglio di Stato alla data di entrata in vigore della legge stessa, è attribuito, con decorrenza dalla stessa data, un assegno personale pensionabile, non riassorbibile, pari a quattro aumenti periodici biennali nella misura del 2,50 per cento ciascuno dello stipendio iniziale della qualifica di appartenenza . A partire dall’entrata in vigore di tale disposizione al personale del settore della giustizia amministrativa era erogabile un assegno personale pensionabile e non assorbibile in misura pari ad un incremento del 10% dello stipendio cadenzato in 4 scatti nel biennio. Analoga disposizione fu introdotta per il personale della Corte dei Conti Art. 43 l. n. 1345 del 1961 e dell’Avvocatura dello Stato Art. 49 l. n. 284 del 1964 . Con la successiva legge 15 novembre 1973, n. 734, titolata Concessione di un assegno perequativo ai dipendenti civili dello Stato e soppressione di indennità particolari , l’art. 33, co. 2, prescrive Gli assegni personali pensionabili previsti dagli articoli 62 della legge 10 aprile 1964, n. 193, 43 della legge 20 dicembre 1961, n. 1345 e 46 della legge 5 aprile 1964, n. 284 sono soppressi . Su tale ultima norma non ha inciso il d.lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, cd. salvaleggi , che, pur ponendo l’intera legge n. 193 del 1964 tra quelle contenute nell’allegato 1 del decreto legislativo quali disposizioni legislative statali pubblicate anteriormente al 1 gennaio 1970 delle quali è indispensabile la permanenza in vigore art. 1, co. 1, d.lgs. n. 179/2009 , non ha fatto venire meno l’efficacia precettiva della l. n. 734 del 1973 successiva al 1 gennaio 1970. In tale contesto normativo si inserisce la contesa all’attenzione della Corte che non nasce dalla rivendicazione dei lavoratori circa l’elargizione dell’assegno personale, bensì dalla sua quantificazione, atteso che, in seguito alla previsione dell’art. 20, co. 3, CCNL 2002-2005 - secondo cui dal 1 gennaio 2003 l’indennità integrativa speciale cessa di essere corrisposta come singola voce della retribuzione ed è conglobata nella voce stipendio tabellare - hanno richiesto e visto riconosciuto dai giudici del merito che l’aumento del 10% biennale venisse computato tenendo conto di uno stipendio che inglobasse anche l’indennità integrativa speciale. Con il primo motivo del ricorso per cassazione l’Avvocatura dello Stato obietta che non sussiste nell’ordinamento il precetto su cui si fonda il diritto alla rivendicata riliquidazione, in quanto l’assegno già previsto dall’art. 62 della l. n. 193 del 1964 è stato soppresso per effetto della l. n. 734 del 1973 aggiunge che la riconosciuta rivalutazione non trova titolo in alcuna norma giuridica, non essendo neanche prevista dal CCNL del comparto Ministeri che, ai sensi dell’art. 2, co. 3, d.lgs. n. 165 del 2001, costituisce la fonte primaria del trattamento economico dei dipendenti pubblici. La censura è ammissibile anche ove non proposta nei precedenti gradi di giudizio in quanto attinente alla competenza del giudice di accertare le norme giuridiche applicabili alla fattispecie sottoposta al suo esame secondo il principio iura novit curia , di cui all’art. 113, co. 1, c.p.c., operante anche in sede di legittimità laddove non siano richiesti - come nella specie - nuovi accertamenti di fatto v. tra le altre, Cass. n. 9812 del 2002 Cass. n. 20005 del 2005 . Essa è fondata. Si controverte della quota incrementale che sarebbe dovuta dall’Amministrazione ricorrente sull’assegno personale pensionabile previsto per il personale di segreteria ed ausiliario del plesso della giustizia amministrativa dall’art. 62 della l. n. 193 del 1964 tale incremento deriverebbe dal conglobamento dell’indennità integrativa speciale nello stipendio di quel personale a far data dal gennaio 2003, per cui, aumentando l’ammontare della base di calcolo rappresentata appunto dallo stipendio, si incrementerebbero anche gli aumenti periodici biennali determinati in misura percentuale rispetto a detta base di calcolo. Orbene, l’esplicita soppressione , ad opera dell’art. 33 della I. n. 734 del 1973, degli . assegni personali pensionabili previsti dagli articoli 62 della legge 10 aprile 1964, n. 193, . , non consente di ritenere dovuto quanto rivendicato nel presente giudizio dai dipendenti pubblici in quanto detta soppressione priva dell’indispensabile fondamento normativo - per quanto qui rileva - l’incremento richiesto, precludendo ogni effetto espansivo. Il fondamento delle spettanze pretese è peraltro escluso anche dall’art. 2, co. 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, secondo cui l’attribuzione dei trattamenti economici ai dipendenti pubblici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi cfr. Cass. SS.UU. n. 11211 del 2008 e le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale. Pertanto la stessa sopravvivenza di trattamenti economici di fonte legale è condizionata alla relativa ricezione e modulazione in sede contrattuale, come desumibile anche dall’art. 28, lett. h , del CCNL 1998 - 2001, secondo cui, struttura della retribuzione del personale delle amministrazioni dello Stato appartenenti al comparto dei Ministeri si compone anche delle altre indennità previste da specifiche disposizioni di legge . La soppressione operata proprio dalla legge n. 734 del 1973, in assenza di altra fonte contrattuale, induce a negare, anche per questo verso, l’incremento dell’ammontare dell’assegno personale oggetto di controversia. La soluzione offerta non pone dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 33 della l. n. 734 del 1973 in quanto, come noto, la conformità della retribuzione ai requisiti di proporzionalità e sufficienza indicati dall’art. 36, primo comma, Cost. deve essere valutata in relazione alla retribuzione nel suo complesso, non già alle singole componenti di essa fra le tante, Corte cost. n. 366 del 2006 e n. 164 del 1994 , poiché si deve valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza, alla luce del canone della onnicomprensività di recente Corte cost. n. 178 del 2015 e n. 154 del 2014 . Il venir meno di un incremento percentuale della retribuzione annua non è certo idoneo a far dubitare che il trattamento complessivo sia conforme al parametro dell’art. 36 Cost., né suscita questioni di irragionevolezza o di disparità di trattamento con altri dipendenti pubblici considerato, anzi, che si tratta di emolumento destinato ad una ristretta platea di beneficiari. 5.- Conclusivamente, assorbita ogni altra questione, il ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto a mente dell’art. 384 c.p.c., provvedendo nel merito va respinta la domanda degli originari ricorrenti volta alla riliquidazione dell’assegno ex art. 62 l. n. 193/1964 la novità della questione e la sua peculiarità inducono a ritenere sussistenti le condizioni per compensare le spese dell’intero giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., rigetta la domanda degli originari ricorrenti volta alla riliquidazione dell’assegno ex art. 62 L. n. 193/1964 compensa le spese dell’intero giudizio.